ne la villa Medici
Filtra il sole di
Marzo tra i sambuchi
tutti verdi d'un bel
verde di prato,
i gerani ne l'orto
tappezzato
rinnovano i lor
petali caduchi.
Nei viali le
giallastre erme dei duchi
dimenticano il lusso
del passato,
le fontane pettegole
il lor grato
tremolio riprendono
di fuchi.
Apollo, tra le dee
boscherecce
quali di marmo e
quali di pietra,
qualche verro
selvaggio attende al varco,
e ne l'attesa inutile
le frecce
gli cadon da la
logora faretra,
e si ripiega su sé
stesso l'arco.
Sole di marzo è una poesia di Corrado Govoni (Tamàra 1884
- Lido dei Pini 1965) che uscì nella raccolta Le fiale (Lumachi, Firenze 1903). Precisamente, essa fa parte della
sezione Il Piviale de l'Autunno, ed è
la terza poesia di cinque comprese nella sottosezione Ver triste (pag. 186-187). Il sottotitolo: ne la villa Medici, sta ad indicare che fu composta o quanto meno
ideata, durante una peregrinazione del poeta emiliano all'interno del famoso
parco romano; tale discorso vale anche per molti altri componimenti poetici
presenti in questa raccolta, dove i sottotitoli indicano precisi luoghi
presenti all'interno della città eterna. La poesia ben s'inserisce nelle
atmosfere decadenti e liberty che caratterizzano questa opera d'esordio di
Govoni: un parco con i viali contornati da erme e da fontane dove appaiono
deità pagane, spesso in atteggiamenti pensosi od oziosi. Qui c'è Apollo che,
circondato da dee boscherecce di pietra, attende l'arrivo di un verro (maiale
da riproduzione) per potergli scoccare un dardo; ma nell'ultima terzina di
questo sonetto, il poeta rivela l'inutilità di quest'attesa, che si allunga
particolarmente e causa, forse per distrazione, la caduta delle frecce dalla
faretra del dio. Il ripiegarsi su sé stesso di quest'ultimo, sta ad indicare,
con molta probabilità, una sorta di chiusura verso l'esterno, nata, appunto,
dalla totale frustrazione che comporta il ripetitivo susseguirsi di determinate
azioni inutili. Nella prima quartina si nota la descrizione di un paesaggio che
annuncia la primavera, con la precoce fioritura di alcuni gerani (ma i petali
sono caduchi, ad indicare, anche nella stagione della rinascita, un ennesimo
senso di disfacimento) e il verde intenso dei sambuchi. Nella seconda quartina
Govoni descrive un generale cambiamento di rotta, probabilmente dovuto alla
nuova stagione imminente, che viene percepita anche dalle statue e dalle
fontane, quasi fossero esseri pensanti. Certamente l'ambientazione pre-primaverile
ha poco a che vedere col titolo di questa sezione; ma l'inserimento di questo
sonetto è giustificato in quanto parte della sottosezione Ver triste (in latino: primavera triste), perché la bella stagione
qui diviene qualcosa di malinconico e di sfinito: similmente all'autunno.
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