domenica 24 ottobre 2021

Novembre nella poesia italiana decadente e simbolista

 

Novembre è, probabilmente, il mese più caro ai poeti decadenti e simbolisti; ciò si spiega facilmente: nei trenta giorni dell'undicesimo mese dell'anno solare, la stagione autunnale (anch'essa particolarmente cara a questi poeti) si mostra in tutto il suo splendore o, ancora meglio, in tutto il suo grigiore; in questo periodo caratterizzato da un clima sempre più rigido; da giornate sempre più corte; da piogge sempre più copiose e insistenti; da una grande quantità - non riscontrabile in altri mesi - di foglie che cadono dagli alberi sempre più spogli, viene da sé che a guardare il cielo, la terra, gli alberi e il paesaggio circostante, si possa provare una netta sensazione di totale decadimento, di fine imminente; causa di tutto ciò è anche un mutamento umorale, conseguente alle tipiche manifestazioni stagionali, che si concretizza in una malinconia straripante (non a caso, alcune tra le migliori poesie crepuscolari vedono il mese di novembre quale protagonista). C'è poi da aggiungere che in questo preciso mese cade il giorno della commemorazione dei defunti: ricorrenza che oggi è assai trascurata, ma che un secolo fa veniva tenuta ancora in gran considerazione. Ecco allora che il novembre diviene il mese dei morti, manifestandosi con le tipiche caratteristiche della perdita assoluta, di un non-ritorno conclusivo. Le foglie cadute, il cielo perennemente grigio, la pioggia, il paesaggio spettrale, non sono altro che simboli di morte; in questo contesto, il mese di novembre è a sua volta simbolo di scomparsa definitiva.

 

 

 

Poesie sull'argomento

 

Mario Adobati: "Novembre" in "I cipressi e le sorgenti" (1919).

Diego Angeli: "L'estate dei morti" in "L'Oratorio d'Amore" (1904).

Ugo Betti: "Canzoncina di novembre" in "Canzonette - La morte" (1932).

Giovanni Camerana: "Capovolti si specchiano" in "Poesie" (1968).

Francesco Cazzamini Mussi: "Novembre" in "I Canti dell'adolescenza (1904-1907)" (1908).

Carlo Chiaves: "Novembre" in "Tutte le poesie edite e inedite" (1971).

Guelfo Civinini: "Canzonetta novembrina" in "I sentieri e le nuvole" (1911).

Vincenzo Fago: "Nel mar grigio si spegne doloroso" in "Discordanze" (1905).

Francesco Gaeta: "Novembrina" in "Poesie d'amore" (1920).

Cosimo Giorgieri Contri: "Verso il novembre" in "La donna del velo" (1905).

Corrado Govoni: "Ognissanti", "Ne la notte dei morti" e "Il giorno dei morti" in "Armonia in grigio et in silenzio" (1903).

Corrado Govoni: "Novembre" in "Poesie elettriche" (1911).

Arturo Graf: "Novembre" in "Morgana" (1901).

Arturo Graf: "Tristezza di novembre" in "Le Danaidi" (1905).

Arturo Onofri: "Novembre" in "Liriche" (1914).

Giovanni Pascoli: "Novembre" in "Myricae" (1900).

Francesco Pastonchi: "Novembre" in "I versetti" (1930).

Francesco ed Emilio Scaglione: "Mattina di novembre" in "Limen" (1910).

Giovanni Tecchio: "Novembre" in "Canti" (1931).

Aurelio Ugolini: "Novembre" in "Viburna" (1905).

Diego Valeri: "Mattino di Novembre" e "Ed è giunto il novembre..." in "Umana" (1916).

 

 

 

Testi

 

NOVEMBRE

di Arturo Graf

 

Oh come triste e disperato e fiero

Fischia tra le sfrondate arbori il vento,

Empie il bosco di strida e in suo tormento

Trae delle foglie il cenere leggiero!

 

Simile a fumo procelloso e nero

Da borea scende un ravviluppamento

Di tetre nubi, è d’ombra e di sgomento

Tutto colma del ciel l’ampio emisfero.

