domenica 19 gennaio 2020

I momenti magici nella poesia italiana decadente e simbolista


Sotto la dicitura "momenti magici", ho qui riunito una serie di componimenti poetici risalenti all'ultima decade dell'Ottocento e al primo ventennio del Novecento, in cui emergono in modo preponderante atmosfere, situazioni ed eventi che posseggono dei requisiti ultraterreni; i poeti si trovano di fronte a spettacoli della natura o comunque a visioni di vario genere, dove è presente qualcosa che va al di fuori della comprensione umana; in alcuni casi, si fa riferimento al passato, anche quello più remoto, pur rimanendo nell'ambito di descrizioni di eventi al di fuori del normale. Questi poeti non danno una spiegazione ai fatti di cui parlano, ma si lasciano ipnotizzare ed estasiare da essi; dimostrando così la loro simpatia verso l'irrazionalità, la magia, il misticismo e l'esoterismo. Passando ad alcuni esempi, nei versi di Giovanni Camerana e Cosimo Giorgieri Contri è la stagione autunnale che, coi suoi infiniti fascini, fa nascere sensazioni inaudite, pensieri eterei e ricordi malinconici; alla stessa maniera, pur con caratteristiche differenti, può essere la stagione primaverile (Sul Pincio di Corrado Govoni; Attimi di Yosto Randaccio) o quella estiva (Meriggio Estivo di Virgilio La Scola; Vagando... di Aldo Fumagalli) a suscitare stupori e sensazioni trascendenti. Nelle poesie di Enrico Cavacchioli e Mario Venditti alcuni oggetti improvvisamente si animano, si muovono e compiono azioni impossibili, riconducibili ad un mondo favoloso o comunque alquanto fantasioso. Nei versi di Gabriele D'Annunzio, Gino Borzaghi e Angiolo Orvieto, protagonisti sono esseri umani misteriosi, maschili o femminili, non bene identificabili, che a volte posseggono poteri occulti, impensabili e divini. Nella poesia di Adolfo De Bosis si assiste al ribaltamento di una serie di situazioni sfavorevoli che fa pensare ad un intervento divino, o per lo meno a qualcosa di soprannaturale, in grado di intervenire quando tutto sembra ormai perduto. Ci sono poi altre poesie come Fuga di treno lontano di Guglielmo Felice Damiani e Riflesso di Diego Garoglio, dove la visione di un treno che passa o soltanto il ricordo di un viso fanno scaturire una serie d'immagini e di sentimenti vivi e forti, che per la loro imprevedibilità posseggono anch'essi un che di magico. Ed è la stessa magia de L'ora divina descritta in modo superlativo da Luisa Giaconi, pur nella consapevolezza che l'incantesimo duri poco e sia del tutto falso. Anche due persone, particolarmente legate tra loro, possono vivere dei "momenti magici" comuni - siano essi dovuti all'inconscia attrazione amorosa o alla malinconica percezione della separazione imminente: così accade nei versi di Domenico Gnoli, Vincenzo Fago e Amalia Guglielminetti. In altre contestualità, è una base musicale particolarmente fascinosa a creare un'atmosfera sognante che fa pensare ad un mondo "altro" (si leggano, a tal proposito, le poesie di Diego Angeli e Enrico Panzacchi); ciò può accadere pure ascoltando il canto di una sirena - e quindi di un essere fantasioso - capace di ammaliare chiunque lo percepisca (Rimpianto di Gustavo Botta) o quello melodioso degli uccelli (Già declinava il giorno di Tito Marrone).



