Arturo Graf
(Atene 1848 - Torino 1913) attende ancora oggi un riconoscimento più adeguato al
suo valore reale di poeta. C'è chi sostiene che sia stato anche un critico
egregio, ma, visto che le mie conoscenze si limitano alla sola poesia, posso
parlare soltanto dei suoi versi, i quali mi apparvero - già quando li lessi per la prima volta così come oggi - semplicemente unici. Troppo spesso relegato ad un
ruolo marginale all'interno della poesia italiana del XIX secolo, non è facile
trovare almeno una sua poesia nelle pagine delle antologie scolastiche; sempre,
invece, lo si trova inserito in quelle che riguardano la "Poesia minore
dell'Ottocento". In verità il Graf fu un grandissimo poeta, a mio modo di
vedere più grande di qualche altro suo contemporaneo, fin troppo esaltato (ieri
come oggi) da una critica di parte. Graf fu tra i primi a trasferire in Italia
quelle poetiche e quelle correnti nate in Europa nella seconda metà del XIX
secolo, che rispondo al nome di decadentismo e simbolismo; certo, lo fece a
modo suo, tenendo sempre ben presente la figura del Leopardi; non di meno, si
guardò bene dal rinnegare una evidente propensione al romanticismo: corrente
artistica nata alla fine del Settecento ma ancora viva e facilmente
identificabile nei versi di Graf e di altri poeti della sua generazione; quindi,
pur mantenendo delle peculiarità che lo legano al passato, il Graf seppe dare
un respiro più fresco alla poesia italiana, da tempo fossilizzata su vecchie
cadenze e temi frusti.
Graf poeta è
stato spesso tacciato di eccessivo manierismo o di una esagerata ripetitività
dei temi trattati (caratteristiche in effetti plausibili ma non determinanti per
un giudizio finale equo), però non ci sono dubbi sul fatto che i suoi versi
affascinarono generazioni intere, e ancora in parte affascinano il lettore di
autentica poesia. Tant'è che il ruolo di "poeta minore", che gli è
stato sbrigativamente affibbiato dai critici, certamente gli va stretto, anche
perché - e su questo non si discute - la sua opera in versi influenzò in modo
netto molti poeti della prima generazione del XX secolo (Gozzano compreso). Non
è un caso, infine, che alcune delle sue migliori raccolte poetiche siano state
ripubblicate anche recentemente. Concludo questa mia dissertazione su un grande
poeta a cui tengo moltissimo, riportando un elenco delle sue opere in versi e
cinque poesie che giudico tra le migliori.
Opere poetiche
"Poesie e
novelle", Loescher, Torino 1876.
"Medusa",
Loescher, Torino-Roma 1880.
"Medusa"
(2° ed.), Loescher, Torino 1881.
"Medusa"
(3° e definitiva ed.), Loescher, Rorino 1890.
"Dopo il
tramonto", Treves, Milano 1893.
"Le
Danaidi", Loescher, Torino 1897.
"Morgana",
Treves, Milano 1901.
"Le
Danaidi" (2° ed.), Loescher, Torino 1905.
"Le Rime
della Selva", Treves, Milano 1906.
"Le
poesie", Chiantore, Torino 1922.
PALLIDA MORS
Mentre intorno ai
fioriti e scintillanti
Deschi sediam
entro dorata sala,
E dalle tazze
traboccanti esala
Il sonoro e
gentil spirto dei canti;
Mentre ferve la
gioja, e accende il volto
Alle fanciulle e
scalda il sen di neve,
Dietro i serici
arazzi il passo greve
E il riso acuto
io della morte ascolto.
E gli occhi,
pieno di sgomento il core,
Ficco nel viso a
un orïuol beffardo,
E il negro,
maledetto indice guardo
Per l’angusto
volar cerchio dell’ore.
Mi guardo a
fianco, e sull’amata fronte
Veggo di tratto
inaridir le rose,
E spegnersi il
balen dell’amorose
Luci che al mio
piacere eran sì pronte
Illividir le
tempie ed il soave
Labbro farsi di
gel, sciorsi le chiome,
E sulla sedia
arrovesciarsi, come
Morto, il bel
corpo illanguidito e grave.
