La romantica,
misteriosa, meravigliosa luna, così amata e invocata dai poeti dei secoli
precedenti, già agli inizi del Novecento sembra aver perduto improvvisamente
tutto il suo fascino, tanto che, nel 1909 nacque uno dei più famosi manifesti
del futurismo - firmato dall'ideatore del movimento - che recitava senza troppi
preamboli: "Uccidiamo il chiaro di luna". In realtà, non sono stati
poi molti i poeti italiani del XX secolo che hanno preso alla lettera le parole
di Filippo Tommaso Marinetti: fortunatamente la luna, nei versi dei nostri
scrittori (a parte qualcuno, come si noterà leggendo le poesie sottostanti), ha
continuato ad esercitare la stessa attrazione e un immutato senso di mistero,
malgrado le nuove, importanti scoperte astronomiche in grado di svelare un po'
tutti i segreti che ancora caratterizzavano il pallido satellite terrestre. E
anche quando, con il celebrato allunaggio avvenuto nel luglio del 1969, la luna
ha visto i primi esseri umani violare la sua vergine superficie, i poeti hanno
continuato a decantarla e ad invocarla. Ne sono testimoni queste dieci poesie
che ho selezionato cercando di privilegiare alcuni poeti che fino ad ora non
avevo mai considerato, e che certamente meritavano di comparire nel mio
blog.
STANOTTE, LUNA...
di Giulio
Arcangioli (1881-1943)
Stanotte luna mi sembri tanto vicina,
ai piedi, con lo
strascico nell'acqua.
Poggio l'orecchio
a terra per sentir la tua voce:
è il mare che si
getta addosso ai continenti.
col suo rumore di fronte battuta.
Anneghi intenerita nella nebbia,
baiadera che
reggi l'incensiere,
tra un folto di
colombe combattenti
salendo grado a
grado il Palazzo del Silenzio.
E la strada maestra è polverosa.
Di sotto codesto parato di tepido azzurro,
sorella di letto,
vorrei vederti dormire.
Così vestiti di
soli lontani talvolta
sederci zitti
sulla cassapanca.
Venire il vento e non farci voltare.
Nel tuo àlito candido mi bagno,
vieni con me,
vieni sotto l'ulivo,
porgimi da mangiare nel grembiule.
Tremi come una zanna d'elefante sull'acqua
e un'alta brezza
illumina l'immagine,
la paga con monete d'argento.
Mormora il mondo sfogliandosi in brevi
peccati
e di petali
gronda un tepidario.
Il giorno della
fine sarai di mattutino
reggendo, con la
benda sugli occhi, la bilancia.
(da
"Poesie", Rebellato, Cittadella Veneta 1961)
LA BIANCHISSIMA
LUNA ALTA È SALITA
di Giovanna
Bemporad (1928-2013)
A Leopardi
La bianchissima
luna alta è salita
dopo l’addio del
giorno, a consolare
alberi, campi e
strade. Pensierosa,
con qualche
primula sfiorita in mano,
va una giovane
bruna alla sua casa.
L’aria è tutta
armonia: sarebbe dolce
svanire in questa
immensità serena;
batte a rintocchi
lenti una campana,
tra un poco
d’erba io vedo spalancarsi
la sepoltura. Oh
vertigine d’ombre!
La luna va
calando all’orizzonte
dove si perde la
pianura, e dice
che trapassare al
nulla non è male.
(da
"Esercizi vecchi e nuovi", Edizioni Archivio Dedalus, Milano 2010)
LUNA SULLA CITTÀ
di Giuseppe
Bonaviri (1924-2009)
Una grande luna
d'argento
la città che
dorme
tinge di luci e
d'ombre.
Come tremulo mare
di gemme
i tetti e le
guglie
rilucono, e tante
lune
hanno i vetri.
In quella bianca
città del silenzio
passa un'ombra
e tocca il cielo.
(da
"Quark", Edizioni della Cometa, Roma 1982)
LUNA
di Lorenzo
Calogero (1910-1961)
Paesaggio
immobile sull'acque.
Prima voce del
richiamo
dei pastori
attaccati
alla loro rozza
creta
nell'eccelsa
montagna.
Pascoli, paradisi
inumani
si profilano ai
miei occhi
che
abbrividiscono.
Tutto è ingente
pietra,
immobilità
cristallizzata,
sopito sonno.
(da "Parole
del tempo", Donzelli, Roma 2010)
SELENE
di Enzio Cetrangolo
(1919-1986)
Selene, stasera
il rosso tuo
disco s'intesse
di storie
sommerse;
o forse sei solo
una sillaba sorda,
Selene,
che a volte mi
viene sul labbro
di sera.
(da "I miti
del Tirreno 1944-1957", Mondadori, Milano 1958)
LUNARE
di Nicola
Ghiglione (1915-1990)
Vorrei ardesse la
luna
come non è più
sfinge
e parole illustri
sconvolgenti
ormai la toccano.
Non sono roche,
ecco i
camminamenti
della Pace
e i calli al
piede
dovunque s'alzi
un uomo con mani
legate
per lassù salire
con il pesto
sedere
infittito come
d'aghi.
[da
"Finestre. Poesie edite e inedite (1939-1988)", De Ferrari, Genova
1991]
ESPETTORAZIONE DI
UN TISICO ALLA LUNA
di Gian Pietro
Lucini (1867-1914)
«Luna,
luogo comune
delli sfaccendati
in ogni prova
prosodica,
facile rima ai
sonetti romantici,
belletto e
vernice sentimentale alla bionda e alla bruna
per gustar le
primizie de’ contatti antematrimoniali,
lenocinio
archetipo alle adultere;
mezza maschera
vuota di simboli,
tegghia d’ottone
a friggervi i capricci di Diana,
crachat maggiore
allo stomaco immedagliato del cielo;
Luna, ho creduto
in te:
al tuo patrocinio
incappai nella ragna tesa
da due sguardi e
da quattro parolette,
buscai,
solennemente,
da una verginità
posticcia e macera,
l’imberciatura
classica.