Poesie sull'argomento

Diego Angeli: "Mentre suonava un violino" e "Armonie di una notte d'agosto" in "L'Oratorio d'Amore. 1893-1903" (1904).
Peleo Bacci: "Sulla Tàzzera" in "Dai nostri poeti viventi" (1903).
Gino Borzaghi: "Andante e recitativo" in "Sinfonie luminose" (1893).
Gustavo Botta: "Rimpianto" in "Alcuni scritti" (1952).
Giovanni Camerana: "Capovolti si specchiano" e "Note morenti" in "Poesie" (1968).
Enrico Cavacchioli: "Le scope" in "Le ranocchie turchine" (1909).
Guglielmo Felice Damiani: "Fuga di treno lontano" in "Lira spezzata" (1912).
Gabriele D'Annunzio: "L'esempio" in "Poema paradisiaco" (1893).
Adolfo De Bosis: "La selva si sfronda..." in "Amori ac silentio e Le rime sparse" (1924).
Luigi Donati: "Poema Epico" e "Poema Lirico" in "Le ballate d'amore e di dolore" (1897).
Vincenzo Fago: "Chiostro di S. Giovanni" in "Discordanze" (1905).
Aldo Fumagalli: "Vagando" in "Arcate" (1913).
Diego Garoglio: "Riflesso" in "Sul bel fiume d'Arno" (1912).
Ugo Ghiron: "Momento" in "Poesie (1908-1930)" (1932).
Luisa Giaconi: "L'ora divina" e "Parole della solitudine" in "Tebaide" (1912).
Cosimo Giorgieri Contri: "Settembre antico" in "Il convegno dei cipressi e altre poesie" (1922).
Cosimo Giorgieri Contri: "L'ultima gioia" in "Primavere del desiderio e dell'oblio" (1903).
Domenico Gnoli: "Nel viale" in "Jacovella" (1905).
Corrado Govoni: "Sul Pincio" in "Le Fiale" (1903).
Amalia Guglielminetti: "Vortice" in "Le Seduzioni" (1909).
Virgilio La Scola: "Meriggio Estivo" in "La placida fonte" (1907).
Tito Marrone: "Già declinava il giorno" in "Le rime del commoato" (1901).
Arturo Onofri: "Leziosaggine" in "Poesie edite e inedite (1900-1914)" (1982).
Angiolo Orvieto: "L'abisso" in "La Sposa Mistica. Il Velo di Maya" (1898).
Nino Oxilia: "Nella foresta dove l'ombra appare" in "Canti brevi" (1909).
Nino Oxilia: "Io porto in me un'oasi di luce" in "Gli orti" (1918).
Enrico Panzacchi: "O prediletta!..." in "Poesie" (1908).
Giuseppe Piazza: "L'aurora" in "Le eumenidi" (1903).
Yosto Randaccio: "Attimi" in "Poemetti della convalescenza" (1909).
Antonio Rubino: "Aurora vedica" in "Versi e disegni" (1911).
Sebastiano Satta: "Meriggio" in "Canti barbaricini" (1910).
Diego Valeri: "Lenta pel cielo passa..." in "Umana" (1916).
Diego Valeri: "Risveglio" in "Crisalide" (1919).
Mario Venditti, "Gli infermieri dell'anima in esilio" in "Il cuore al trapezio" (1921).
Remigio Zena: "Rondò" in "Tutte le poesie" (1974).



Testi

L'ORA DIVINA
di Luisa Giaconi

Un'ora, fra le torbide e dolenti,
e quelle che l'amaro tedio annera,
e quelle che ti son gioghi possenti,

un'ora splende; ed è profonda e vera
tanto, che allora quando ella si schiude,
vivi tu, solo; - e tutto il resto è nera,

è sconfinata vanità che illude.

L'ora muta in cui tu lento cammini
lungo le solitudini pensose
de' sogni; e vedi lampeggiar destini

nuovi da lunge, e senti imperiose
gioie chiamarti; e senti che la vita
tu tieni e avvinci e da le luminose

labbra suggi la sua forza infinita...

Quest'ora è eterna. Lunghe, ebre, tenaci
(non forse il tuo fremito eterno, Amore?)
ti cerchian spire tepide di baci;

e, come canto in vastità sonore,
la giovinezza tua palpita e sale
a fiotti a fiotti dal tuo chiuso cuore,

con un ritmo che a te sembra immortale.

Bevi quest'ora. E non sii tu per nulla
credulo che al di là palpiti e viva
cosa alcuna; ma l'ombra, arida e nulla.

