Scrissi una poesia
tutta di primavera,
piccoletta, leggera,
vibrante d'armonia.
Quando l'ebbi finita
sorrisi e la
stracciai.
Di quella carta sai
feci una gran
fiorita.
I pezzetti minuti
bianchi, cadder
nell'orto
e non so che
sconforto
ebbi per quei
rifiuti.
Poi risi: ogni
pezzetto
di carta era
stellina,
fior di melo, pruina,
caduti a mio
dispetto.
Tornai alla mia lieta
scrivania,
rondinotto.
Sentii dire lì sotto:
«Lassù ci sta un
poeta».
Questa poesia di
Marino Moretti è tratta dal volume Tutte le poesie (Mondadori,
Milano 1966). Si trova alla pagina 485, nella sezione Fraternità, che in parte
riprende, con molte varianti, la raccolta omonima pubblicata dal poeta
romagnolo nel 1905. Probabilmente, quando la scrisse, Moretti non aveva ancora
compiuto venti anni. All'apparenza semplice e cantabile, la lirica è in realtà
molto profonda e possiede un discreto numero di simbolismi. Come si evince dal
titolo, l'ambientazione è quella primaverile; il poeta parla al passato,
descrivendo un evento che gli ha cambiato la vita: la stesura della sua prima
composizione in versi. Moretti ci dice che questa primissima poesia aveva come argomento
principale la primavera e che non era molto lunga; aggiunge quindi altri
aggettivi che vogliono significare l'estrema semplicità e la piacevole
leggerezza dei versi che aveva appena scritto. Ma, probabilmente non
soddisfatto di quella sua prima creatura, tanto da sorriderne (forse perché
avvertì un senso di ridicolezza), stracciò il foglio in piccoli pezzi e lo
gettò dalla finestra. A questo punto avvenne una sorta di miracolo: i pezzetti
di carta, caduti nell'orto sottostante la casa del poeta, si trasformarono in
piccoli fiori: simili a quelli che si notano su molti rami degli alberi all'inizio
della primavera. Il giovane Moretti, dopo aver osservato questa stupefacente
trasformazione (che in realtà era soltanto un'illusione ottica), tornò alla sua
scrivania. In quel momento avvertì il suono di una voce misteriosa che diceva:
«Lassù ci sta un poeta». Era come un segnale, qualcosa che lo rendeva
consapevole del fatto che i suoi versi, apparentemente stupidi ed inutili,
sarebbero stati letti da chissà quante persone, e che al suo nome sarebbe stato
aggiunto quel sostantivo così importane: "poeta". Si tratta, in
sostanza, di una visione premonitrice, che, similmente alle illuminazioni dei
religiosi, spinge una persona a compiere precise azioni e a credere in
determinate cose. Da questo evento, insomma, nacque la poesia di Marino Moretti
che nel giro di pochi anni diventò uno dei poeti più famosi d'Italia e che,
ancora oggi, è presente nelle migliori antologie della poesia italiana
novecentesca.
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