domenica 14 agosto 2022

Il sole in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

 

Il sole: la stella che per noi terrestri rappresenta qualcosa di estremamente importante, poiché, se non ci fosse, non ci sarebbe neppure la vita sul pianeta. Quante poesie e quante canzoni sono state dedicate al sole? Un’infinità. Per quel che concerne la poesia, ho qui trascritto dieci liriche che parlano del sole; quasi sempre, la stella è lodata e osannata, a parte i tre versi di Gaetano Arcangeli, scritti in un periodo di grande sofferenza (in un anno della 2° Guerra mondiale), che parlano di un sole svogliato, stanco di rifare il percorso giornaliero attraverso il cielo. Non sono assenti, infine, i versi ricchi di fantasia, come ad esempio, quelli che descrivono nuovi e misteriosi mondi fatti di ombre e di luci, che nascono grazie ai riflessi dei raggi solari sulle cose terrestri e che soltanto poche persone riescono a intercettare. Ma una giornata di sole – purché non sia troppo calda – è gradita da quasi tutti gli esseri viventi, che grazie al calore e alla luce intensa ritrovano forze ed entusiasmi perduti; e qualche anima bella, allora, può scrivere dei versi gioiosi, oppure canticchiare allegramente quella famosa canzone che comincia con il verso: “Che bella cosa na jurnata ‘e sole!”  

 

 

 

IL SOLE IN 10 POESIE DI 10 POETI ITALIANI

 

 

È LOGORO IL TURNO DEL SOLE

di Gaetano Arcangeli (1910-1970)

 

È logoro il turno del sole,

rispetta irritato l'oario

ormai, questo stanco convoglio...

 

[da "Solo se ombra (1941-1953), Scheiwiller, Milano 1995, p. 84]

 

 

 

 

SOLE

di Girolamo Comi (1890-1968)

 

Fulgida ebbrezza

che Dio ci ha dato

perché vi assaporiamo la carezza

terrestre del creato,

 

e perché dentro il corpo che morrà

echeggi il suo sinfonico calore

quale preludio dell'eternità

che nel consumo rapido delle ore

pregusta già la nostra umanità...

 

(da "Sonetti e poemi", Ceschina, Milano 1960, p. 65)

 

 

 

 

FANTASIA SOLARE

di Giovanni Descalzo (1902-1951)

                                                                               a Umberto Fracchia

Fu la ronca invisibile

del vento balzato improvviso

sulla compatta volta delle nubi,

a crear lo scompiglio nel cielo.

Avvenne la fuga precipitosa

verso il mare, verso la terra,

pigiandosi, scerpendosi

nembo contro nembo

nell'irrompente follia

del panico che incalzava.

Nella prima fenditura

cacciò il sole la sua luce:

fu incendio!

Il vento lasciata la ronca

parve afferrare le torce che ardenti

si attizzavano all'occaso.

Le scagliò sulle nubi atterrite

come un'ultima irrisione;

sorsero allora dovunque

roghi immani, paurosi

lividori di fiamme ondegginti

come vampe di fornaci,

eruzioni senza fine di fumosi

lave uscenti in cateratte;

si formarono crogiuoli e il bronzo fuso

tra la danza dei vapori incandescenti

traboccò su nube e nube

lacerando ed abbagliando.

Poi il vento gettate le torce

avviluppò le fiamme

e in una magnifica ebbrezza,

le soffiò sui boschi,

le lanciò sulle case,

lediffuse sul mare

ed arse tutta la terra.

Nessuna vela sul mare

nessuna ala nel cielo.

Qualche cuore muto,

ebbro anch'esso e partecipe

si trovò solo e dimenticato nel freddo

quando, consunto, il rogo si spense nella notte.

 

(da "Risacca", All'Insegna della Tarasca, Genova 1933, pp. 20-21)

 

 

 

 

 

HO BISOGNO DI SOLE

di Luigi Fiorentino (1913-1981)

 

Piove il sole sui salici

e le fogliuzze cupe

alla brezza

che si trascina una canzone vecchia

si muovon come tanti

piccoli pesci brillanti.

Piove il sole su le arance d'oro

che sorridono festanti,

sui nuovi cedri simiglianti a seni

di vergini fanciulle;

ovunque piove il sole.

 

Eppure ho freddo e devo camminare:

da quale strada vengo, quale faccio?

Risplendi, o sole!

Forse poc'anzi somigliavo ad astro

ed ora son smarrito, ho tanto freddo

e invoco la tua pioggia, amato sole!

 

(da "Cielo stellato", Carabba, Lanciano 1942, p. 31)

 

 

 

 

IL SOLE

di Corrado Govoni (1884-1965)

 

Mentre i buoi arano la terra lucida e bruna,

 

enormi incerte cose bianche cadute dall'uovo di cotone della luna

 

salutata dai galli rochi mattinieri

 

e salutata dalle fruste dei carrettieri

 

che schioccano forte perché inzuppate di rugiada

 

raccolta nella notte lungo la musicale strada,

 

tra i pioppi, eterni inquieti pallidi, è dolce la tua bassa faccia

 

tonda di sana gioia, lustra di vernaccia.