Che tu, quando su te scenda tal viva
Grazia, sei il mago eterno che profondi
l'ombra e la fiamma e al cui cenno s'avviva

tutta l'immensa voluttà dei mondi.

(da "Tebaide")




ATTIMI
di Yosto Randaccio

Che senso di cose lontane
nel cielo, stamane!

Il cielo è perlato;
il Tevere immoto,
senza ànsito di correntìa!
Che ascolto?
Non ò più coscienza
de l'anima mia: sono astratto.
Nel mondo non s'ode più nulla.
Silenzio profondo infinito:
ogni senso vivente è sopito:
è stupefatto.

È questo l'aprile ch'io sogno!
Lo presentivo nel male.
Questa infinita tristezza
che trema per ogni mia vena,
questa corrente d'oblio
che scende da vette lontane,
quest'ombre di fascinamento
che vengono forse da lei,
quest'ora fatale,
la vidi nel cuore!

Un'urna ne l'abbandono,
un rivo che scende senza suono,
un mare senza maretta,
una bocca senza parola,
possono esprimere, forse,
questa stupefazione,
questo solenne sopore,
quest'infinito ristagno, questo morire
d'ogni senso di vita
nel cuore del mondo!

(da "Poemetti della convalescenza")


Odilon Redon, "Evocation"
(da questa pagina Web)


domenica 12 gennaio 2020

"La rondine sotto l'arco" di Renzo Pezzani


Quando Renzo Pezzani (Parma 1898 - Castiglione Torinese 1951), nel 1927, pubblicò una delle sue opere poetiche più importanti: La rondine sotto l'arco, aveva già dato alle stampe altri due volumetti di versi, che, malgrado evidenziassero già alcune qualità del poeta parmense, non furono prese in considerazione più di tanto, cadendo nell'anonimato. Ma questo libro, uscito grazie alla Società Editrice Internazionale di Torino (la seconda edizione fu stampata due anni dopo dall'editore Le Muse, sempre nel capoluogo piemontese), ebbe un certo risalto, e fu lodato da molti critici, tra i quali, vi fu anche Pietro Mignosi (1895-1937), che nel suo saggio antologico La poesia italiana di questo secolo, ne parlò in modo entusiastico, come si può leggere dal frammento che riporto di seguito, tratto dal libro citato:

Ricco di fantasia e di sentimento (quante affinità, ma non letterarie intendiamoci, col Betti!¹) il Pezzani pur mantenendo i vecchi schemi metrici ha saputo snodarli ed arricchirli in una soavità di pause, si sospensioni di allungamenti pieni di una incantata potenza evocatrice. Religioso in quel chiudere nel velo della pietà fraterna il peccato e l'errore degli uomini, sa, talvolta, levarsi dal suo piccolo mondo primaverile e claustrale alla contemplazione delle cose eterne: Dio e la morte².

Il critico siciliano aveva colto nel segno: Pezzani in questa raccolta mette in luce quelle caratteristiche che diverranno costanti anche nelle opere successive, sia nelle prose o nei versi destinati al pubblico infantile, che nelle altre. Certamente il suo fare poetico deve molto a Giovanni Pascoli, e certamente qualcos'altro prende da Angiolo Silvio Novaro, ma la sua scrittura in versi, da questo punto in poi, diverrà personalissima, riconoscibilissima e troverà un pubblico sempre più vasto, di tutte le età. Peccato che, da almeno un cinquantennio, questo poeta sia stato messo da parte, e i suoi versi ormai si possono leggere soltanto in qualche vecchia antologia scolastica.
La rondine sotto l'arco, nella sua 2° edizione, comprende 23 poesie divise nelle seguenti sezioni:
I. La rondine sotto l'arco; II. Le fiabe; III. Claustrale; IV. Cantilene sulla fisarmonica; V. I canti del reduce; VI. I canti del ritorno.
Per chiudere riporto, tratta da questa raccolta, una poesia molto bella, che ricorda il Pezzani più legato al mondo infantile, e che si paleserà in modo netto a partire dalla raccolta Sole, solicello, uscita nel 1933.