 

Lungo i botri scoscesi e le fiumare,

E in vetta al colle desolato, gela

Tremando al vento l’erica selvaggia.

 

Sotto l’immensa e cieca nube il mare,

Cupo, senza un baglior, senza una vela,

Flagella urlando la scogliosa spiaggia.

 

(da "Morgana")

 

 

 

 

NOVEMBRE

di Aurelio Ugolini

 

Cielo che gli occhi ne abbarbagli e stanchi

su città grige e aride campagne;

riso di sole pallido che imbianchi

                   tombe terragne:

 

novembre! Oh come gli alberi sfrondati

treman riflessi nei cerulei fonti,

e come senza fine e desolati

                   sono i tramonti!

 

Tutto s'adagia in un'indifferente

quiete, in un languir triste di suoni

e di colori: il cuor piange le spente

                   illusioni.

 

Una ne brilla ancor, ma per le strade

tutto ai libecci il platano si spoglia;

ma nelle tue foreste, autunno, cade

                   l'ultima foglia.

 

(da "Viburna")



Jakub Schikaneder, "Na Dusicky"
(da questa pagina web)


domenica 17 ottobre 2021

"Alcuni scritti" di Gustavo Botta

 

Se oggi è possibile consultare un libro in cui siano presenti i versi e le prose poetiche di Gustavo Botta (Milano 1880 - Ternate 1948), bisogna ringraziare Francesco Flora (1891-1962): critico letterario e poeta come il Botta, curatore del volume Alcuni scritti (Ariel, Milano 1952), dove si trovano gran parte delle poesie e delle prose dello scrittore milanese, precedute da un ottimo saggio dello stesso Flora, in cui si delineano, in modo ineccepibile, sia la personalità e il pensiero artistico di Botta, sia la sua opera poetica; quest'ultima venne alla luce soltanto dopo la morte del poeta. Oltre al Flora, di Botta si ricordarono altri critici come Giuseppe Ravegnani e Giovanni Titta Rosa, che lo inserirono a sorpresa nella loro importantissima Antologia dei poeti italiani dell'ultimo secolo; quindi, buon ultimo, fu Glauco Viazzi a collocare Botta, all'interno di una sezione, della altrettanto basilare antologia intitolata Dal simbolismo al deco. Leggendo la prefazione di Flora, presente come dicevo in Alcuni scritti, ci si rende conto dell'insoddisfazione perenne di Botta relativa ai suoi versi e alle sue prose; è certo che egli pubblicò pochissime cose sue, in giornali e riviste del primissimo Novecento; per il resto, cercò sempre di modificare, rivedere e perfezionare ciò che scrisse e mai pubblicò. Pure, qualcosa che venne alla luce, ebbe degli elogi da letterati e critici - come Gian Pietro Lucini e Giovanni Boine - che avevano una non comune capacità di individuare talenti in anticipo rispetto agli altri. E, sempre leggendo la prefazione di Francesco Flora, ecco un frammento che ben descrive il modus poetandi di Botta:

 

La tendenza del Botta in quasi tutti i suoi versi è di risolvere per lo più gli stati d'animo eletti e un po' chiusi (alcuno parlò di certo suo ermetismo) nella modulazione armonizzata di un quadro di natura: soli, notturni, paludi: o visini di sogno e di incubo, magari tregende e diavolo: e qualche voce d'amore e di sostenuto patire.

Altra e più agevole direzione della ricerca poetica di Guatavo Botta si volge al poemetto in prosa: e qui tutti gli elementi delle sue varie ispirazioni sono più drammatici ed eloquenti. [...]¹

 

In questo volume sono presenti altri due lati fondamentali della maestria e della competenza di Botta, quelli del traduttore e del critico d'arte; chiudono infatti questo prezioso volume una traduzione del racconto Il centauro di Maurice de Guérin, e un saggio sulla pittura di Emilio Gola.

Ecco, per concludere, due esempi del fare poetico di Botta: una composizione in versi e una prosa poetica, scelte tra quelle che secondo me meritano maggiormente di essere ricordate.

