domenica 13 settembre 2020

Venezia in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

 Pur non avendo mai visitato Venezia - e me ne vergogno - considero la città lagunare tra le più belle, misteriose, e affascinanti del mondo intero. In verità, per affermare ciò, mi è bastato semplicemente vedere centinaia (per non dire migliaia) di immagini che la raffigurano: già queste infatti mi sono sufficienti per capire la grandezza e l'unicità di Venezia. In aggiunta, sono rimasto letteralmente incantato da una serie di capolavori artistici che hanno, al centro dell'attenzione, proprio il capoluogo veneto. Penso che Venezia superi di gran lunga, per fascino e per numero di capolavori, altre città europee che potrebbero assomigliare a lei, come Bruges o Amsterdam. Se dovessi fare una classifica delle città più belle del mondo, non avrei dubbi a inserire Venezia tra le prime dieci (e sicuramente non sarei il solo). A proposito di dieci, passando ora alle dieci poesie dedicate a Venezia che di seguito riporto, devo dire che ho scelto, per rappresentare in versi questa magnifica città, due poeti nati nella stessa, tre che videro la luce all'interno della regione Veneto e i restanti cinque di provenienza varia, ma tutti rigorosamente italiani. Il secolo in cui questi versi nacquero e furono pubblicati è, come al solito direi, il Novecento, per motivi che riguardano una preferenza ed una conoscenza personali; d'altronde so bene che non sono poche le belle poesie dedicate a Venezia, scritte e pubblicate nei secoli che precedono quello che ho scelto. Volendo dire qualche parola a proposito dei testi poetici, aggiungo che c'è chi loda la caratteristica calma delle strade e delle piazze di Venezia; chi la osserva in determinate stagioni (primavera e autunno) che evidenziano in misura maggiore la sua eccezionalità; chi fa riferimento alla sua lunga e gloriosa storia; chi elenca i colori che più colpiscono l'occhio del visitatore; chi è attratto dalle voci e dal dialetto degli abitanti; chi si sofferma a guardare le immancabili e affascinanti gondole che attraversano i canali cittadini... ma un po' tutti rimangono semplicemente estasiati di fronte alla bellezza del luogo, che ha caratteristiche uniche, assenti in qualunque altro posto del mondo. Evviva Venezia.

 

 

 

VENEZIA IN 10 POESIE DI 10 POETI ITALIANI DEL XX SECOLO

 

 

 

CITTÀ UMANA E LIEVE

di Giulio Alessi (Padova 1916 - ivi 1971)

 

Ti sento umana e lieve, città di lenti canali

ai motoscafi blandi, traghetti soavi

e gondole affettuose. Quasi musica nata

dal dolore, aperta alla dolcezza delle case

immerse nelle care acque,

una stanca saggezza è nei sussurri

del popolo scaltro che si mesce

la luce nei bicchieri e sulle rive il pane

bianco raccoglie, amico ai dolci azzurri

della sera, inquieti al cuore e cari

per il bastimento lieto che arriva.

Nella tua ombra stringe un desiderio

di fuga che volteggia nelle vele:

ma poi sui vaporetti bianchi gli uomini

offrono la grazia del dialetto

alla nuvola di fumo che si spande

hanno un cuore che batte ad ogni pena,

città domenicale. Si torna a te

e si resta volentieri come le lampadine

in fila sopra l'acqua invitano al conforto

dell'amore, perché qui la presenza

non è mai solitaria

se a spartire il peso della vita

sono tutti gentili.

 

(da "Le poesie", Mursia, Milano 1986, p. 478)

 

 

 

SETTEMBRE A VENEZIA

di Vincenzo Cardarelli (Corneto Tarquinia 1887 - Roma 1959)

 

Già di settembre imbrunano

a Venezia i crepuscoli precoci

e di gramaglie vestono le pietre.

Dardeggia il sole l'ultimo suo raggio

sugli ori dei mosaici ed accende

fuochi di paglia, effimera bellezza.

E cheta, dietro le Procuratìe,

sorge intanto la luna.

Luci festive ed argentate ridono,

van discorrendo trepide e lontane

nell'aria fredda e bruna.