E mi s’agghiaccia
il cor; falso né vero
Più non discerno,
non rido, non piango;
Ma, con le
braccia al sen, muto rimango,
Immobile, a
guatar l’empio mistero.
(da "Le
poesie", Chiantore, Torino 1922, pp. 14-15)
POVERO CORE
O mio povero cor,
morta è la pace,
Morto è l’amor;
di novo a che sussulti?
Morta è la fede;
a che più la vorace
Fiamma di vita
nel tuo grembo occulti?
O mio povero cor,
quando più tace
La fredda notte e
dei patiti insulti
Grave su te la
rimembranza giace,
Udir mi sembra i
tuoi sordi singulti.
O mio povero cor,
fossi tu morto!
Così di gel, così
d’angoscia stretto,
Onde vuo’ tu
sperar gioja o conforto?
O mio povero cor,
non rinvenire;
O mio povero cor,
del chiuso petto
Fatti una tomba e
lasciati morire.
(da "Le
poesie", Chiantore, Torino 1922, p. 124)
LA FALCE
Di nubi tra molle
sfacelo
Io vidi nel cielo
una falce:
La falce era
lucida, il cielo
D’un crudo
biancore di calce.
Negli orti né
frasca né tralce;
Sui campi né
fiore né stelo...
Che tronca, che
miete la falce,
La falce ch’io
vidi nel cielo?
Non trema nell’ombra
di gelo
La trista canzone
del salce?...
È notte. Fa
freddo. Nel cielo
Io vedo rotare
una falce.
(da "Le
poesie", Chiantore, Torino 1922, p. 533)
LA PORTA DI
BRONZO
Simile a muro di
color ferrigno,
Di qua, di là,
senza confin si stende
E al cielo poggia
l’antico macigno.
Non vena d’acqua
per quell’erto scende.
Non pruno incespa
la petraja morta:
Fosco e sinistro
il ciel nell’alto pende.
Una superba e
smisurata porta,
Tutta di bronzo
lucido formata.
Corrusca di
lontan per l’aria smorta.
Con ascosi
serrami entro è serrata:
L’arco di sopra è
pietra scura e spessa;
È ferro il
limitar che il passo guata.
Senza
intermissïon davanti ad essa.
Per brama c’ha
d’uscir di quel deserto,
Un infinito
popolo fa ressa.
Ciascun, dolente,
e di sua vita incerto,
Le salde imposte
con le man percote,
E grida e prega
perché siagli aperto.
Cupo romba il
metal, come per vote
Nuvole il tuon;
rimormoran le nude
Rupi; la terra
sotto ai pie’ si scote;
Ma la porta fatal
mai non si schiude.
(da "Le
poesie", Chiantore, Torino 1922, pp. 568-569)
NELL'OMBRA
Qui, qui, nel
grembo, nel core
Della solinga
foresta,
Dove il mio cor
si ridesta
Al sogno che mai
non muore;
Qui, sotto il
ciel che s’ingombra
Del vivo
intreccio de’ rami:
(Che più volete
ch’io brami?)
Qui mi lasciate
nell’ombra.
Nell’ombra infusa
d’arcano,
Di blandi aneliti
piena;
Nell’ombra chiara
e serena
E nel silenzio
sovrano.
Lasciatemi
respirare
I lenti effluvii,
le forze
Ch’esalano dalle
scorze
Stillanti,
dall’erbe amare.
Lasciatemi bever
l’onda
Che scaturisce
ne’ greppi,
Che lambe i
ruvidi ceppi,
Che sotto i
muschi s’affonda.
Lasciate che
abbracci i fusti
De’ vecchi abeti
nel folto,
Che tuffi
nell’erba il volto,
Che acerbe
coccole gusti.
Lasciate l’anima
mia
Tutta passar
nelle cose,
E cercar l’anime
ascese,
Mute in lor dolce
malìa.
(da "Le
poesie", Chiantore, Torino 1922, pp. 1082-1083)
Arturo Graf mi pare un poeta di assoluto rilievo e una bella figura d'intellettuale docente e critico letterario.
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