 

 


 

 

NEL SOGNO

 

Nel sogno che sognai

c'erano donne tristi e liete

c'erano fate mansuete

c'erano gli amati volumi

e c'erano densi profumi

che disfacèvansi nell'aria.

C'era una riva solitaria

già tutta stellata di lumi

nella languida sera

violetta, ma c'era

la sventura nera

ambigua e varia,

che non mi lascia mai,

la sventura la sventura ereditaria

nel sogno ch'io sognai.


Milano, 1903

 

(da "Alcuni scritti", Ariel, Milano 1952, p. 29)

 

 

 

 

PARTONO I NAVIGATORI...

 

Partono i navigatori sulla nave snella, che andrà per burrascosi mari, per sconosciuti mari, verso lontane isole verdi, lontano;

partono dispiegando al vento che le gonfia, le larghe solenni vele che il sole indora e la luna inargenta, partono fra cenni di addio e sventolìo di bandiere, cantando!

Così l'anima mia, vergine trepida, impetuosamente ardita, verso l'oceano d'amore - verso Eldorado, verso Eldorado! - salpa, fra gridi di giovinezza e risa illuminanti e profumanti ondate e immagini di delirio...

O glorioso miraggio!... Porto di fiamma capovolto nell'acqua di viola! O gorghi amari! O immensa pace! O raggiante approdo di felicità! E tu, Morgana, ritta su l'infinito, fantasma versicolore!

1898

 

(da "Alcuni scritti", Ariel, Milano 1952, p. 67)

 


NOTE

1) Da "Alcuni scritti", Ariel, Milano 1952, pp. 20-21)

domenica 10 ottobre 2021

Antologie: "Lirica del Novecento"

 

Lirica del Novecento è il titolo di una tra le migliori antologie dedicate alla poesia italiana del XX secolo. La prima edizione uscì presso Vallecchi Editore in Firenze, nel 1953; da ciò risulta evidente che il volume, composto da 835 pagine, possa prendere in considerazione soltanto la prima metà del Novecento. I curatori di questa opera antologica sono Luciano Anceschi (1911-1995) e Sergio Antonielli (1920-1982). Il primo, che fu un ottimo critico e filosofo, appena un decennio addietro aveva già curato un'altra storica antologia: Lirici nuovi; Antonielli invece, oltre che critico letterario, fu prosatore e insegnante. Questa antologia seleziona versi di 53 poeti italiani; tra costoro, soltanto tre (Delio Tessa, Virgilio Giotti e Mario Dell'Arco) figurano come prettamente dialettali. Si parte dai crepuscolari e si giunge alla cosiddetta "Quarta generazione" (rappresentata però dal solo Giorgio Orelli). Si dà  (giustamente) maggiore spazio ai due "mostri sacri" della poesia italiana novecentesca: Ungaretti e Montale. Per il resto, spicca la presenza di alcuni poeti e poetesse scomparsi in giovane età: Fracassi, Ghiselli, Pozzi e Scipione (ma quest'ultimo si dedicò soprattutto alla pittura) che in vita non pubblicarono libri di versi; altra peculiarità, è la scelta di includere, nella pur severa selezione, due poeti-filosofi quali furono Carlo Michelstedter e Mario Novaro. Risultano invece trascurati i futuristi, visto che l'unico a salvarsi dall'esclusione totale è Filippo Tommaso Marinetti. Certo è che questa antologia ha fatto scuola, e le successive opere similari, in particolare le più avvedute, dovettero tenere ben presenti gli schemi adottati da Anceschi e Antonielli, che, insieme a Giacinto Spagnoletti, furono i primi a tracciare una linea basilare e imprescindibile, che avesse la garanzia di rappresentare la migliore poesia italiana del XX secolo. Ecco infine i nomi dei poeti che figurano in questa antologia.

