domenica 1 maggio 2022

La poesia di Giuseppe Ungaretti

 

Se non ricordo male, anche Giuseppe Ungaretti (Alessandria d'Egitto 1888 - Milano 1970) è uno di quei grandissimi poeti che non conobbi sui banchi scolastici, ma a seguito di un mio interessamento personale; la sua presenza, nei libri di testo delle scuole di allora (circa quarant'anni fa), era costante; sfogliarne uno, e trovarvi quelle sue brevissime poesie come Mattina - due versi che si compongono di sole due parole - m'incuriosiva, come penso avrà incuriosito chissà quanti studenti. Fu proprio leggendo le poesie di Ungaretti trovate nelle pagine dei libri di scuola, che il mio interesse verso la sua tormentata vita e verso la sua opera letteraria crebbe. Ricordo bene che, uno dei primissimi libri di versi da me comperati (ad un prezzo particolarmente basso) circa trenta anni or sono, conteneva una scelta delle poesie ungarettiane. Quanto all'autore, per i pochissimi che non lo conoscessero o non sapessero molto di lui, dico che è stato uno dei migliori poeti italiani ed europei del XX secolo. Le brevissime poesie - e in particolare i versi ridotti all'osso della sua fase poetica iniziale (che può essere circoscritta, all'incirca negli anni compresi tra il 1914 ed il 1919) - rappresentano qualcosa di unico nel panorama letterario mondiale; parlo, ovviamente, delle liriche scritte durante la Grande Guerra - evento bellico al quale il poeta partecipò -, che raccontano in modo sintetico ma ineccepibile, le sensazioni tremende di un soldato di trincea, costretto a vivere delle situazioni di estrema violenza; Ungaretti, in queste poesie parla della sua precarietà, del suo dolore nel veder morire i compagni di sventura e non poter fare nulla per impedirlo, della sua ricerca disperata di un'altra vita: lontana anni luce dall'inferno in cui si trova; insomma racconta come hanno saputo fare pochissimi, cosa significhi partecipare direttamente ad una guerra. Successiva a questa fase - che, ripeto, è la più interessante della produzione in versi di Ungaretti - ve n'è un'altra in cui il poeta torna sui propri passi, abbandonando, anche se solo in parte, quello sperimentalismo iniziale così sconvolgente; le ulteriori fasi della poesia ungarettiana non si discostano da quest'ultima, e vedono il poeta, sempre più anziano, esternare la propria sofferenza nata a seguito dei gravi lutti familiari che lo colpirono; inoltre Ungaretti, più distaccato e meditativo rispetto agli anni addietro, riflette sul senso della vita e della morte, includendo considerazioni e pensieri riguardanti l'umanità, la violenza, il tempo, lo spazio ecc. Ma, come ho già detto, per me il migliore Ungaretti è quello dei celebri "versicoli"; per tale motivo, ho deciso di chiudere questo mio post con tre pietre miliari della poesia di tutti i tempi, che Ungaretti scrisse durante la Prima Guerra Mondiale, e che certamente i lettori di poesia già conoscono; le trascrivo da quel vecchio libro di cui ho parlato all'inizio.

 

 


 

 

SONO UNA CREATURA

Valloncello di Cima Quattro il 5 agosto 1916

 

Come questa pietra

del S. Michele

così fredda

così dura

così prosciugata

così refrattaria

così totalmente

disanimata

 

Come questa pietra

è il mio pianto

che non si vede

 

La morte

si sconta

vivendo

 

(da "Poesie", Newton Compton, Roma 1992, p. 58)

 

 

 

 

SAN MARTINO DEL CARSO

Valloncello dell'Albero Isolato il 27 agosto 1916

 

Di queste case

non è rimasto

che qualche

brandello di muro

 

Di tanti

che mi corrispondevano

non è rimasto

neppure tanto

 

Ma nel cuore

nessuna croce manca

 

È il mio cuore

il paese più straziato

 

(da "Poesie", Newton Compton, Roma 1992, p. 65)

 

 

 

 

NATALE

Napoli il 26 dicembre 1916

 

Non ho voglia

di tuffarmi

in un gomitolo

di strade

 

Ho tanta

stanchezza

sulle spalle

 

Lasciatemi così

come una

cosa

posata

in un

angolo

e dimenticata

 

Qui

non si sente

altro

che il caldo buono

 

Sto

con le quattro

capriole

di fumo

del focolare

 

(da "Poesie", Newton Compton, Roma 1992, p. 74)

 

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