LA LODOLETTA FERITA

O lodoletta dolce e sospesa,
come una fiamma nel sole accesa,

come un fiore senza stelo,
fiore di piume, fiorisci nel cielo.

Porti nel becco il mattino sereno
come il verdissimo filo di fieno...

C'è più rugiada nel tuo canto
che lagrime nel mio pianto.

È più fresco il tuo cuore d'uccello
che l'acqua che porta, trottando, il ruscello.

Ma l'uomo armato di freccia e d'arco,
o creatura, t'attende al varco;

e c'è del sangue nel tuo destino...
Passa una nube tra il sole e il giardino.

Cerca la freccia scagliata, il tuo cuore:
piccolo grano semente d'amore.

O lodoletta! il tuo corpo esangue
ha tutto macchiato gli spini di sangue.

Ora ogni goccia una spina feconda,
da ogni spina germoglia una fronda,

da ogni fronda germoglia un fiore:
tutto di rose era pieno il tuo cuore,

o lodoletta, fior senza stelo,
fiore di piume caduto dal cielo.

(da "La rondine sotto l'arco", Le Muse, Torino 1928, pp. 92-94)



NOTE
1) Si tratta di Ugo Betti (1892-1953), autore di ottimi volumi di versi come Il Re silenzioso (1922) e Canzonette. La Morte (1932).
2) Frammento tratto da La poesia italiana di questo secolo di Pietro Mignosi, Edizioni del Ciclope, Palermo 1929.

domenica 5 gennaio 2020

Antologie: "La Riviera Ligure"


La Riviera Ligure è il titolo di un'antologia curata da Edoardo Villa e Pino Boero, pubblicata dalle Edizioni Canova in Treviso nel 1975. Purtroppo, da quello che so, è l'unica che si occupi di una rivista fondamentale, che accolse nelle sue pagine nomi importantissimi della nostra letteratura d'inizio Novecento. La Riviera Ligure nacque nel 1895, con l'intento di pubblicizzare l'industria olearia Sasso. Diretta inizialmente da Angiolo Silvio Novaro, uscì con cadenza trimestrale fino al 1899, quando la direzione passò al fratello di Angiolo Silvio: Mario Novaro, che decise di pubblicarla ogni due mesi; dal 1903 La Riviera Ligure divenne una rivista mensile, e ciò rimase fino al 1919: anno limite della sua vita. Ho detto dell'importanza che ricopre questa rivista, tra le migliori d'inizio secolo, e aggiungo che tale discorso è ancor più valido se si parla di poesia, visto che in queste pagine si possono ritrovare diversi capolavori della lirica italiana: alcuni tra i migliori versi di Giovanni Pascoli, Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, Guido Gozzano, Umberto Saba, Dino Campana, Clemente Rebora, Camillo Sbarbaro, Giuseppe Ungaretti e, non da meno, i due fratelli Novaro, anch'essi eccellenti poeti. Qui nacque la cosiddetta "Linea ligure", ovvero quel modo particolare d'intendere e di fare poesia che fu proprio di determinati poeti liguri, da Ceccardo Roccatagliata Ceccardi a Eugenio Montale. In questa rivista, grazie alla perspicacia e all'intuito di Mario Novaro, trovarono spazio un po' tutte le correnti poetiche italiane dei primi vent'anni del XX secolo; ci sono i decadenti, i simbolisti, i crepuscolari, i vociani e perfino i futuristi. Nessuno ha mai pensato di dedicare alla Riviera Ligure un volume più comprensivo e corposo di questo, che possa offrire una maggior quantità di scritti presenti nelle tante pagine interessanti e, direi, basilari di questa rivista. Chiudo con l'elenco degli scrittori antologizzati nel citato volume, segnando con un asterisco quelli che qui sono presenti soltanto con i loro versi.