 

 LIRICA DEL NOVECENTO

 



Guido Gozzano, Sergio Corazzini, Marino Moretti, Fausto Maria Martini, Sibilla Aleramo, Carlo Michelstaedter, Mario Novaro, Filippo Tommaso Marinetti, Corrado Govoni, Ardengo Soffici, Giovanni Papini, Camillo Sbarbaro, Piero Jahier, Clemente Rebora, Aldo Palazzeschi, Dino Campana, Delio Tessa, Arturo Onofri, Umberto Saba, Vincenzo Cardarelli, Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Luigi Bartolini, Giorgio Vigolo, Sergio Solmi, Corrado Pavolini, Adriano Grande, Angelo Barile, Luigi Fallacara, Diego Valeri, Virgilio Giotti, Carlo Betocchi, Salvatore Quasimodo, Alfonso Gatto, Leonardo Sinisgalli, Sandro Penna, Libero De Libero, Scipione, Enrico Fracassi, Luca Ghiselli, Cesare Pavese, Mario Luzi, Vittorio Sereni, Antonia Pozzi, Attilio Bertolucci, Giorgio Caproni, Alessandro Parronchi, Piero Bigongiari, Aldo Borlenghi, Giorgio Bassani, Pier Paolo Pasolini, Mario Dell'Arco, Giorgio Orelli.

domenica 3 ottobre 2021

La poesia di Giovanni Camerana

 

Secondo il mio modestissimo parere è ancora da scoprire la reale importanza della poesia di Giovanni Camerana (Casale Monferrato 1845 - Torino 1905), scrittore piemontese che viene spesso accomunato ai cosiddetti "scapigliati" ma che, nella sua opera poetica, attraversò più di una corrente e, per certi versi, fu uno dei precursori del simbolismo poetico italiano. Nato a Casale Monferrato, dopo gli studi universitari esercitò per tutta la vita la professione di magistrato e, ritenendola incompatibile con la poesia, coltivò la sua passione letteraria senza mai pubblicare un volume di versi, limitandosi, in casi tutto sommato sporadici, a far apparire alcune sue poesie in riviste, senza mai rivelarsi e firmandosi con una semplice "Y". La prima edizione dei suoi Versi uscì due anni dopo la sua morte, nel 1907. Nel 1956 fu pubblicata, a cura di Francesco Flora, una seconda, più accurata raccolta delle poesie di Camerana, mentre è del 1968 quella che può ancora oggi definirsi la sua opera poetica completa; curato da Gilberto Finzi, quest'ultimo libro contiene molte poesie rimaste fino a quell'anno inedite o come.

Si è detto che Giovanni Camerana è stato considerato un poeta prettamente scapigliato, ciò in realtà è vero soltanto se ci si riferisce alla prima fase poetica dello scrittore piemontese, ovvero quella che, grosso modo, si svolge negli anni compresi tra il 1865 ed il 1870. Quando la corrente scapigliata ormai è al suo tramonto, viste anche le precoci scomparse di esponenti illustri quali Emilio Praga e Igino Ugo Tarchetti, la poesia di Camerana assume nuove caratteristiche, le quali, sono perfettamente riassunte da Piero Nardi nel volume Scapigliatura ( Zanichelli, Bologna 1924):

 

Un tedio dell'esistenza, prima ancora di vivere; una nostalgia del passato, bello perché lontano e perché irriconducibile; una aspirazione, continuamente risorgente, a un ideale vago, continuamente delusa dalla realtà inesorabile; un vuoto, dopo l'inquietudine, una stanchezza suaditrice di morte.

 

Ben calzante è anche questa breve analisi, sempre riferita alla seconda fase della lirica del Camerana, che ha fatto Giuseppe Petronio in Poeti minori dell'Ottocento (UTET, Torino 1959):

 

Sempre più con gli anni si andò avvicinando ad una fosca dolorosa religiosità, ad una affascinata contemplazione della morte, e sempre più andò cercando i simboli (la nera Madonnina di Oropa; il paesaggio di Olanda; un quadro di Bocklin) che dicessero quella sua angoscia, e le forme espressive - da quelle alla Baudelaire a quelle parnassiane, da quelle simbolistiche a quelle dei più moderni pittori - che gli permettessero di effondere la sua tetra visione del mondo.

