Dall'oceano, onde
emergono ancorati
i continenti della
terra viva,
ascendono a una luce
senza riva
ricordi dei sommersi
evi passati.
Sembra che,
ricordando, si dilati
l'anima della terra
sensitiva
a ripensar quand'ella
trasaliva
d'infanzia, al cenno
dei suoi dèi beati.
Ora li porta in sé,
nel cielo ormai
della propria sua
anima, che ha foce
entro abissali lave e
polipai;
ma i raggianti
ricordi, sui frangenti
dell'oceano, ora
formano la croce
nera, che sboccia in
sette rose ardenti.
Questo sonetto di Arturo
Onofri (1885-1928) si trova nel volume poetico "Suoni del Gral" (Al
tempo della fortuna, Roma 1932), uscito a quasi quattro anni dalla morte del
poeta romano e che rappresenta il penultimo capitolo del cosiddetto Ciclo lirico della terrestrità del sole.
Precisamente, si tratta della poesia n° 11 del suddetto volume.
Chi è a conoscenza
dell'ultima parte dell'opera poetica onofriana, è anche consapevole della sua
enorme difficoltà e della sua incredibile sovrabbondanza. Tutto il "Ciclo
lirico", ovvero circa un migliaio di liriche, si fonda su una poetica trascendente
ben spiegata nel saggio Nuovo
Rinascimento come arte dell'io, pubblicato da Onofri nel 1925, che dimostra
il netto avvicinamento del poeta alle teorie occultistiche del filosofo Rudolf Steiner. In questi versi, sembra che il pianeta Terra sia un
essere pensante, che è capace quindi di ricordare il passato e, soprattutto, la
sua infanzia. La Terra possiede un'anima colma di ricordi, che, come spiega
bene l'ultima terzina del sonetto, hanno forma di croce nera, e che, infine, sbocciano in sette rose ardenti. Lampante, in queste parole, il riferimento alla
dottrina esoterica dei Rosa Croce racchiusa nei tre testi intitolati: Fama Fraternitatis, Confessio Fraternitatis e Le
nozze Chimiche di Christian Rosenkreutz.
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