Dalle prime mie
letture sull'argomento e dalle immagini che, ancora bimbo, mi furono mostrate
per comprendere la veritiera struttura dell'universo, rimasi nello stesso tempo
affascinato, sconcertato e deluso da questa realtà ancora troppo sconosciuta,
inesplorata e irraggiungibile. Seppi i nomi dei pianeti che fanno parte del
sistema solare, venni a conoscenza dell'esistenza della Via Lattea e delle
altre galassie sparse nello spazio infinito, degli innumerevoli pianeti, delle
infinite stelle e dei possibili-impossibili mondi che formano il cosmo. Ma
siamo i soli ad esistere, in questo sterminato spazio? Certo che no! Dovranno
per forza esserci altri esseri viventi, magari diversissimi da noi e così
distanti da non poterli mai raggiungere; così ci dicono gli scienziati e gli
astronomi, i quali sono certi dell'esistenza di altre forme viventi, neppure
così lontane da noi. E se, sperduto nell'universo o al di fuori di esso,
esistesse anche Dio? Tra queste dieci poesie in lingua italiana che parlano
dell'universo, ci sono almeno un paio di poeti che riescono a vedere una sorta
di armonia cosmica, in cui qualcosa somigliante a una divinità è capace di
gestire lo spazio e il tempo, il tutto e il nulla, la vita e la morte, l'essere
e il non-essere. Io, sinceramente, più osservo l'universo e più vedo soltanto
vuoto, silenzio, non-vita, caos... Penso che, malgrado la vita fosse molto più
difficile rispetto ad oggi, da questo punto di vista siano stati più fortunati
gli uomini vissuti quattro secoli or sono, prima che Galileo Galilei si
accorgesse del fatto che la Terra non era al centro dell'universo, come tutti
pensavano. Allora, per ovvie ragioni era più facile poter credere a Dio e al
fatto che il nostro pianeta fosse più importante di ciò che è realmente.
Comunque la si pensi al riguardo, buona lettura.
ALLE GALASSIE...
di Francesco
Carchedi (1909-1987)
Mare, urli fiero
o protesti
ammonimento, tu
alleato
o avverso alla
bestia
umana cui
esperienza
dà su elemento
dominio?
Ma tu
musica sei: pace,
fragore,
abbattimento,
vittoria.
Vittoria su mare,
su aria,
su astri. Viva
Iddio che non è
ardimento, né
quiete.
(da "Sono
sotto le stelle", Edizioni di «Dialoghi», Roma 1963, p. 105)
BELLE CARNI DEL
COSMO...
di Girolamo Comi
(1890-1968)
Belle carni del
cosmo tutte orlate
d'una nativa e
fatale armonia,
e luci della voce
che dorate
le curve degli
spazi e degli istanti
d'una profonda e
continua magia,
onde del verbo
cariche di canti
e d'inni antichi
in cui si svela il fiato
del mistero che
governa il creato,
oscuri scambi di
semi contrari,
in voi matura
lentamente il terso
respiro dello
spirito universo.
(da "Opera
poetica", Longo, Ravenna 1977, p. 44)
ALTA SULLE NUBI
di Alberto
Frattini (1922-2007)
Alta sulle nubi,
regina
della pura notte
è la luna.
Ma vivo,
sull'irreale
ghirlanda di
mille paesi
è il vento,
signore dei monti,
onda selvaggia e
rapina.
Già l'astronauta
fantasma
s'arma a disfida
di spazi:
milioni
d'anni-luce
verso i placidi
gorghi
delle remote
galassie. Si sporge
il nostro seme
sull'estremo ciglio
del suo fiorito
sepolcro.
E brulica lo
spazio di sogni
ma solo le stelle
qui danzano,
nell'urlo chiaro
del vento,
e io sono sprone
di roccia,
ala di rondine,
occhio
impietrato di
sparviero.
Respiro in questo
uragano
di trascorrenti
chimere,
sulla montagna
che dorme
nell'occhio di
luna-regina.
[da "Salute
nel miraggio (1956-1964)", Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1965, p.
45]
QUANDO, INTENTI
AL DECLINO DELLE STELLE
di Tommaso
Landolfi (1908-1979)
Quando, intenti
al declino delle stelle,
Cerchiamo in
cielo traccia della morte,
Ivi scorgiamo
errare umane celle
Alla conquista
d'altri mondi volte.
Non il vitale
spazio ci è conteso,
Ma il mortale:
dovrà la nostra morte
Non aver, dunque,
a specchio l'infinito
E consumarsi
sordida e meschina
Su questa terra
che ci fu matrigna?
Astronauti,
ridateci uno spazio
(Almeno) vuoto
d'uomo.
