Probabilmente il
nome di Domenico Tumiati (Ferrara 1874 - Bordighera 1943) oggi è completamente
ignorato. Pure, ebbe un periodo di fama, non tanto come poeta, quanto come
drammaturgo: buon successo ebbero infatti i suoi drammi storici. Praticò la
poesia soprattutto in gioventù; i suoi versi, oltre che in alcuni volumetti, appaiono
anche in famose riviste letterarie di fine Ottocento e d'inizio Novecento. Musica antica per chitarra, che fu pubblicato dalla Tipografia Landi di Firenze nel 1897, è il suo
secondo e, a mio avviso, migliore libro di versi. Può essere considerata un'opera poematica, dato che,
dall'inizio alla fine, si racconta una storia per frammenti. L'atipicità del
testo di Tumiati - anche se non fu il primo in Italia a tentare una cosa del
genere - consiste nel creare, per ogni sezione del suo poema, un'atmosfera musicale
corrispondente alle emozioni del protagonista, ovvero del Poeta; ciò risulta
evidente, oltre che dal titolo del libro, dalle brevi prose che seguono i
titoli delle sezioni: descriventi gli strumenti e il tipo di musica che, forse,
nell'intenzione di Tumiati avrebbero dovuto fare da accompagnamento alla
recitazione dei versi. Per spiegare meglio la struttura dell'opera poetica,
riporto un frammento del critico Glauco Viazzi, estratto dall'antologia Dal simbolismo ad déco (si trova a
pagina 81 del primo tomo):
In Musica antica per chitarra il Tumiati
costruisce, secondo un prototipo isotteo, un Antico Palagio come luogo di una
vicenda mentale ed emozionale, nel quale inscrivere figurazioni che traducono
stati del profondo. Le motivazioni del reale sono tutte ricondotte alla
scrittura, per saggiarne la possibilità di registrare e fermare tanto il
pensato che l'intraveduto o il rimemorato, sia per oggettivazione che per
astrazione [...]
Il volumetto, di 96
pagine, contiene 61 poesie, divise nel seguente modo: due sezioni brevissime
(includono soltanto una poesia) poste all'inizio e alla fine del poema, che
portano entrambe il medesimo titolo: PER INANIA REGNA; sette sezioni
rispettivamente così intitolate: OMBRE DI NEVE; VELI D'APRILE; L'INCENSIERE;
DIARIO BREVE; PIANURE LONTANE; MELODIE SACRE.
La prima sezione
è formata da 11 poesie; quasi tutte hanno come tema principale quello di una
donna affascinante e misteriosa, una Dama
che il poeta vede o intravede sempre sola, in vari luoghi, e ogni volta che
ciò accade rimane ammaliato da tale, imprevista e meravigliosa visone, come se
fosse un'apparizione divina. Più rari, ma molto belli, sono i versi che hanno
altri temi, come Il vangelo e Ombra.
Nella seconda
sezione, che presenta una serie di poesie per lo più brevi, in cui vengono
descritti paesaggi e luoghi immersi in un clima primaverile, si avverte
maggiormente il debito verso certo D'Annunzio (soprattutto quello de L'Isotteo e de La Chimera); sporadicamente ricompaiono quegli elementi che
caratterizzano la prima sezione, relativi ad una enigmatica donna che anche in
questi versi appare come una dea: pura, bianca ed estremamente misteriosa.
La terza sezione
poteva essere intitolata "Il trionfo dei sensi", visti i numerosi
riferimenti all'erotismo e al sensualismo che saltano all'occhio; al centro c'è
sempre e comunque la donna enigmatica, già presente nelle precedenti sezioni,
qui descritta in modo meno casto; tant'è che, il poeta riesce a trattenersi a
stento di fronte alla visione di un corpo femmineo particolarmente conturbante,
la cui purezza rischia seriamente di essere compromessa; ad acuire ancor di più
l'atmosfera afrodisiaca, contribuiscono i profumi intensi ed esotici che si
espandono nell'aria circostante, voluttuosamente.
La quarta
sezione, se si tiene conto soltanto del titolo che porta, dovrebbe essere un
diario in versi; in realtà si tratta di un avvicinamento onirico del poeta
verso una vergine che riposa tra i gigli, in un luogo fantastico, situato su le porte dei sogni. E l'atmosfera
sognante attraversa tutti i frammenti qui presenti, dove scompare ogni traccia
di irrequiete voglie (così le
definisce il poeta stesso), e al contrario si notano numerosi elementi
collegati alla purezza ed alla religione. C'è anche un costante clima di
sfinimento, una malinconia che si diffonde e domina sugli scenari che via via
mutano, e che comunque sono ben identificabili nella città di Firenze e nella
sua periferia, e dove, una volta di più, non è mai assente la vergine - che,
guarda caso, si chiama Beatrice - incontrata dal poeta quasi sempre nei suoi
sogni; nei rari momenti in cui si percepisce la sua presenza reale, viene
decritta in modo molto vago.
La quinta sezione
è composta da liriche di argomento bucolico, incentrate sui lavori tipici della
campagna; i luoghi sono quelli del ferrarese, descritti con dovizia di
particolari, includendo anche antiche leggende e nomi di personaggi famosi
facenti parte della storia locale. Il tema che ricorre di più è quello
dell'acqua. Qui si trovano la maggior parte delle poesie che Tumiati salverà,
quando deciderà di pubblicare un volume che riassumesse l'intera sua produzione
in versi.
Infine, la sesta
sezione vede un ritorno dei temi principali della raccolta, con, al centro
dell'attenzione, donne particolarmente sofisticate ed estremamente
affascinanti, avvolte in un'aria sognante, spesso tristi o disperate.
Riporto di
seguito due tra le migliori liriche di quest'opera poetica
"dimenticata".
LA BIANCA NOTTE
Una verginità
nuova
occupa la piazza
vasta:
cammino sopra la
neve.
Ne la notte alta,
chi trova
l'orma? solo la
riceve
quella neve umile
e casta.
Io non so perché
il mio piede
affondare vuole
l'orma
nel velluto che
si frange;
io non so che
cosa vede
il mio cuore,
quale forma
ne la notte alta,
che piange.
Dal palagio
scuro, bianca
pei cristalli
vien la luce:
v'entra, v'arde
la mia vista.
Forse ancora non
sei stanca,
ma nel libro ti
seduce
una luce bianca e
trista.
Forse parli,
piccolina
bocca, di vedute
cose,
di ascoltata
melodia.
La messa del
Palestrina
di stamani, ovver
le rose
pallide, corolla
pia?
Io non so che
pensi, né
so che penso io
pure;
vedo solo a me
d'intorno
de la neve le
ombre pure;
ed è come un
chiaro giorno
celestiale su te.
IL VANGELO
Il piccolo
Vangelo
antico, mi
consola
quando sono più
triste.
A pena qualche
velo,
trame d'ignota
spola
d'oro sacro
commiste;
Qualche velo si
stende
sovra l'anima
mia:
e il mondo
trasfigura
come viso che
prende
una dolcezza pia
sotto una mano
pura.
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