 

Insomma Camerana nel suo percorso poetico ha cercato sempre di aggiornarsi e di esprimere, con forme adeguate ai tempi, il suo profondo "mal de vivre" che lo avrebbe portato al suicidio.

Chiudo riportando l'elenco dei volumi pubblicati postumi, che riuniscono i versi di Camerana, seguiti dalle presenze del poeta piemontese nelle antologie più importanti e, infine, tre poesie che risalgono alla sua fase più dolente e visionaria.

 

Medaglia di Leonardo Bistolfi
(da "Poeti minori dell'Ottocento", UTET, Torino 1959, p. 657)

 


Opere poetiche

 

"Versi", Streglio, Genova-Torino-Milano 1907.

"Poesie", Garzanti, Milano 1956.

"Poesie", Einaudi, Torino 1968.

 


 


Presenze in antologie

 

"Poesie moderne (1815-1887)", raccolte e ordinate da Raffaello Barbiera, Treves, Milano 1889 (pp. 289-290).

"I Poeti Italiani del secolo XIX", a cura di Raffaello Barbiera, Treves, Milano 1913 (pp. 1127-1129).

"Antologia della lirica italiana", a cura di Angelo Ottolini, R. Caddeo & C., Milano 1923 (p. 234).

"Antologia della lirica italiana. Ottocento e Novecento", nuova edizione, a cura di Carlo Culcasi, Garzanti, Milano 1947 (pp. 125-126).

"La lirica moderna", a cura di Francesco Pedrina, Trevisini, Milano 1951 (pp. 301-304).

"Poeti minori del secondo Ottocento italiano", a cura di Angelo Romanò, Guanda, Bologna 1955 (pp. 244-256).

"I poeti minori dell'Ottocento", a cura di Ettore Janni, Rizzoli, Milano 1955-1958 (vol. III, pp. 70-81).

"Un secolo di poesia", a cura di Giovanni Alfonso Pellegrinetti, Petrini, Torino 1957 (pp. 25-26).

"Poeti minori dell'Ottocento", a cura di Luigi Baldacci, Ricciardi, Napoli 1958 (pp. 929-939).

"Poeti minori dell'Ottocento", a cura di Giuseppe Petronio, U.T.E.T., Torino 1959 (pp. 655-670).

"Poeti della scapigliatura", a cura di Mario Petrucciani e Neuro Bonifazi, Argalia, Urbino 1962 (pp. 161-204).

"L'antologia dei poeti italiani dell'ultimo secolo", a cura di Giuseppe Ravegnani e Giovanni Titta Rosa, Martello, Milano 1963 (pp. 57-61).

"Poeti minori dell'Ottocento italiano", a cura di Ferruccio Ulivi, Vallardi, Milano 1963 (pp. 459-471).

"Secondo Ottocento", a cura di Luigi Baldacci, Zanichelli, Bologna 1969 (pp. 1118-1122).

"Poeti simbolisti e liberty in Italia", a cura di Glauco Viazzi e Vanni Scheiwiller, Scheiwiller, Milano 1967-1972 (vol. 3, pp. 40-43).

"La Scapigliatura", a cura di Elio Gioanola, Marietti, Torino 1975 (pp. 198-222).

"Poeti della rivolta", a cura di Pier Carlo Masini, Rizzoli, Milano 1977 (pp. 119-123).

"Poesia italiana dell'Ottocento", a cura di Maurizio Cucchi, Garzanti, Milano 1978 (pp. 386-396).

"Otto secoli di poesia italiana", a cura di Giacinto Spagnoletti, Newton Compton, Roma 1993 (pp. 533-534).

"Poesia religiosa italiana", a cura di Ferruccio Ulivi e Marta Savini, Piemme, Casale Monferrato 1994 (pp. 567-570).

"Lirici della Scapigliatura", seconda edizione aggiornata a cura di Gilberto Finzi, Mondadori, Milano 1997 (pp. 199-234).

"Dagli scapigliati ai crepuscolari", a cura di Gabriella Palli Baroni, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 2000 (pp. 231-251).