Io le guardo ammaliato.

Forse più tardi mi ricorderò

di queste grandi sere

che son leste a venire,

e più belle, più vive le lor luci,

che ora un po' mi disperano

(sempre da me così fuori e distanti!)

torneranno a brillare

nella mia fantasia.

E sarà vera e calma

felicità la mia.

 

(da "Opere", Mondadori, Milano 1993, p. 44)

 

 

 

 

TRA I CAVALLI DI SAN MARCO

di Giovanni Chiggiato (Venezia 1876 - ivi 1923)

 

Salgano i sogni nostri con giocondo

impeto in groppa ai magici corsieri:

bronzi memori degli antichi imperi

traeteci a galoppo per il mondo!

 

Piazza San Marco par quasi un profondo

lago di sol: s'annegano i pensieri

Vostri, e i belli occhi pieni di misteri,

in un mare di luce, e il crine biondo.

 

Oggi non un dolor tragico come

ieri e sempre a la Vostra anima incombe!

io Vi guardo poggiata a la colonna.

 

Il sol dà lampi tra le Vostre chiome

e ai vostri piedi volan le colombe:

quanta bellezza in Voi, bionda Madonna!

 

(da "La dolce stagione", Streglio, Torino 1901, p. 57)

 

 

 

 

DIARIO DI VENEZIA

di Beniamino Dal Fabbro (Belluno 1910 - Milano 1989)

 

Era un rosato pesce-luna, ai sogni

di me fanciullo, la sua pianta immersa

in un celeste che di vene tutta

la percorreva. Al Ponte dei Sospiri

inventavo una rissa di pugnali

improvvisi alla luna, tra i discosti

mantelli e il fischio basso del sicario

scampato in barca verso il Brenta, a un legno

con altissime ruote, che dilegua

per la strada di Padova; lo squero

di San Trovaso dava pece e legno

ai miei battelli immaginari, in voga

per isole di frati; nei giardini

ermi della Giudecca una pisana

amavo, una fanciulla-donna... So

ora che tal Venezia era di tutti

una Venezia, non la mia, patita

città che persuade ai suoi canali

con gradini verdastri e in grami odori

marcisce a sera, frantumato corpo

di pietra e muschio; ora ben so il suo volto

d'azzurro e di buio, i marinai tedeschi

che si baciano stretti a una colonna

delle Procuratìe, a un fil di valzer

che dal Lavena sgorga; nel mattino

so i velivoli alti, con la gente

che ìlare li guarda come quando

la regata rapisce i cuori al volo

dei remi scintillanti... e una Pisana

che altera e inerme mi dona in segreto

con le tenui mammelle luminose

il miele di Bisanzio.

 

(da "Gli orologi del Cremlino", Neri Pozza, Venezia 1959, pp. 15-16)

 

 

 

 

PRIMAVERA A VENEZIA

di Manlio Dazzi (Parma 1891 - Padova 1968)

 

La primavera venuta col vento

getta all'aria Venezia. (D'un tratto

una bambina s'è messa a saltare

le ginocchia di rosa scoperte,

la corda segna il grande arco del cielo.)

Le facciate leggiere sghimbesce,

rari tappeti distesi nel sole

da spalancati balconi d'aprile.

(Un che di biondo le sventola al viso.)

Non c'è altro legno che possa fiorire,

ma questi di barche alla riva

sono gonfi d'antica

tenerezza improvvisa di gemme.

(Nell'arco teso affannosa rimbalza

la filastrocca. Col vento

fugge l'ora beata.)

L'acqua, un grido d'azzurro.

 

(da "Stagioni", Mondadori, Milano 1969, p. 92)

 

 

 

 

RIVA DEGLI SCHIAVONI

di Ugo Ghiron (Roma 1876 - ivi 1952)

 

Fruscìo d'invisibile gondola

(o è il lento sciacquare

del mare?)...

Il vasto brusìo della riva

già tacque.

Di lumi trapunta

- distesa di torri e di cupole

che immensa galleggia -

nereggia

nel pallido albore lunare

Venezia sull'acque.

 

Non voce!

