domenica 7 agosto 2022

Poeti dimenticati: Giulio Caprin

 

Nacque a Trieste nel 1880 e morì  Firenze nel 1958. Ebbe discreta notorietà come giornalista; in questo settore si ricordano le sue collaborazioni all’Illustrazione Italiana e al Corriere della Sera, dove pubblicò articoli assai arguti, usando pseudonimi come “Simplicius” o “Pànfilo”. Memorabili anche i suoi libri di prosa, spesso incentrati sulle vicende di guerra. Meno conosciuta è la sua attività di poeta; che pure iniziò già agli albori del XX secolo. Le poche opere in versi pubblicate da Caprin furono lodate, tra gli altri, da Alfredo Galletti e da Lionello Fiumi; fu quest’ultimo a definire lo scrittore triestino quale “poeta fuori commercio”, a evidenziarne la sua completa estraneità dalle mode e dalle tendenze o scuole artistiche del Novecento. Lo stesso Caprin si riconobbe in tale definizione, come si evince leggendo la Dichiarazione posta all’inizio della raccolta di liriche intitolata Un ospite della vita, che fu pubblicata pochi anni prima della sua dipartita.

 

 

 

Opere poetiche

 

“Quattro poesie”, Hôtel de Sagonne, Parigi 1940.

“Oltre la soglia e altre sei poesie”, Hôtel de Sagonne, Parigi 1951.

“Un ospite della vita”, Vallecchi, Firenze 1953, 1954 (2° ed. accresciuta).

“Età: Cinque poemetti”, Vallecchi, Firenze 1956.

 

 


 

Presenze in antologie

 

"La lirica moderna", a cura di Francesco Pedrina, Trevisini, Milano 1951 (pp. 621-629).

 

 

 

Testi

 

 

SETTEMBRE

 

Per la tua prima nebbia

che porta pace e frescura

sii benedetto, Settembre:

 

perché finalmente compiuta

- quando tu in cielo ritorni -

sogniamo la vita e a noi stessi

contiamo i tuoi ultimi giorni,

perché nella tempra del sole,

che le rinfiora, le aiuole

sentono il presagio dell'ombra.

 

Il cielo, sfumando l'azzurro,

s'è fatto alla vista più grande,

e l'infinito ch'è oltre

il sogno s'è fatto più grande;

nel proprio silenzio smarrita

s'attenua e s'affina la vita,

il Vero dai veli si sgombra.

 

Il Vero ch'è triste a chi è stato

nel proprio destino sommerso

ma giusto a chi ha fatto sua vita

particola dell'universo,

come quella foglia che giace,

come la cicala che tace,

come tu che muori, Settembre.

 

È dolce ogni giorno svanire

un poco, fra stanchi pensieri,

comporre in frescure di sogni

l'afa grave dei desideri,

prima che tutti torniamo

nel vuoto mistero che siamo,

che sei tu, divino Settembre.

 

(da «Rivista di Roma», maggio 1911)

 

 

 

 

 

PRIMAVERA: ED IO SONO CO’ I MIEI MORTI

 

PRIMAVERA: ED IO SONO CO’ I MIEI MORTI,

che mi hanno amato, che non aman più.

Cimiteri fioriti del ricordo:

bocche mute che san le mie parole,

occhi chiusi che splendono i sorrisi

primaverili del tempo che fu.

 

Le tue musiche spente, primavera,

le porta un vento di sopra le stelle.

Dove? In che sfera fuori d’ogni sfera

Rivibran gli echi dei canti finiti?

In qual gorgo del tempo si rinfiamma

l’ansia del desiderio che passò?

Albero morto nella selva in fiore,

tormentato da un sogno di fiorire

l’ultima volta, quando morirò?

 

(da “Un ospite della vita”, Vallecchi, Firenze 1954, p. 63)

 

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