(da"Viola di
morte", Adelphi, Milano 2011, p. 86)
BIG BANG O ALTRO
di Eugenio
Montale (1896-1981)
Mi pare strano
che l'universo
sia nato da
un'esplosione,
mi pare strano
che si tratti invece
del formicolìo di
una stagnazione.
Ancora più
incredibile che sia uscito
dalla bacchetta
magica
di un dio che
abbia caratteri
spaventosamente
antropomorfici.
Ma come si può
pensare che tale macchinazione
sia posta a
carico di chi sarà vivente,
ladro e assassino
fin che si vuole ma
sempre innocente?
(da "Tutte
le poesie", Mondadori, Milano 1996, p. 545)
FRANTOIO DI
STELLE...
di Arturo Onofri
(1885-1928)
Frantoio di
stelle, che in schiume
cantanti trabocca
del mosto
degli angeli, è
il sangue che assume
certezza del suo
proprio nume
dal Verbo in lui
stesso riposto,
che spezza le mura
del petto vetusto
e n'esce in figura
d'un virido arbusto.
Tu sei tutta
grappoli, o Vite
del gran
Vignaiolo dei mondi!
Gemendo da sette
ferite,
ci apristi le
glorie infinite
dei cieli, ma in
noi sovrabbondi
nel sangue, dal tino
del Padre celeste:
seràfico vino
che bolle in tempeste:
in ardue tempeste
di luce
negate dagli
esseri bui,
ma fiàmmee
nell'Io che conduce
le nostre più
sacre fiducie
d'alzarci,
tutt'uno con Lui,
nel fuoco fraterno
di noi creature:
del suo regno eterno
parlanti figure.
(da
"Terrestrità del sole", Vallecchi, Firenze 1927, pp. 127-128)
IL BOLIDE
di Giovanni
Pascoli (1855-1912)
Tutto annerò.
Brillava, in alto in alto,
il cielo azzurro.
In via con me non c'eri,
in lontananza, se
non tu, Rio Salto.
Io non t'udiva:
udivo i cantonieri
tuoi, le rane,
gridar rauche l'arrivo
d'acqua, sempre
acqua, a maceri e poderi.
Ricordavo. A'
miei venti anni, mal vivo,
pensai tramata
anche per me la morte
nel sangue. E,
solo, a notte alta, venivo
per questa via,
dove tra l'ombre smorte
era il nemico,
forse. Io lento lento
passava, e il
cuore dentro battea forte.
Ma colui non
vedrebbe il mio spavento,
sebben tremassi
all'improvviso svolo
d'una lucciola, a
un sibilo di vento:
lento lento
passavo: e il cuore a volo
andava avanti. E
che dunque? Uno schianto;
e su la strada
rantolerei, solo...
no, non solo! Lì
presso è il camposanto,
con la sua fioca
lampada di vita.
Accorrerebbe la
mia madre in pianto.
Mi sfiorerebbe
appena con le dita:
le sue lagrime,
come una rugiada
nell'ombra,
sentirei su la ferita.
Verranno gli
altri, e me di su la strada
porteranno con
loro esili gridi
a medicare nella
lor contrada,
così soave! dove
tu sorridi
eternamente sopra
il tuo giaciglio
fatto di muschi e
d'erbe, come i nidi!
Mentre pensavo, e
già sentìa, sul ciglio
del fosso, nella
siepe, oltre un filare
di viti, dietro
un grande olmo, un bisbiglio
truce, un lampo,
uno scoppio... ecco scoppiare
e brillare,
cadere, esser caduto,
dall'infinito
tremolìo stellare,
un globo d'oro,
che si tuffò muto
nelle campagne,
come in nebbie vane,
vano; ed illuminò
nel suo minuto
siepi, solchi,
capanne, e le fiumane
erranti al buio,
e gruppi di foreste,
e bianchi ammassi
di città lontane.
Gridai, rapito
sopra me: Vedeste?
Ma non v'era che
il cielo alto e sereno.
Non ombra d'uomo,
non rumor di péste.
Cielo, e non
altro: il cupo cielo, pieno
di grandi stelle;
il cielo, in cui sommerso
mi parve quanto
mi parea terreno.
E la Terra sentii
nell'Universo.
Sentii, fremendo,
ch'è del cielo anch'ella.
E mi vidi quaggiù
piccolo e sperso
errare, tra le
stelle, in una stella.
(da "Canti
di Castelvecchio", Rizzoli, Milano 1993, pp. 395-397)
DISTRAZIONE
INTRAPLANETARIA
di Gianni Rodari
(1920-1980)
Chissà se a
quest’ora su Marte,
su Mercurio o
Nettuno,
qualcuno
in un banco di
scuola
sta cercando la
parola
che gli manca
per cominciare il
tema
sulla pagina
bianca.