"Torino Art Nouveau e Crepuscolare", a cura di Roberto Rossi Precerutti, Crocetti, Milano 2006 (pp. 27-33).

"La poesia scapigliata", a cura di Roberto Carnero, Rizzoli, Milano 2007 (pp. 391-422).

"Poeti per Torino", a cura di Roberto Rossi Precerutti, Viennepierre, Milano 2008 (p. 17)

 

 

 

Testi

 

 

COROT

 

È autunno. Il parco tanto verde un dì,

Splendido tanto,

Intirizzisce nella nebbia; il canto

Cessò nei rami; ogni allegria finì;

 

È il triste ottobre. I fracidi sentier

Son seminati

Di foglie gialle e piene d’acqua; i prati

Fumano, come un immenso incensier;

 

Sullo stagno, che attonito squallor,

Che strana calma!

Forse lenta nel fondo erra la salma

Di qualche ondina dai capelli d’or;

 

Le bacian l’alghe flessuose il piè

Fatto di neve;

Non è una morta, è un’ombra bianca e lieve,

Una ideale trasparenza ell’è;

 

Nel buio specchio rigato qua e là

Di un tenue filo

Bianco, immerge la selva il suo profilo,

La selva sacra per antica età;

 

È autunno, è il pianto fùnebre, il respir

Dell’agonia;

Gravi echi d’arpa e strofe d’elegia

Paion dal lago e dalla selva uscir...

 

Cuorgnè, 1° ottobre 1878

 

(da "Poesie", Einaudi, Torino 1968, p. 13)

 

 

 

 

DIES ILLA

 

O tu che scendi la funerea valle,

Sotto il ciel di novembre, centenario

Fantasima dei monti ermi, le spalle

Dal troppo tempo affrante e dal dolor;

 

Tu che tremi, ed incespichi, e barcolli

Come al ribrezzo di qualche invisibile

Fossa, e sei giunto alle boscaglie, ai colli

Bianchi, ove il vento della vita muor;

 

Tu che puoi dir: «Finii la mia giornata;

Era un incubo, e la finii; le orribili

Pareti a picco, i gorghi, la implacata

Bruma, la notte rea, tutto varcai»;

 

Tu che puoi dir: «Sono stanco, ero la casa

Buia, la casa deserta da secoli,

Perduta in mezzo la campagna rasa;

Ero la frana che non cessa mai;


Sono stanco e curvo, un Golgota fu il calle,

Ma splende l'alba, il mar dei morti tremola...»

O tu che scendi la funerea valle,

Centenario fantasma viaggiator;

 

O tu immobile al suol, giallo carcame,

Vedi! - a te salgon le anelanti invidie

Come il fumo dal rogo, e nella infame

Pugna ti sognan le agonie del cor.

 

Nervi, 4 febbraio 1889.

 

(da "Poesie", Einaudi, Torino 1968, p. 144)

 

 

 

 

A LEONARDO BISTOLFI

 

Bistolfi, se al pensier tuo stanco arrida

Malinconicamente il contemplare, —

Lontan dalle plebee stupide grida, —

Le argentee nubi alte nel cielo e il mare

 

Nordico, vieni! — A noi fausto il migrare,

A noi prole di duol, verso la fida

Olanda immensa, e le sue dune e il mare

Che le flagella, il mar pieno di strida,

 

Pien di tuoni e di tènebra. — Vedremo

Harlem nebbiosa in fondo al piano, e il giro

Dei remoti mulini al filo estremo

 

Degli orizzonti; e sentirem, nel tetro

Silenzio vesperal, come un sospiro,

Passar di Ruysdael, grave, lo spetro

 

12 novembre 1892.