Luna,
clorotica fortuna
d’argento a navigare,
della tua faccia
mi feci un altare:
vi ho deposto, in
offerta, le piú tirchie ed avare soddisfazioni
de’ miei sensi
impotenti e castigati,
tutto quanto
lasciai, con falsa umilità,
alle gioje del
mondo,
alla tentata e
recusatasi felicità.
Luna,
il mio cuor ti
sospira e si svuota
d’amarezze e ti
vomita bestemie:
sono un povero
tisico che rece,
coi coalgoli
rossi, il suo buon cuore.
Luna, balzata sul
palcoscenico del firmamento,
mongolfiera
celeste in convulsione sorretta dal vento,
simulata matrice
in gestazione,
per scodellarci
questa Primavera;
ho vergogna per
Te, che senza velo
balli la danza
del ventre sul cielo.
Occhiaccio
strabico e permaloso,
sbirciami in
terra, sono il tuo sposo,
sogguarda dalla
palpebra rossa e purolenta.
Testè, fosti uno
spicchio verdognolo
gobbuto ad
occidente
di un’acida e
bacata melarancia:
sarai tra poco
compressa e glabra pancia
d’adolescente
isterica:
sarai libidinosa
bocca spalancata,
con lunga lingua
di luce a imbavare
i bei fianchi
alle Nubi vaghe e strane,
prone al divano
dell’orizzonte,
callipigie e
impudiche cortigiane.
Questo a Te,
questo a me
il contagio
conserva alla fregola:
anche sopra le
cime della notte
stirano e snodano
le membra erotte dal peplo le Nubi,
pazze e
infeconde, convulse e corrotte.
Luna,
civetta ipocrita
a starnazzare
per l’aja
insabbiata di stelle,
tra il Carro e lo
Scorpione,
mezza-vergine
falsa collaudata,
sopra il catarro
e il colascione, dalla poesia classica;
ho le vertigini,
non guardarmi piú:
un giovane
impotente e smidollato ti squadra le fiche,
Luna smorta, o
sorella,
oggi compunta e
avvelenata,
dispensatrice di
atroci virtú».
(Da
"Revolverate e Nuove revolverate", Einaudi, Torino 1975)
IMPROVVISO
CHIARORE SUL PORTO
di Anna Maria
Ortese (1914-1998)
Verranno le
notti. Le estive
grandiose notti
che un fiato
caldo c'involge,
e odorano
sì acutamente i
gerani
sul mare oscuro,
ondante.
E a poco a poco,
frattanto
che nelle stanze
risuonano
dilette risa, e
faccende
e suoni della
imminente
cena, s'alza la
luna dal monte
e sopra il mare
rompe
in pianto di
gioia. Rivela
le barche, saluta
i fiori
del mio balcone,
le donne
saluta che in
tenebre cantano,
e i marinai che
sul molo
passeggiano
ilari. In tutte
le stanze penetra
la luna
e tutti i letti
rivela
bianchi e gli
oscuri angoli
dove si pianse. E
il mio
rivela ancora
dall'ambra,
dove io piansi di
acerba
malinconia.
Ricordi?
dirà vagamente la
luna.
Subito mentre
ella vola
per i balconi
festivi
a illuminare le
graziose trecce
delle fanciulle
popolane intente
a pensieri
d'amore,
afferrerà il mio cuore
spavento. Io te
ricorderò, che
candido passasti,
con un sorriso,
dentro l'alba mia,
e sparisti, e
nessuna
cura valeva a
richiamarti. In pianto
io romperò,
veloce,
sulla memoria
atroce e delicata.
Tutta notte
riversa,
fra bei canti,
starò sul letto mio:
solo sul tardi un
fine
raggio dalla
smarrita
mia figura nel
sonno andrà fuggendo
e raccontando
questo scherzo al mare.
(da "Il mio
paese è la notte", Empirìa, Roma 2011)
RITRATTO DELLA
LUNA
di Mario
Stefanile (1910-1977)
Sale fredda nel
cielo questa luna
d'inverno che
resiste:
e nel chiarore si
svela la mestizia
della città
riversa sulla riva.
Lievi sussurri
si muovono dal
mare ai promontori,
dalle foglie si
snidano richiami
di freschi
uccelli e volano
a fiore della
notte.
Ah, non lasciarmi
solo a questo strazio
di luna che fa
morte le creature,
dentro il
silenzio incontra la mia pena.
Ma indifferente
sei, ora sorridi
come la fredda
statua che sovrasta
l'erma intrisa
del parco e la mia vita,
affilata nel
volto e senza cuore:
e il fuoco che a
levante ora barcolla
sul róso labbro
del vulcano accende
una lama di
sangue controvento
e un'effimera
vampa che si perde:
com'io mi perdo,
rassegnato al gelido
lume che spazia
in alto sulle foglie
d'argento
polveroso degli ulivi.
(da "La
tagliola", Rusconi, Milano 1976)
NAUTICA CELESTE
di Andrea
Zanzotto (1921-2011)
Vorrei renderti
visita
nei tuoi regni
longinqui
o tu che sempre
fida ritorni alla
mia stanza
dai cieli, luna,
e siccom'io , sai
splendere
unicamente
dell'altrui speranza.
[da "Poesie
(1938-1986)", Mondadori, Milano 1993]
Odilon Redon, "Boat in the moonlight" (da questa pagina web) |
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