Non c'è che il fruscìo

di quella invisibile gondola,

che il fiacco sciacquare

del mare.

Ed ecco sul mare, d'un tratto,

remota,

sperduta, una nota...

Un'altra...

Un canto leggero che s'alza,

sì vago e sommesso

che par della notte

la voce, che lento

oscilla e si culla nel vento.

Oscilla, ecco, e balza

più acuto, d'un tratto, nel cielo.

E tutto

n'è pieno e sussulta

il cielo un istante! Ma già

si copre la voce d'un velo

di lacrime... Piange,

implora, singulta

il canto, più lento, più piano.

Lontano

si frange...

Muor l'ultima nota

nel colpo

(o è il lento fruscìo d'una gondola?)

dell'acqua

che sciacqua.

 

[da "Poesie (1908-1930)", Sandron, Palermo 1932, pp. 45-46]

 

 

 

 

VENEZIA E IL MONDO

di Guido Marta (Venezia 1889 - Treviso 1960)

 

Il mondo è, forse, tutto come questa

Città, co' suoi canali, con le calli

vigilate agli svolti da occhi gialli

di fanali e di gatti alla finestra?

 

Ma forse il mondo è quello, che divide

da noi questo cancello, a cui m'addosso

per raccogliere in me quanto più posso

il gran sogno di verde che m'irride.

 

Ma forse il mondo è bello è grande è vario

con le sue scarrozzate d'allegria,

e non somiglia certo a questa via

tacita, come un vico circondario.

 

Tacita e buia, sì che chi s'affaccia

sopra un ponte, dall'ansia, a um tratto, è colto

di rivolgere al sole un altro volto

e di tendergli il cuore con le braccia.

 

(da "La neve in giardino", Il Giornale dell'Isola Letterario", Catania 1922)

 

 

 

 

VENEZIA

di Aldo Palazzeschi (Firenze 1885 - Roma 1974)

 

Acquamarina cèrula

berillo verde azzurrognolo

crisòlito di color verde

con qualche ombra di giallo

spinello rosso e roseo

malachite lapislazzuli diaspro sanguigno

cornalina giacinto occhio di gatto

eliotropio diamante corallo

opale iridescente

calcedonio appena rosso

balascio rosso carico

onice negra screziata di opalino

corindone sardonica crisopazio

granato molto lucente

ametista topazio smeraldo rubino

turchina zaffìro

e sotto cupole d'oro massiccio

tre festoni di perle

oro oro oro oro...

 

(da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 2002, p. 810)

 

 

 

NOTTE VENEZIANA

di Francesco Pastonchi (Riva Ligure 1874 - Torino 1953)

 

Mio desiderio vestito di nero

con una gran gala di seta, chi

ti sciolse in quella folle notte? Schiavi

d'oriente carichi di profumi

per te riapprodavano a San Marco:

per te sfarzo di luminarie in piazza

e gran ricevimento dava il doge

a re e principi di tutta la terra.

Ma tu obliquavi per calli e campielli

misteriosamente fuggitiva,

mio desiderio vestito di nero.

 

(da "Endecasillabi", Mondadori, Milano 1949, p. 76)

 

 

 

 

 

PRIMAVERA DI VENEZIA

di Diego Valeri (Piove di Sacco 1887 - Roma 1976)

 

Senti, sotto la pietra, il soffocato

fremito della terra che formicola

di giovani violenze prigioniere?

Senti il respiro immenso che solleva

i palazzi, le cupole, le altane

più verso il cielo, e in cielo avventa cumuli

di nuvole d'argento, apre ferite

di luce azzurra, viva come sangue?...

O primavera che non puoi fiorire

in petali di pèsco, luccicare

in filo d'erba, bevere nell'aria

per mille bocche il sole e la rugiada,

rovesciarti a torrente per le forre,

cantare con la lunga onda dei fiumi

per la pianura - o primavera schiava;

io non so cosa più soave e bella

di te, che fai tua festa d'un riflesso

blando d'acque e di cieli, d'uno strido

aspro di rondine, d'un rombo errante

di campane, d'un bianco sventolìo

di cenci al sole, d'un fremer di vela

d'oro, nel vento che la gonfia e preme:

o primavera che non puoi dar fiore,

o giovinezza dal sepolto cuore.

