lunedì 3 aprile 2017

Poeti dimenticati: Guelfo Civinini

Nacque a Livorno nel 1873 e morì a Roma nel 1954. Il suo nome è maggiormente ricordato per gli ottimi servizi giornalistici da lui firmati sul Corriere della Sera: quotidiano nel quale Civinini lavorò per circa venti anni, inizialmente come inviato e quindi come collaboratore esterno; a tal proposito, famosi, rimangono ancora oggi i suoi reportage di guerra. Fu anche librettista (suo è il testo della celebre opera lirica di Puccini: La fanciulla del West) e poeta. I migliori versi di Civinini sono raccolti in due volumi che pubblicò tra il 1900 ed il 1911: qui si può constatare la sua predilezione per alcuni autori francesi e italiani tardo-romantici (evidenti le somiglianze con diversi testi di Maeterlinck e di Giorgieri Contri). In seguito, pur mantenendo quei connotati, mostrò simpatia per la poesia crepuscolare, di cui può definirsi un epigono.



Opere poetiche

"L'Urna", Dante Alighieri, Roma 1900.
"La ninna-nanna del piccolo Alessio", Dante Alighieri, Roma 1904.
"I sentieri e le nuvole", Treves, Milano 1911.
"Cantilene", Mondadori, Roma 1920 (1954²).




Presenze in antologie

"Poeti d'oggi (1900-1920)", a cura di Giovanni Papini e Pietro Pancrazi, Vallecchi, Firenze 1920 (pp. 118-121).
"Le più belle pagine dei poeti d'oggi", 2° edizione, a cura di Olindo Giacobbe, Carabba, Lanciano 1928 (vol. II, pp. 142-150).
"Antologia della lirica italiana. Ottocento e Novecento", nuova edizione, a cura di Carlo Culcasi, Garzanti, Milano 1947 (pp. 234-235).
"L'antologia dei poeti italiani dell'ultimo secolo", a cura di Giuseppe Ravegnani e Giovanni Titta Rosa, Martello, Milano 1963 (pp. 227-230).
"I crepuscolari: saggio e composizioni", a cura di Nino Tripodi, Edizioni del Borghese, Milano 1966 (pp. 259-271).
"Poeti simbolisti e liberty in Italia", a cura di Glauco Viazzi e Vanni Scheiwiller, Scheiwiller, Milano 1967-1972 (vol. I: pp. 52-62; vol. II: pp. 56-59).
"Poeti italiani del XX secolo", a cura di Alberto Frattini e Pasquale Tuscano, La Scuola, Brescia 1974 (pp. 259-265).
"Dal simbolismo al déco", a cura di Glauco Viazzi, Einaudi, Torino 1981 (tomo secondo, pp. 363-371).
"Gozzano e i crepuscolari", a cura di Cecilia Ghelli, Garzanti, Milano 1983 (pp. 159-185).
"Otto secoli di poesia italiana", a cura di Giacinto Spagnoletti, Newton Compton, Roma 1993 (pp. 607-608).



Testi


UNA VILLA

Io conosco una villa abbandonata
fuor delle mura, a capo d'un viale
di cipressetti polverosi, eguale
sempre nella sua grazia desolata.

Dai ferri della vecchia cancellata,
fra i rami del bel parco baronale,
si scorge un palazzetto. Un ogivale
finestra da gran tempo è spalancata.

Da gran tempo è così. chi sa? La mano
che la dischiuse or forse sarà immota.
Stillan gli alberi lacrime gelate

sopra le violette che son nate
a' lor piedi, dolcezza buona e ignota:
ed ha quel pianto un alto senso umano.

(da "L'Urna")





TRISTEZZA D'UNA SERA D'OTTOBRE

Son rientrato or ora. Per la via
di casa s'accendevano i fanali
tremuli fuochi di malinconia.

Ha piovuto per tutta la giornata.
Son già le prime acque autunnali.
Poi l'aria a vespro s'è rasserenata.

Ma in questa trasparenza d'ametiste
il cielo è come un'anima ch'è stanca
di piangere, ed ancora è tanto triste.

Nessun passava, per la via remota:
incombeva una gran nuvola bianca
sovra le case, tragica ed immota,

un pianger di campane era nell'aria,
dai platani cadean le prime foglie;
tremava qualche stella solitaria;

ed un accoramento indefinito
era in quell'ora satura di doglie
che mi tenea come un fanciul smarrito:

un fiorir vago di memorie spente,
di rimpianto per ogni ben perduto
cui passai forse accanto indifferente:

volti di donne intravedute appena,
anime apparse in gesto di saluto
per qualche solitudine serena,

fantasmi erranti che più non ravviso
chiusi nei veli della lontananza,
ombre di pianto, luci di sorriso

rievocanti all'anima in tremore
un fulgor biondo, un'aria di romanza,
un mattin d'oro, una veranda in fiore.

Dogliosa nostalgia, la più dogliosa:
quella di ciò che trascurammo, e ov'era
forse la nostra dolce sorte ascosa.

Forse... Triste parola, triste quale
fra le rame dei platani stasera
questo languor di cielo autunnale:

triste e pur buona, che pur s'addolora
ne illude ancor di qualche tenerezza
di cui viviamo, in cui crediamo ancora,

di cui può ancora l'anima sognare,
l'anima ch'ebbe a tedio ogni certezza
e il sogno solo può ancor consolare.

Ma questa sera, oh, nulla la consola:
così triste è la casa all'imbrunire
quando si è soli, e pur l'anima è sola.

Le cose amate, le cose più care
son come morte e più nulla san dire
in questa scialba angoscia che traspare

di tra i ricami delle tende bianche
nell'agonia dell'ultimo chiarore
fra voci di campane umili e stanche.

Tristezze d'un crepuscolo! Nell'ombra
una pendola batte: un vecchio cuore
triste, che una mortal stanchezza ingombra.

«Addio» mormora l'anima dolente.
Perché, non sa. Vede svolare a frotte
fra rade stelle fantasime lente

nubi di sogni, vanienti forme
perdute incontro all'imminente notte
verso il mistero immobile ed enorme,

e un bisogno d'addii, forse di pianto,
la stringe. Qualcheduno è per partire?
Non sa. Forse è partito già, da tanto,

da tanto tempo. «Addio» mormora ancora
e piange stanca, e sentesi morire.
Di che, non sa. Malinconia l'accora.

(da "I sentieri e le nuvole")


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