 

(da "Brindisi alla notte", Bottega di Poesia, Milano 1924, p. 73)

 

 

 

 

IL SOLE SUL MURO

di Ada Negri (1870-1945)

 

Fu mia delizia, nell'adolescenza

fugace, con attenti occhi seguire

sulle muraglie del mio verde regno

l'alterno gioco del sole e dell'ombra.

E m'incantavo a decifrar rabeschi

di fronde, in nero sulla calce bianca

a capriccio segnati: era il mio libro

di canti e fiabe, aperto a me soltanto.

Tutto una vampa il muro a mezzogiorno

nei dí sereni: volto dallo sguardo

di fiamma, che nel tempo dell'amore

io riconobbi nell'amante amato.

Ma obliqua l'ombra, serpeggiando a gradi

dal basso, esatto m'indicava il corso

dell'ore; ed io, fra me: – Non verrà mai

un meriggio che sia senza tramonto? –

E quando il sole, al suo sparir, dall'orlo

della cimasa mi diceva «addio»,

sempre quel dubbio m'assaliva: – O luce,

e se domani non tornassi piú? –

Fedele, ogni alba, a me tornò la luce

lungo il fiume degli anni; e fu il mio bene

piú grande: il bene che non si cancella

mai, per volger di tempo e di vicende.

Desiderio non ho d'altra ricchezza,

né m'importa degli uomini; ma imploro

che sol da morte a me luce sia tolta.

E m'è delizia tuttavia, sul muro

del mio terrazzo alto sui tetti, intenta

seguire, come ai fanciulleschi giorni

in cui tutto allo sguardo è meraviglia,

l'alterno gioco del sole e dell'ombra.

 

(da "Vespertina. Il dono", Mondadori, Verona 1943, pp. 104-105)

 

 

 

 

SOLE CHE NASCE

di Carlo Saggio (1897-1997)

 

O mattina, ora d'amore!

Verso oriente, è il sogno della luce

non apparita ancora;

bassa all'orizzonte,

una fascia di porpora traluce,

più e più lucente e impallidita.

Le viole della notte impallidiscono.

Percuote là una lavandaia il suo bucato,

un'altra qua risponde.

Il fiume è simile alle fronde

nuove,

è simile a una guancia di bambino

liscia,

è simile a una pietra non mai vista

versicolore.

 

E poi nel cielo è un paradiso multiforme

e dentro l'acqua sono gigli d'oro

e mille rose immacolate

e violette pallide,

e un riso innumerevole d'amore.

Pigola un uccello e una campana canta

il mattutino.

Ora le nubi sono fuoco senza fiamma,

e son nell'acqua come son nell'aria,

e tutto l'orizzonte è un canto di campane.

Son molte lavandaie che sciaguattano,

gli uccelli si rispondono:

sull'anello de' cieli è nato il sole.

 

(da "Il sogno e l'ala", Alpes, Milano 1924, pp. 33-34)

 

 

 

 

 

SOLE D'OTTOBRE

di Sergio Solmi (1899-1981)

  

Bianco sole d'ottobre appena vivo

che l'ora abbrividente oggi rallumini

il tuo volto di pace è fatto vano

teso il tempo scandisce la mia vita.

Ché le tue cieche braccia omai sol bramo,

le tue dolcezze sfinite, i tuoi baci

smemorati e pesanti,

l'ombra notturna che su noi si serra,

o amore, fresco sepolcro, tu dolce

buio come la terra.

 

(da "Opere, Volume I, tomo primo", Adelphi, Milano 1983, p. 8)

 

 

 

 

 

L'IRRAGIONEVOLE SOLE D'AGOSTO

di Geppo Tedeschi (1907-1993)

 

L'irragionevole sole d'agosto

si dichiara più bello,

stamattina,

della magra campagna

calabrese.

- Ti sbagli terribilmente,

gli urlarono inferociti,

con roteanti bastoni,

d'acacia,

due vallate a strapiombo.

- Mira i nostri damschi, di fiori,

a mille motivi.

Assaggia questo arnacione,

sfiora quel verde a strilli,

dissetati in questo viola.

Allora, il sole,

diventò pensoso.

Più tardi una rondinella,

venuta da poco dal mare,

col battello del vento,

portò una missiva,

scarlatta,

alle mani di un pesco

che lesse lesse, commosso:

- Mi dichiaro stravinto

dai tuoi rari fulgori

calabresi.

Mi dicharo stravinto!

In calce,

proprio in calce,

c'era firmato

IL SOLE.

