Ecco una raccolta
poetica che pochissimi conoscono, scritta da Italo Dalmatico¹, a cui
qualche anno fa dedicai un post inserendolo tra i poeti dimenticati. In verità
di lui si seppe e si scrisse ben poco anche ai suoi tempi; qualche sua poesia è
possibile trovarla nelle pagine di una prestigiosa rivista quale certamente fu
il Marzocco, e in qualche sparuta antologia
d'inizio Novecento. Il solo Glauco Viazzi: critico letterario da me citato
spesso, si ricordò del poeta italo-croato molti anni dopo la sua misteriosa
scomparsa, inserendolo nelle due splendide antologie da lui stesso curate: Poeti simbolisti e liberty in Italia e Dal simbolismo al déco. In quest'ultima,
presentando alcuni versi tratti da Juvenilia,
Viazzi precisa alcune particolarità dell'unica opera poetica in lingua italiana
pubblicata da Dalmatico:
[...] Del resto Juvenilia raccoglie poematicamente in
canzoniere i risultati dell'esperienze le più disparate, si va dal familiare al
riflessivo svolto su fatti esterni o condizioni, magari passando dall'intimismo
ed elegismo all'adozione di forme ricevute georgiche oppur bucoliche; e si
trascorre dalla musicalità fluida degli enjambements alle ridondanti sonorità
di un declamato intenzionato a persuadere, netto e scandito. Uno scrivere che
usa codici differenti nell'ambito dello stesso sistema, e con una motivazione
centrale, quella dell'idea di morte, ora in antitesi con la naturalità e magari
con il vivere ed operare umano collettivo, ora come simbologia di una presenza
continuata, data per segni cosmologici, figurazioni oniriche, anche definizioni
assolute. [...]²
Questa raccolta
fu pubblicata a Zara, nel 1903, dall'editore Enrico De Schönfeld; nelle sue 165
pagine sono comprese ben 65 poesie (ognuna di esse è numerata) divise in due
sezioni: la prima s'intitola INTIME e contiene le prime 48 composizioni in
versi (per lo più sonetti); la seconda è denominata VARIE, e include le restanti 17
poesie.
Chiudo riportando
l'immagine del piatto anteriore della raccolta, l'elenco delle poesie che la
compongono e tre testi incentrati su quello che, come ebbe giustamente a dire
Glauco Viazzi, è il tema più ricorrente e significativo del libro di Italo
Dalmatico.
NOTE
1) Il suo vero
nome era Gerolamo Italo Boxich, e nacque a Spalato nel 1868 e morì a Zagabria
nel 1940. Assunse il cognome italiano "Dalmatico" nel periodo che va
dall'inizio del XX secolo alla fine della Grande Guerra. Dopodiché tornò a
firmarsi col suo vero nome e smise di scrivere in italiano, preferendo la sua
lingua originaria.
2) Da Dal smibolismo al déco, Einaudi, Torino
1981, tomo secondo, p. 357.
ITALO DALMATICO
(G. I. Boxich)
