giovedì 22 luglio 2021

Le cetonie dorate in una poesia di Guido Gozzano

 



Questa mattina, nel mio giardino, ho trovato una cetonia dorata morta. Non so come sia finita qui, visto che ora, questo piccolo spazio verde che confina con la mia casa, è praticamente privo di piante. Ricordo, quando una volta possedevo delle piante di rose, che mi successe di notare delle cetonie all'interno dei fiori, e la cosa mi scocciò alquanto. Eppure sono veramente belli questi animaletti; sono dei coleotteri piuttosto grandi, col dorso di un colore verde intenso. Io li vidi per la prima volta su un vecchio libro che mi regalarono. Pochissime volte invece, mi è capitato di vederli direttamente. Insomma, questi piccoli, splendidi insetti, mi hanno fatto venire in mente una bella poesia di Guido Gozzano, in cui vengono citati; il poeta, nei versi finali, esprime il desiderio di essere ricordato dagli amici quale fu ai tempi della giovinezza, quando gli accadeva, tra le altre cose, di soccorrere proprio delle cetonie disperate, perché in seguito ad una caduta, si erano ritrovate capovolte. Eccola qui.

 

I COLLOQUI

I.

«I colloqui»... Rifatto agile e sano

aduna i versi, rimaneggia, lima,

bilancia il manoscritto nella mano...

 

– Pochi giochi di sillaba e di rima:

questo rimane dell'età fugace?

È tutta qui la giovinezza prima?

 

Meglio tacere, dileguare in pace

or che fiorito ancora è il mio giardino,

or che non punta ancora invidia tace.

 

Meglio sostare a mezzo del cammino

or che il mondo alla mia Musa maldestra.

quasi a mima che canta il suo mattino,

 

soccorrevole ancor porge la destra.

 

 

II.

Ma la mia Musa non sarà l'attrice

annosa che si trucca e pargoleggia,

e la folla deride l'infelice;

 

giovine tacerà nella sua reggia,

come quella Contessa Castiglione

bellissima, di cui si favoleggia.

 

Allo sfiorire della sua stagione,

disparve al mondo, sigillò le porte

della dimora, e ne restò prigione.

 

Sola col Tempo, tra le stoffe smorte,

attese gli anni, senz'amici, senza

specchi, celando al Popolo, alla Corte

 

l'onta suprema della decadenza.

 

 

III.

L'immagine di me voglio che sia

sempre ventenne, come in un ritratto;

amici miei, non mi vedrete in via,

 

curvo dagli anni, tremulo, e disfatto!

Col mio silenzio resterò l'amico

che vi fu caro, un poco mentecatto;

 

il fanciullo sarò tenero e antico

che sospirava al raggio delle stelle,

che meditava Arturo e Federico,

 

ma lasciava la pagina ribelle

per seppellir le rondini insepolte,

per dare un'erba alle zampine delle

 

disperate cetonie capovolte...


(da "Poesie", Rizzoli, Milano 1993, pp. 240-242)


Nessun commento:

Posta un commento