Nacque a Trieste
nel 1880 e morì Firenze nel 1958. Ebbe
discreta notorietà come giornalista; in questo settore si ricordano le sue
collaborazioni all’Illustrazione Italiana
e al Corriere della Sera, dove
pubblicò articoli assai arguti, usando pseudonimi come “Simplicius” o
“Pànfilo”. Memorabili anche i suoi libri di prosa, spesso incentrati sulle
vicende di guerra. Meno conosciuta è la sua attività di poeta; che pure iniziò
già agli albori del XX secolo. Le poche opere in versi pubblicate da Caprin
furono lodate, tra gli altri, da Alfredo Galletti e da Lionello Fiumi; fu
quest’ultimo a definire lo scrittore triestino quale “poeta fuori commercio”, a
evidenziarne la sua completa estraneità dalle mode e dalle tendenze o scuole
artistiche del Novecento. Lo stesso Caprin si riconobbe in tale definizione,
come si evince leggendo la Dichiarazione
posta all’inizio della raccolta di liriche intitolata Un ospite della vita, che fu pubblicata pochi anni prima della sua
dipartita.
Opere poetiche
“Quattro poesie”,
Hôtel de Sagonne, Parigi 1940.
“Oltre la soglia
e altre sei poesie”, Hôtel de Sagonne, Parigi 1951.
“Un ospite della
vita”, Vallecchi, Firenze 1953, 1954 (2° ed. accresciuta).
“Età: Cinque
poemetti”, Vallecchi, Firenze 1956.
Presenze in
antologie
"La lirica
moderna", a cura di Francesco Pedrina, Trevisini, Milano 1951 (pp.
621-629).
Testi
SETTEMBRE
Per la tua prima
nebbia
che porta pace e
frescura
sii benedetto,
Settembre:
perché finalmente
compiuta
- quando tu in
cielo ritorni -
sogniamo la vita
e a noi stessi
contiamo i tuoi
ultimi giorni,
perché nella
tempra del sole,
che le rinfiora,
le aiuole
sentono il
presagio dell'ombra.
Il cielo,
sfumando l'azzurro,
s'è fatto alla
vista più grande,
e l'infinito ch'è
oltre
il sogno s'è fatto
più grande;
nel proprio
silenzio smarrita
s'attenua e
s'affina la vita,
il Vero dai veli
si sgombra.
Il Vero ch'è
triste a chi è stato
nel proprio
destino sommerso
ma giusto a chi
ha fatto sua vita
particola
dell'universo,
come quella
foglia che giace,
come la cicala
che tace,
come tu che
muori, Settembre.
È dolce ogni
giorno svanire
un poco, fra
stanchi pensieri,
comporre in
frescure di sogni
l'afa grave dei
desideri,
prima che tutti
torniamo
nel vuoto mistero
che siamo,
che sei tu,
divino Settembre.
(da «Rivista di
Roma», maggio 1911)
PRIMAVERA: ED IO
SONO CO’ I MIEI MORTI
PRIMAVERA: ED IO
SONO CO’ I MIEI MORTI,
che mi hanno
amato, che non aman più.
Cimiteri fioriti
del ricordo:
bocche mute che
san le mie parole,
occhi chiusi che splendono
i sorrisi
primaverili del
tempo che fu.
Le tue musiche
spente, primavera,
le porta un vento
di sopra le stelle.
Dove? In che
sfera fuori d’ogni sfera
Rivibran gli echi
dei canti finiti?
In qual gorgo del
tempo si rinfiamma
l’ansia del
desiderio che passò?
Albero morto
nella selva in fiore,
tormentato da un
sogno di fiorire
l’ultima volta,
quando morirò?
(da “Un ospite
della vita”, Vallecchi, Firenze 1954, p. 63)
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