domenica 4 luglio 2021

"Primavere del Desiderio e dell'Oblio" di Cosimo Giorgieri Contri

 

Il terzo volume di versi pubblicato dallo scrittore Cosimo Giorgieri Contri (Lucca 1870 - Viareggio 1943), s'intitola Primavere del desiderio e dell'oblio; uscito nel 1903 presso l'editore Lattes di Torino, il libro, di 220 pagine, contiene complessivamente 60 poesie, e si pone sulla scia del precedente Il convegno dei cipressi, che comparve nove anni prima, e che fece certamente clamore, anche se oggi si può affermare che sia stato completamente obliato. Come già avevo detto parlando, appunto della sua opera poetica precedente (e più importante), il Giorgieri Contri fu uno dei primi poeti  a trasferire in Italia le suadenti atmosfere presenti nei versi di alcuni poeti tardo-simbolisti, come i belgi Georges Rodenbach e Maurice Maeterlinck, o come i francesi Jules Lafourge e Francis Jammes; se è vero che nell'ultimo decennio del XIX secolo, da noi, poesie del genere rappresentavano una assoluta e interessante novità, è altrettanto vero che, all'inizio del Novecento, questa strada era già stata percorsa da parecchie voci poetiche nostrane, e il fatto che Giorgieri Contri riproponesse, seppur con qualche variante, le identiche tematiche, non destava certamente molto entusiasmo da parte dei lettori e dei critici. Personalmente però, malgrado la sua poesia risulti spesso ripetitiva, rimango affascinato anche da questa come dalle successive opere poetiche dello scrittore toscano, soprattutto perché gli riconosco una rara capacità nella descrizione di stati d'animo e di paesaggi melanconici, che, come già accennato, diverranno i temi principali di diversi poeti crepuscolari già attivi in quel preciso anno. Chiudo riportando, come è mio solito, un paio di poesie tra quelle che ritengo le migliori di questa raccolta poetica, estratte da una riedizione anastatica del libro, piuttosto recente.

 

 


 

BIANCA PASSEGGIATRICE

 

I.

«Autunno spegne li ultimi rossori»

 

Autunno spegne li ultimi rossori:

i viali che seppero la state

taciono ora tra lor siepi sfrondate

cui già Settembre vendemiò di fiori.

 

La terra un odor vago esala. Pare

come un odore di disfacimento:

anche esala un vapore umido e lento

che dilegua e ritoma. Il piano è un mare.

 

Mar senza rive, senza flutti; oblìo.

Nuvole or sì or no passan lontano

sul mare irremeabile del piano

e il lor passaggio è come un lento addio.

 

Nereggian pini tra 'l pallor delli orti,

soli. Nel mar del piano qualche punta

par testimoni un'isola defunta,

i morti alberi di vascelli morti.

 

Mai non vedemmo desolazione

più soave e più triste. Una infinita

quietudine senza ombra di vita

sta sulle cose e in calma le compone:

 

una stanchezza tacita corrose

questa fine d'Autunno, in terra e in cielo:

il piano è un mare, il cielo è un velo. E velo

e mar copron di sé tutte le cose.

 

II.

«Mai non vedemmo così calmo il giorno»

 

Mai non vedemmo così calmo il giorno

scender sui neri culmini delli orti;

sembra un vel che si adagii; un vel di morti

sogni che Autunno ne diffonda intorno.

 

Or chi sei tu? Per questi orti, tra bussi

cupi procedi. Anche sei morta. Torni

tu dalla solitudine di giorni

antichi, e con la man tremula bussi

 

ecco alle porte del mio cuor. Le porte

del mio cuore si aprono. Sorella

di dolore, che vuoi? Chi mi favella

così, con voce che velò la Morte?

 

Povera cara Giovinezza! Io

già ti vidi in questi orti, or non è grande

tempo: e cingevi allor di tue ghirlande

l'Erme del luogo e i sogni del cuor mio.

 

Or le ghirlande di quel tempo sono

vizze. Tu movi in bianca veste ancora

ma verso un'urna mortuale. È l'ora

questa per te de l'ultimo abbandono.

 

III.

«Ed ella cerca la sua tomba muta»

 

Ed ella cerca la sua tomba muta

in qualche solitudine remota

del parco: e sia quella sua tomba ignota

a tutti, nella gran selva perduta.

 

Sia la sua tomba sotto i vecchi pini

che videro la bianca adolescente

ebra di qualche suo sogno innocente

ivi sostare a' ceruli mattini;

 

che videro la donna omai già schiva,

omai disciolta d'ogni illusione,

ghirlandar l'Erme d'aride corone

come una mortuale ara votiva.

 

Ed ella dorma in quello che compose

sonno al suo sogno la pineta nera:

e non oda cantar di primavera

nidi sui rami: e rifiorir le rose

 

ella non veda. Ella è stanca di tante

imagini di bene e di promessa

ella che camminò sempre lungh'essa

un'onda triste a piagge aride errante.

 

Ella che seppe tutto il pianto umano

e ne raccolse con tacita calma

l'amarissimo flutto entro la palma,

come in un'urna, della bianca mano.

 

Altro non pensa ella, altro non chiede,

che dormire alla gran selva custode:

ove nessun romore ode: e non ode

che crosciar pine omai sotto il suo piede;

 

ove anche il Giorno è come un passeggero

tacito che non osa indugiare,

e la Notte e profonda come un mare

d'ombra: un mar d'ombra sopra un cimitero.

 

(da "Primavere del desiderio e dell'oblio", Bibliolife, Charleston 2010, pp. 37-41)

 

 

 

 

AMORI DEFUNTI

 

Defunti amori che siete

come un aroma soavi;

e come un incubo gravi

sull'anima vi assidete:

 

amori defunti, cose

morte in sentieri già corsi,

vigili come rimorsi,

come rimpianti pensose;

 

donne cui seguì nell'ombra

amara la mia gioventù

— questa io già guardo laggiù

svanir nella notte ingombra;

 

amori, non tutti forse io

vi rivedrò, quando muoia,

crescendo l'ultima gioia

accanto all'ultimo oblìo?

 

Presso ad entrar nel silenzio

ove non sonan parole

ai campi che non viole

ma odora il fior de l'assenzio,

 

presso a mescer la mia

polve alla polvere immensa

che infaticabile adensa

il Tempo sull'umana via;

 

sentirò io sulla faccia

una carezza passare,

una fragranza di care

labbra, di tepide braccia,

 

teneramente, come

in vita forse non era

e un fiato di Primavera

respirerò tra le chiome?

 

Ah ma fra tutte, non forse

una più d'altre leggera,

— chioma che forse fu nera,

man che fu bianca, forse —

 

io sentirò? Sarà quella

che non conobbi, che amai

senza trovarla, né mai

cercarla: come sorella

 

ignota; quella raggiante

forma di donna, che all'ore

in cui si annuncia l'amore

rise nel cuor de l'infante:

 

quella per cui m'era caro

slanciarmi verso la vita,

per cui di averla compita

meno sarebbemi amaro.

 

(da "Primavere del desiderio e dell'oblio", Bibliolife, Charleston 2010, pp. 101-103)

 

 

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