 

(da "Poesie vecchie e nuove", Mondadori, Milano 1952, pp. 77-78)

 


Canaletto, "The Entrance to the Grand Canal, Venice"
(da questa pagina web)

 


domenica 6 settembre 2020

La navigazione nella poesia italiana decadente e simbolista

 È questo uno degli argomenti più cari e maggiormente sfruttati dai poeti italiani che si possono identificare nell'area del decadentismo e del simbolismo. La navigazione ovviamente si svolge sempre sulle acque che, molto spesso, sono quelle del mare; non sono però rare le volte in cui ci si trova in presenza di fiumi o di laghi (e a questi precisi contesti di cui mi sono già occupato in passato, rimando coloro che volessero avere ulteriori informazioni). Ciò che colpisce il lettore imbattutosi nei versi che trattano di navigazioni, è il cospicuo numero di imbarcazioni che vengono citate, e che divengono protagoniste di composizioni poetiche assai fantasiose. Le barche a vela compaiono in maggior numero, e i colori delle vele, spesso diversi e opposti, divengono altamente simbolici. In alcuni casi le barche si trovano sulla riva e risultano abbandonate evidenziando un'immagine di tristezza, sconfitta e rassegnazione. I naviganti, siano essi al timone o semplici passeggeri, molto spesso son tutt'uno con le anime dei poeti; e altrettanto spesso la navigazione che compiono è piena di difficoltà, di incognite ma, anche, di speranze; quest'ultime sono legate alla meta, che nei desideri e nei sogni dei viaggiatori corrisponde all'agognata visione di una terra simile al paradiso o ad un Eldorado che a sua volta può simboleggiare diverse cose (una donna, un ideale, la felicità eccetera). Però questa navigazione può dimostrarsi ancor più incerta, obbligata e senza alcuna meta, o verso qualcosa che non è ben definito e che potrebbe essere anche la Morte. Ma la navigazione, a volte, termina improvvisamente e drammaticamente, a causa di un naufragio, e sono i poeti più pessimisti che citano e descrivono queste situazioni estreme; qui, ovviamente, l'imbarcazione che va a fondo rappresenta spesso la fine delle speranze stesse o la perduta fede in qualcosa. Ma ci sono anche delle poesie in cui viene esaltata la navigazione in se stessa; in questi casi il viaggio attraverso il mare rappresenta tutto ciò che di bello e di buono si può desiderare, e il poeta lo può fare in compagnia di un'anima gemella, provando il massimo dell'assuefazione fisica e mentale. C'è infine chi si rifà alla storia del famigerato "Vascello fantasma" e in questo caso, ovviamente, vi sono evidenti riferimenti alla leggendaria saga dell'Olandese volante: personaggio romantico, condannato a navigare nei mari più burrascosi per l'eternità.

 

 

 

 

Poesie sull'argomento

 

Mario Adobati: "Il traghetto" e "Bonaccia" in "I cipressi e le sorgenti" (1919).

Gustavo Botta: "Partono i navigatori..." in "Alcuni scritti" (1952).

Ricciotto Canudo: "La vela de la piccola paranza" e "Strano. La vista di una nave mi ha fatto trasalire" in "Piccole Anime senza corpo" (1898).

Luigi Capuana: "Ad una barca" in "Semiritmi" (1888).

Enrico Cavacchioli: "Il timoniere" e "I naviganti" in "Le ranocchie turchine" (1909).

Guelfo Civinini: "L'asilo" in "L'Urna" (1900).

Arturo Colautti: "Il faro" e "La pesca" in "Canti virili" (1896).

Sergio Corazzini: "La nave" in "Marforio", giugno 1903.

Guglielmo Felice Damiani: "Naufragio" in "Lira spezzata" (1912).

Adolfo De Bosis: "Tu navigherai senza posa..." e "Io mi son un..." in "Amori ac Silentio e Le rime sparse" (1914).

Federico De Maria: "La canzone della vela" in "La Leggenda della Vita" (1909).

