Se non ricordo
male, anche Giuseppe Ungaretti (Alessandria d'Egitto 1888 - Milano 1970) è uno
di quei grandissimi poeti che non conobbi sui banchi scolastici, ma a seguito di un mio
interessamento personale; la sua presenza, nei libri di testo delle scuole di
allora (circa quarant'anni fa), era costante; sfogliarne uno, e trovarvi quelle sue brevissime poesie
come Mattina - due versi che si
compongono di sole due parole - m'incuriosiva, come penso avrà incuriosito
chissà quanti studenti. Fu proprio leggendo le poesie di Ungaretti trovate nelle
pagine dei libri di scuola, che il mio interesse verso la sua tormentata vita e verso la sua
opera letteraria crebbe. Ricordo bene che, uno dei primissimi libri di versi da
me comperati (ad un prezzo particolarmente basso) circa trenta anni or sono,
conteneva una scelta delle poesie ungarettiane. Quanto all'autore, per i
pochissimi che non lo conoscessero o non sapessero molto di lui, dico che è stato uno
dei migliori poeti italiani ed europei del XX secolo. Le brevissime poesie - e in particolare i versi ridotti all'osso della sua fase poetica iniziale (che può
essere circoscritta, all'incirca negli anni compresi tra il 1914 ed il 1919) - rappresentano qualcosa di unico nel panorama letterario mondiale; parlo, ovviamente, delle liriche scritte durante la Grande Guerra - evento bellico al
quale il poeta partecipò -, che raccontano in modo sintetico ma ineccepibile, le
sensazioni tremende di un soldato di trincea, costretto a vivere delle
situazioni di estrema violenza; Ungaretti, in queste poesie parla della sua
precarietà, del suo dolore nel veder morire i compagni di sventura e non poter
fare nulla per impedirlo, della sua ricerca disperata di un'altra vita: lontana anni luce dall'inferno in cui si trova; insomma racconta come hanno saputo fare pochissimi,
cosa significhi partecipare direttamente ad una guerra. Successiva a questa fase
- che, ripeto, è la più interessante della produzione in versi di Ungaretti - ve n'è
un'altra in cui il poeta torna sui propri passi, abbandonando, anche se solo in
parte, quello sperimentalismo iniziale così sconvolgente; le ulteriori fasi
della poesia ungarettiana non si discostano da quest'ultima, e vedono il poeta,
sempre più anziano, esternare la propria sofferenza nata a seguito dei gravi
lutti familiari che lo colpirono; inoltre Ungaretti, più distaccato e
meditativo rispetto agli anni addietro, riflette sul senso della vita e della
morte, includendo considerazioni e pensieri riguardanti l'umanità, la violenza,
il tempo, lo spazio ecc. Ma, come ho già detto, per me il migliore Ungaretti è
quello dei celebri "versicoli"; per tale motivo, ho deciso di
chiudere questo mio post con tre pietre miliari della poesia di tutti i tempi,
che Ungaretti scrisse durante la Prima Guerra Mondiale, e che certamente i
lettori di poesia già conoscono; le trascrivo da quel vecchio libro di cui ho
parlato all'inizio.
SONO UNA CREATURA
Valloncello di
Cima Quattro il 5 agosto 1916
Come questa
pietra
del S. Michele
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente
disanimata
Come questa
pietra
è il mio pianto
che non si vede
La morte
si sconta
vivendo
(da
"Poesie", Newton Compton, Roma 1992, p. 58)
SAN MARTINO DEL
CARSO
Valloncello dell'Albero Isolato il 27 agosto 1916
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti
che mi
corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce
manca
È il mio cuore
il paese più straziato
(da
"Poesie", Newton Compton, Roma 1992, p. 65)
NATALE
Napoli il 26 dicembre 1916
Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade
Ho tanta
stanchezza
sulle spalle
Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata
Qui
non si sente
altro
che il caldo
buono
Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare
(da
"Poesie", Newton Compton, Roma 1992, p. 74)
Nessun commento:
Posta un commento