 

(da "Poesie", Einaudi, Torino 1968, p. 156)

 

domenica 26 settembre 2021

Poeti dimenticati: Angelina Lanza

 

Nacque a Palermo nel 1879 e morì a Gibilmanna nel 1936. Poetessa, ma anche prosatrice (scrisse un diario struggente ed un romanzo), l'opera letteraria di Angelina Lanza risulta fortemente condizionata dall'intensa religiosità che le apparteneva e dai gravi lutti familiari che contraddistinsero la sua vita. Rimanendo nell'ambito poetico, si nota un'attenzione particolare per determinati argomenti: l'umanità sofferente, la bellezza della natura, la religione, gli affetti familiari e la nostalgia per l'età infantile. Allo stesso tempo si possono identificare i punti di riferimento che ebbe la poetessa siciliana, e che corrispondono ai nomi di Giacomo Zanella, Giovanni Pascoli, Vittoria Aganoor e Ada Negri. La sua raccolta più famosa: La fonte di Mnemosine, corrisponde anche alla sua ultima; in seguito, infatti, la scrittrice siciliana si sarebbe dedicata quasi esclusivamente alla prosa.

 

 

Opere poetiche

 

"Le rime dell'innocenza", Sandron, Milano-Palermo-Napoli 1903.

"La fonte di Mnemosine", Sandron, Palermo 1912.

 


 


Presenze in antologie

 

"La poesia italiana di questo secolo", a cura di Pietro Mignosi, Edizioni del Ciclope, Palermo 1929 (pp. 80-82).

"La nuova poesia religiosa italiana", a cura di Gino Novelli, La Tradizione, Palermo 1931 (pp. 175-179).

"Sicilia, poesia dei mille anni", a cura di Aldo Gerbino, Sciascia, Caltanissetta-Roma 2001 (pp. 368-369).

 

 

Testi

 

LA DEMENTE

 

La demente ci guarda: nel lento

occhio l'ombra del suo smarrimento

erra appena; un istante, vi tremola

il velo d'una lagrima.

 

Poi, d'un tratto, ritorna sereno

l'occhio, il viso: un sorridere pieno

di soave ignoranza, una trepida

grazia è sul viso pallido.

 

Viso pallido, bianchi capelli!

Ma i suoi labbri, i suoi labbri son quelli

d'una bimba; son tumidi, rosei,

freschi come due petali.

 

Sono labbri che ridono; e nulla

li convelle al singhiozzo. O fanciulla

in eterno! di quale tuo spasimo

vien questo riso placido?

 

Di che schianto restò questo flutto

blando e lieve? - Non sai; poi che tutto

deponesti il dolore, e se lagrimi

forse è beatitudine.

 

Ché tu, sola!, movesti a ritroso

nella vita, e il cuor tuo doloroso

arretrando toccò nella tènebra

le fonti alte dell'essere.

 

Ritrovasti l'antico rifugio

dell'infanzia; e ti piacque l'indugio

alle fonti onde sgorga la torbida

vita ed il sogno limpido.

 

Ma tu al sogno ti volgi: tergesti

il tuo pianto per sempre; mettesti

altre gemme. Carezzi la bambola,

sei novamente vergine.

 

(da "La fonte di Mnemosine", Sandron, Milano-Palermo-Napoli 1912, pp. 35-36)

 

 

 

 

AVVERTIMENTO

 

Non uccidere la formica

che va lenta per la tua via,

non esser tu, buona, nemica

al ramarro che fugge e spia,

 

non romper la zampa, non togliere l'ala

sottile al grillo, alla cicala.

 

Per un granello di frumento

trovato su l'orlo de l'aia,

non vedi che pena, che stento

ha la queta nera operaia?

 

Comincia coll'alba, finisce la sera,

spigolatrice e dispensiera.

 

Non vedi? il tuo sole godeva

il ramarro verde azzurrino,

ch'or dentro la tana solleva,

temendo, l'arguto capino:

 

ti dice: «mangiavo l'insetto nocivo;

abbi pietà, lasciami vivo.»

 

Non odi che fresco zampillo

di canto perenne nell'aria

vien da la cicala e dal grillo

per la campagna solitaria?

 

Se tu li tormenti per gioco e li uccidi,

chi canterà la nanna ai nidi?

 

(da "La fonte di Mnemosine", Sandron, Milano-Palermo-Napoli 1912, pp. 87-88)