Eugenio Gara: "Fantasia della vela bianca" in "Antologia della Diana" (1918).

Luisa Giaconi: "La prora" in «Il Marzocco», gennaio 1897.

Giacomo Gigli: "Calma" e "Brigantino" in "Maggiolata" (1904).

Arturo Graf: "La nave tra' ghiacci" e "Giunge il nocchier funereo" in "Dopo il tramonto" (1893).

Arturo Graf: "La vela" in "Le Rime della Selva" (1906).

Luigi Gualdo: "La barca" in "Le Nostalgie" (1883).

Giuseppe Lipparini: "Isolda" in "Le foglie dell'alloro. Poesie (1898-1913)" (1916).

Giuseppe Lipparini: "Traghetto" in "Stati d'animo e altre poesie" (1917).

Gian Pietro Lucini: "I Naviganti" in "Il Libro delle Figurazioni Ideali" (1894).

Olindo Malagodi: "Rimembranza" in "Poesie vecchie e nuove (1890-1915)" (1928).

Pietro Mastri: "Il vascello fantasma (Luna nuova)" in "L'arcobaleno" (1900)

Pietro Mastri: "La nave" in "La fronda oscillante" (1923).

Ettore Moschino: "La felicità" in "I Lauri" (1908).

Domenico Oliva: "Nel porto" in "Poesie" (1889).

Angiolo Orvieto: "Anelito" in "La Sposa Mistica. Il Velo di Maya" (1898).

Nino Oxilia: "Le mie brame nel porto a naufragare" in "Canti brevi" (1909).

Aldo Palazzeschi: "La lancia" in "I cavalli bianchi" (1905).

Aldo Palazzeschi: "Vela lontana" in "Lanterna" (1907).

Francesco Pastonchi: "Il pilota dorme" in "Il pilota dorme" (1913).

Guido Ruberti: "Il faro" in "Le Evocazioni" (1909).

Antonio Rubino: "Vascello fantasma" in "Versi e disegni" (1911).

Angelo Toscano: "I Poeti" in "Il Libro dei Venti anni" (1900).

Alessandro Varaldo: "La Gondola dal Letto di Rose" in "Il 1° libro dei trittici" (1897).

Alessandro Varaldo: "La lancia arranca audacemente..." in "Marine liguri" (1898).

Remigio Zena: "Negra notte profonda" in "In yatch da Genova a Costantinopoli" (1887).

 

 

 

 

Testi

 

I NAVIGANTI

di Gian Pietro Lucini

 

Videro le Galee rider dal mare

oltre le Sirti Aurora, e cristallina

Morgana materiar palazzi ed are:

carche d'oro ad Ophir, d'argenti a Cina,

d'issopo e mirra in Asia e di più rare

glossopetre a Zabarca, alla marina

secreta dei miraggi a riposare

le carene fermâr. Cantar l'Ondina

 

al ritmo lento del grave Oceano

udì 'l nocchiero e novellar di Fate,

mentre, ardito nel cuor più non umano,

sorgeva il desiderio d'insperate

ebrietà di conquiste e d'un arcano

veleggiar per region' non pria tentate.

 

E ancora e sempre veleggiò penando

l'acque dei Sogni audace la Galea:

e ancora e sempre il cuor sale sperando

e arriva a te, Fatale Madre e Dea.

 

(da "Il Libro delle Figurazioni Ideali", Galli di Chiesa e Guindani, Milano 1894, pp. 56-57)

 

 

 

 

LA VELA DE LA PICCOLA PARANZA...

di Ricciotto Canudo

 

La vela de la piccola paranza, si ergeva biancheggiante ne la notte lunare.

Io la guardava come un fantasma che menasse la barca ad una meta misteriosa.

Così ho visto il Sogno eretto su la mia Anima. Ma la notte è illune. Ed il mare, su cui naviga la mia Anima, non è calmo; ma infestato di Najadi e di Mostri atroci, che tormentano la mia piccola nave...

 

(da "Piccole anime senza corpo", Barboni, Castrocaro 1898, pp. 16-17)



Odilon Redon, "The Barque"
(da questa pagina web)