JUVENILIA
VERSI
I. INTIME
1. Che m'hai tu dato, Giovinezza, o amata
2. Ecco, o fratello, io sono l'uomo. Io sono
3. Limosinante anch'io, come coloro
4. Io levo il capo con nova fermezza
5. Forse io di te mi scorderò. Domani
6. Lina, mia piccoletta sorellina
7. Risorgeranno da le tombe i morti?
8. Voi mi avete inchiodato su la croce
9. Ed il figlio verrà. Tu sola, in tanto
10. O figlio de la terra, il tempo è bello
11. La terra esala l'anima divina
12. Tra voi l'anima mia si fa gioconda
13. Alba. E si spera. Ecco, novellamente
14. Pur che nostro signor Amore voglia
15. Taci. Noi siamo in tenebra fanciulli
16. Pur che tua luce fervida consenta
17. Luce che viene d'oriente. O riso
18. Non le inaccese rupi, ove la neve
19. Ecco, e la Morte bussa. - Io vengo, figli
20. Questo, Morte, darai tu? Pace a noi
21. Un suono, una voce, ricordano i suoni
22. Benignamente tu da questa vana
23. Sudano i gioghi ed al villano arride
24. Se maggio è fosco, quindi giugno è d'oro
25. Lèvati, è giorno. Ecco nel luminoso
26. Questo che prima fu suono disperso
27. Poi che dal battagliar Morte ci toglie
28. Amore splende come un sole e Morte
29. Meriggio. E si fatica. O campo, o tutti
30. Tendetevi, fraterne mani, a noi
31. S'io così, come a buona amica, assai
32. Anima mia, t'inganna il cuore. Tutto
33. Non turbate la mia pace, o sorelle
34. Io, solo, in vetta alla montagna. Passa
35. La imagine di lei che mi sorprese
36. Chi vive de la mia anima al fondo
37. Più nessuna pietà di questo male
38. A i mali de la mia vita passata
39. Dal tuo grembo fecondo, ove matura
40. Ne l'ombra, ove i poeti aman vedere
41. Morte, conviene che tu sia benigna
42. Nel mezzo de la mente portentosa
43. Non chiedere, lettor, perché il poeta
44. Ed ancor mi risuona in cor la voce
45. Onde avvien che le rime escan dal fondo
46. Solo il pensiero della morte resta
47. Da immemorabil tempo, pria che fosse
48. Le notti, allor che il lume de le stelle
II. VARIE
49. Notte sul
Montenegro
50. Vespero
51. La cheta cena
52. Il racconto
53. Eutanasia
54. In memoria
55. La coscienza
56: "Ballate
dell'amore lontano"
I. Ecco, io ti dico l'ultima parola
II. La casa tace e la bambina è cheta
III. Non sospirar. La tua bambina dorme
IV. Ascolta. Dorme. A pena il labbro
oscilla
V. Poi che l'ultimo sole è tramontato
VI. Così, ne la tristezza vespertina
57. Il condannato
(I-III)
58. La impura
59. Il sogno
(I,II)
60. Invidia
61. Motivo lunare
62. La guida
63. I vecchi
64. Belfiore
65. Il rimorso
TESTI
20.
Questo, Morte,
darai tu? Pace a noi
che fummo, ne la
vita, anime in pene,
cercando nostro
durevole bene,
dilacerati da'
martiri suoi?
Se questo fosse!
E tu ne le serene
ombre, nel freddo
de i riposi tuoi,
tu avessi quella
che cercammo noi
quassù, ma
invano, fonte d'ogni bene
durevole e più
dolci sogni; e sogni
dolci così che
fosser medicina
a l'acre piaga in
ogni mite cuore
aperta,
sanguinosamente in ogni
cuor di poeta e
cuor di sognatore,
mirabile rosetta
porporina!
(da "Juvenilia", p. 28)
28.
Amore splende
come un sole e Morte
come un placido
mar sotto si stende.
Eternamente così
Amore splende
e si rispecchia
nel mar de la Morte.
O de la nostra
vita paesaggio
triste e solenne,
o vita fra due abissi,
con due soli, ne
l'alto e nel profondo!
L'uomo contempla
lo strano miraggio
e gli brulica
dentro gli occhi fissi
la forma di un
pensiero: oh, il moribondo
rettile apparso,
oh, il vile essere immondo,
che brilla quanto
un lampo di follia
e già si solve in
torpida agonia
ne gli occhi
fissi di tra Amore e Morte!
(da "Juvenilia", p. 36)
53. EUTANASIA
Dolcemente
morire:
tale gioconda
cosa
chiede l'anima
stanca.
Salire in una
bianca
serenità. Sentire
la Morte
veniente.
Tale gioconda
cosa
chiede l'anima
stanca:
dolcemente
morire.
Ancòra. Sia
presente
la donna
lacrimosa.
La buona mano
bianca
cerchi la mano
bianca
del povero
morente.
Dica assai
dolcemente:
«non morir, non
morire.»
Sia dentro la pietosa
voce tutta una
ascosa
dolcezza. Non
morire.
E pianga.
Avidamente
io da la faccia
bianca
il bianco pianto
fluente
beva. La dolorosa
parola «non
morire»
gema. Pur ne la
stanca
voce lenta
sfiorire
la speranza
amorosa
io senta. E
dolcemente
io mi senta
morire.
Muoja meco nel
cielo
d'occidente il
gran sole
rosso. Io veda
calare
il sole moribondo
dal suo cielo
profondo
nel mio profondo
mare.
Ambo ricopra il
velo
de l'ombra. Meco
il sole
muoja. Dica
parole
la donna al
moribondo
dolcissime.
Parole
nove, che mai
sonare
udimmo. Dal
profondo
occhio stillino
rare
lacrime e su dal
biondo
crine odor di
viole
conforti il
moribondo
senso. Dica
parole
ella. Muoja nel
cielo
meco morendo il
sole.
Tale chiede
giocondo
morir l'Anima.
Amare
la Morte.
Riposare
come dentro un
profondo
giaciglio. Udir
parole
dolci. Vedere il
sole
moribondo dal
cielo
lentamente
calare.
Effluvio di viole
assai mite
odorare.
(da "Juvenilia", pp. 89-92)
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