 

(da "Antologia poetica dal futurismo a oggi 1932-1975", Catria, Roma 1975, pp. 82-83)

 

 

 

 

HORO

di Carlo Vallini (1885-1920)

 

Horo, Iddio Sole, mutano con l'ora

gli aspetti che il tuo spirito riveste.

Kopri è il tuo nome, se tra le foreste

pallide, accendi i fuochi dell'aurora.

 

Poi, quando la tua furia ebra divora

l'etere e un'onda torrida c'investe,

Rhâ tu diventi, il Despota celeste

raggiante dall'altissima dimora.

 

Ma se l'attimo volga e all'infinito

crescano l'ombre intorno e gl'ipogei

ardano contra il tuo disco gigante,

 

tra la porpora e il sangue, Horo, ferito

a morte, nel supplizio ultimo sei

Tumu, l'Ammutolito - il Declinante.

 

(da "Un giorno e altre poesie", Einaudi, Torino 1967, p. 120)

 



Edvard Munch, "The Sun"
(da questa pagina web)


domenica 7 agosto 2022

Poeti dimenticati: Giulio Caprin

 

Nacque a Trieste nel 1880 e morì  Firenze nel 1958. Ebbe discreta notorietà come giornalista; in questo settore si ricordano le sue collaborazioni all’Illustrazione Italiana e al Corriere della Sera, dove pubblicò articoli assai arguti, usando pseudonimi come “Simplicius” o “Pànfilo”. Memorabili anche i suoi libri di prosa, spesso incentrati sulle vicende di guerra. Meno conosciuta è la sua attività di poeta; che pure iniziò già agli albori del XX secolo. Le poche opere in versi pubblicate da Caprin furono lodate, tra gli altri, da Alfredo Galletti e da Lionello Fiumi; fu quest’ultimo a definire lo scrittore triestino quale “poeta fuori commercio”, a evidenziarne la sua completa estraneità dalle mode e dalle tendenze o scuole artistiche del Novecento. Lo stesso Caprin si riconobbe in tale definizione, come si evince leggendo la Dichiarazione posta all’inizio della raccolta di liriche intitolata Un ospite della vita, che fu pubblicata pochi anni prima della sua dipartita.

 

 

 

Opere poetiche

 

“Quattro poesie”, Hôtel de Sagonne, Parigi 1940.

“Oltre la soglia e altre sei poesie”, Hôtel de Sagonne, Parigi 1951.

“Un ospite della vita”, Vallecchi, Firenze 1953, 1954 (2° ed. accresciuta).

“Età: Cinque poemetti”, Vallecchi, Firenze 1956.

 

 


 

Presenze in antologie

 

"La lirica moderna", a cura di Francesco Pedrina, Trevisini, Milano 1951 (pp. 621-629).

 

 

 

Testi

 

 

SETTEMBRE

 

Per la tua prima nebbia

che porta pace e frescura

sii benedetto, Settembre:

 

perché finalmente compiuta

- quando tu in cielo ritorni -

sogniamo la vita e a noi stessi

contiamo i tuoi ultimi giorni,

perché nella tempra del sole,

che le rinfiora, le aiuole

sentono il presagio dell'ombra.

 

Il cielo, sfumando l'azzurro,

s'è fatto alla vista più grande,

e l'infinito ch'è oltre

il sogno s'è fatto più grande;

nel proprio silenzio smarrita

s'attenua e s'affina la vita,

il Vero dai veli si sgombra.

 

Il Vero ch'è triste a chi è stato

nel proprio destino sommerso

ma giusto a chi ha fatto sua vita

particola dell'universo,

come quella foglia che giace,

come la cicala che tace,

come tu che muori, Settembre.

 

È dolce ogni giorno svanire

un poco, fra stanchi pensieri,

comporre in frescure di sogni

l'afa grave dei desideri,

prima che tutti torniamo

nel vuoto mistero che siamo,

che sei tu, divino Settembre.

 

(da «Rivista di Roma», maggio 1911)

 

 

 

 

 

PRIMAVERA: ED IO SONO CO’ I MIEI MORTI

 

PRIMAVERA: ED IO SONO CO’ I MIEI MORTI,

che mi hanno amato, che non aman più.

Cimiteri fioriti del ricordo:

bocche mute che san le mie parole,

occhi chiusi che splendono i sorrisi

primaverili del tempo che fu.

 

Le tue musiche spente, primavera,

le porta un vento di sopra le stelle.

Dove? In che sfera fuori d’ogni sfera

Rivibran gli echi dei canti finiti?

In qual gorgo del tempo si rinfiamma

l’ansia del desiderio che passò?

Albero morto nella selva in fiore,

tormentato da un sogno di fiorire

l’ultima volta, quando morirò?

 

(da “Un ospite della vita”, Vallecchi, Firenze 1954, p. 63)