E certo nel cielo
di Orione,
dei Gemelli, del
Leone,
un altro
dimentica
nel calamaio
i segni d’interpunzione...
come faccio io.
Quasi lo sento
lo scricchiolio
di un pennino
in fondo al
firmamento:
in un minuscolo
puntino
nella Via Lattea
un minuscolo
scolaretto
sul suo libro di
storia
disegna un
pupazzetto.
Lo sa che non sta
bene,
e anch’io lo so:
ma rideremo
insieme
quando lo
incontrerò.
(da
"Filastrocche in cielo e in terra", Einaudi, Torino 1972, p. 30)
INTERVISTA
ALL'OSSERVATORIO
di Mario Socrate
(1920-2012)
Inutile, è una
domanda anzitempo.
Già altre volte
immaginarono
di proiettare fra
le stelle,
come una
costellazione,
un segno di
comunicazione intelligente:
il teorema di
Pitagora si scelse.
Ebbene, forse voi
credete
che l'arco senza
fondo della volta
sia un vuoto
vertiginoso di silenzi.
Vi posso dire,
allora, che verso
questa terra,
appena sospettabile,
l'universo già
dilaga di pensieri
che a onde si
sospingono, e che parla
da sistemi
solari, nell'aldilà
di decine d'anni
luce, e fra decine
e decine d'anni
luce
qui approderanno
le parole.
Stanno su noi
precipitando illibate.
Poiché non
sappiamo ancora che rispondere,
ecco, non potremo
capirle.
Ma muoveremo lo
stesso loro incontro,
seppure è nostro
destino
ignorando morire.
Ci basti che
quando altri, ormai maturi,
sapranno lanciare
la risposta,
è anche dalla
nostra morte
che riceveranno
il sì dell'aldilà.
(da "Favole
paraboliche", Feltrinelli, Milano 1961, pp. 25-27)
LAMENTO DEL
VECCHIO ASTRONAUTA
di Sergio Solmi
(1899-1981)
Che ho mai
conosciuto
io, delle calde
cose
che chiamano il
mondo, la vita? Per anni
ho azionato i
propulsori, i razzi
frenanti, ho
controllato
i giroscopi, ho
sorvegliato
gl’indici dei
campi
di gravitazione,
l’accendersi e spegnersi
delle luci nei
cruscotti.
Per anni
ho valicato
l’oceano senza riva,
la sfera
illimitata, il tuttonulla,
il vacuo dove non
c’è più
né sopra né
sotto, né orienti
né occidenti, ma
solo la vorticante,
la fiaccolante
notte dell’abisso.
In ogni punto ero
nel centro
e l’orizzonte in
nessun luogo.
I flussi ho
solcato
variocolori delle
meteore, ho bordeggiato
gli astri in
fusione, i soli spenti
alla deriva
sull’orbita, ho sorpreso
l’esplodere delle
novae, sul capo
(o sui piedi?) mi
trascorrevano,
s’infittivano, si
diradavano
le nebule, le
galassie. Con la lieve
pressione del
dito ho districato
la rotta esile
tra le voragini
delle forze in
tensione.
Che ho mai
conosciuto
degli uomini,
delle loro storie? Dicevano
che in un’ora del
mio volo
sfiorivano,
rinascevano
le ere, le
civiltà. Non me ne sono mai accorto.
Ho avvistato
talora
teneri pianeti
venati
d’ombre, di mari,
di nubi,
ma a tale
distanza che poco più tardi
potevo pensare a
un’illusione. Tornavano
a confondersi per
entro il pullulare
enorme delle
costellazioni mutevoli,
a dileguarsi
nell’orrido avanzare
del numero, tra
le colorite,
inerti, abbacinanti,
astratte
geometrie del cosmo.
Ho forse
mai conosciuto le
domeniche lungo il fiume,
i luoghi ombrosi,
le risa
sotto la pergola,
i colpi
dei giocatori di
bocce? E i ritorni a notte alta?
I miei approdi
seppero soltanto
le bandiere,
i fari, le
strisce, le rampe
degli astroporti.
E all’uscita
dalla cabina di
decompressione, m’attendeva
calma, eguale,
fissata,
fuor dallo
spazio-tempo,
la soglia della
casa.
(da "Opere.
Poesie, meditazioni e ricordi - Tomo Primo. Poesie e versioni poetiche",
Adelphi, Milano 1983, pp. 86-87)
Pablo Carlos Budassi, "Artist's conception of the Big Bang" (da questa pagina web) |
Bello ma potreste mettere delle poesie
RispondiEliminaun pò più semplici😅
Belle e interessanti. Grazie! 😊
RispondiElimina