Se oggi è
possibile consultare un libro in cui siano presenti i versi e le prose poetiche
di Gustavo Botta (Milano 1880 - Ternate 1948), bisogna ringraziare Francesco
Flora (1891-1962): critico letterario e poeta come il Botta, curatore del
volume Alcuni scritti (Ariel, Milano
1952), dove si trovano gran parte delle poesie e delle prose dello scrittore
milanese, precedute da un ottimo saggio dello stesso Flora, in cui si
delineano, in modo ineccepibile, sia la personalità e il pensiero artistico di
Botta, sia la sua opera poetica; quest'ultima venne alla luce soltanto dopo la
morte del poeta. Oltre al Flora, di Botta si ricordarono altri critici come
Giuseppe Ravegnani e Giovanni Titta Rosa, che lo inserirono a sorpresa nella
loro importantissima Antologia dei poeti
italiani dell'ultimo secolo; quindi, buon ultimo, fu Glauco Viazzi a
collocare Botta, all'interno di una sezione, della altrettanto basilare
antologia intitolata Dal simbolismo al
deco. Leggendo la prefazione di Flora, presente come dicevo in Alcuni scritti, ci si rende conto
dell'insoddisfazione perenne di Botta relativa ai suoi versi e alle sue prose;
è certo che egli pubblicò pochissime cose sue, in giornali e riviste del
primissimo Novecento; per il resto, cercò sempre di modificare, rivedere e
perfezionare ciò che scrisse e mai pubblicò. Pure, qualcosa che venne alla
luce, ebbe degli elogi da letterati e critici - come Gian Pietro Lucini e Giovanni
Boine - che avevano una non comune capacità di individuare talenti in anticipo
rispetto agli altri. E, sempre leggendo la prefazione di Francesco Flora, ecco
un frammento che ben descrive il modus
poetandi di Botta:
La tendenza del
Botta in quasi tutti i suoi versi è di risolvere per lo più gli stati d'animo
eletti e un po' chiusi (alcuno parlò di certo suo ermetismo) nella modulazione
armonizzata di un quadro di natura: soli, notturni, paludi: o visini di sogno e
di incubo, magari tregende e diavolo: e qualche voce d'amore e di sostenuto
patire.
Altra e più
agevole direzione della ricerca poetica di Guatavo Botta si volge al poemetto
in prosa: e qui tutti gli elementi delle sue varie ispirazioni sono più
drammatici ed eloquenti. [...]
In questo volume
sono presenti altri due lati fondamentali della maestria e della competenza di
Botta, quelli del traduttore e del critico d'arte; chiudono infatti questo
prezioso volume una traduzione del racconto Il
centauro di Maurice de Guérin, e un saggio sulla pittura di Emilio Gola.
Ecco, per
concludere, due esempi del fare poetico di Botta: una composizione in versi e
una prosa poetica, scelte tra quelle che secondo me meritano maggiormente di
essere ricordate.
NEL SOGNO
Nel sogno che
sognai
c'erano donne
tristi e liete
c'erano fate
mansuete
c'erano gli amati
volumi
e c'erano densi
profumi
che disfacèvansi
nell'aria.
C'era una riva
solitaria
già tutta
stellata di lumi
nella languida
sera
violetta, ma
c'era
la sventura nera
ambigua e varia,
che non mi lascia
mai,
la sventura la
sventura ereditaria
nel sogno ch'io
sognai.
Milano, 1903
(da "Alcuni
scritti", Ariel, Milano 1952, p. 29)
PARTONO I
NAVIGATORI...
Partono i
navigatori sulla nave snella, che andrà per burrascosi mari, per sconosciuti
mari, verso lontane isole verdi, lontano;
partono
dispiegando al vento che le gonfia, le larghe solenni vele che il sole indora e
la luna inargenta, partono fra cenni di addio e sventolìo di bandiere,
cantando!
Così l'anima mia,
vergine trepida, impetuosamente ardita, verso l'oceano d'amore - verso
Eldorado, verso Eldorado! - salpa, fra gridi di giovinezza e risa illuminanti e
profumanti ondate e immagini di delirio...
O glorioso
miraggio!... Porto di fiamma capovolto nell'acqua di viola! O gorghi amari! O
immensa pace! O raggiante approdo di felicità! E tu, Morgana, ritta su
l'infinito, fantasma versicolore!
1898
(da "Alcuni
scritti", Ariel, Milano 1952, p. 67)
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