LA RIVIERA LIGURE



Adolfo Albertazzi, Corrado Alvaro, Salvatore Ernesto Arbocò, Ugo Bernasconi, Giovanni Boine, Dino Campana*, Luigi Capuana, Grazia Deledda, Salvatore Di Giacomo, Francesco Gaeta*, Giulio Gianelli, Cosimo Giorgieri Contri*, Corrado Govoni*, Guido Gozzano*, Piero Jahier, Tito Marrone*, Mario Novaro*, Giovanni Papini, Giovanni Pascoli*, Luigi Pirandello*, Clemente Rebora*, Ceccardo Roccatagliata Ceccardi*, Salvatore Ruju, Umberto Saba*, Camillo Sbarbaro*, Scipio Slataper, Ardengo Soffici, Giuseppe Ungaretti*, Mario Vugliano.

domenica 29 dicembre 2019

I poeti della "Linea ligure"


In riferimento alla storia della poesia italiana che comprende circa un cinquantennio, partendo dall'ultima decade dell'Ottocento e giungendo agli anni trenta del Novecento, alcuni critici letterari hanno intercettato una Linea ligure, ovvero una sorta di continuum che lega e accomuna varie generazioni di poeti nati nella regione Liguria. I primi esponenti di questa presunta corrente o scuola, andrebbero identificati in Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, Mario Morasso, Alessandro Giribaldi ed altri poeti di un cenacolo che si formò a Genova intorno al 1896, e che contribuì non poco al rinnovamento della poesia italiana. Questo gruppo di poeti si rifaceva al simbolismo francese, ma non soltanto. Dopo di loro, emersero altri autori di versi nati in Liguria, la maggior parte dei quali trovò spazio nelle pagine di due riviste importanti: La Riviera Ligure e La Voce; tra di essi spiccano i nomi di Camillo Sbarbaro, Giovanni Boine e, sebbene anagraficamente più anziani, i due fratelli Angiolo Silvio e Mario Novaro (entrambi diressero La Riviera Ligure). Infine, esiste un'ultima generazione "ligure", che si fece conoscere nella terza e nella quarta decade del XX secolo, grazie ad opere di indubbio valore; di questa fa parte addirittura il premio Nobel Eugenio Montale, ma vanno anche ricordati altri nomi meritevoli come quelli di Adriano Grande e di Angelo Barile (anche se quest'ultimo, per la data di nascita, dovrebbe appartenere alla generazione precedente). A proposito di questa generazione, c'è da ricordare che molti di loro pubblicarono poesie in un'altra rivista memorabile, nata nel 1931 grazie ad Adriano Grande: Circoli.
Sinceramente, devo dire che, come è piuttosto facile rintracciare i nomi dei poeti della citata Linea ligure, così è difficile trovare un punto di unione che possa ritenersi attendibile per confermare la tesi secondo la quale esistono delle somiglianze nel fare poetico di tre o quattro generazioni nate, più o meno, negli stessi luoghi.
Alla fine ho rinunciato all'impresa: almeno per me non esiste nemmeno un elemento che possa fare da trade union tra tutti questi poeti, spesso così differenti e distanti - poeticamente parlando - tra loro. Mi limiterò perciò a fare un elenco dei loro nomi (scusandomi nel caso in cui ne abbia dimenticato qualcuno), inserendo alcuni dati biografici e bibliografici, e quindi lasciando ancora aperta la possibilità, forse recondita, di trovare qualcosa di unitario, ovvero un idem sentire poetico tale da poter affermare con certezza l'esistenza di una Linea ligure della poesia italiana tardo-ottocentesca e novecentesca.


Copertina di un numero della rivista "La Riviera Ligure"



I POETI DELLA "LINEA LIGURE"


ITALO MARIO ANGELONI (Genova 1876 - Torino 1957)
Scrittore, pittore e artigiano, fu docente di lettere e di storia dell'arte. Dopo la fine della Grande Guerra si trasferì a Torino, dove visse fino alla morte. Scrisse versi in dialetto e in  lingua; in questi ultimi, pubblicati nei volumi La fantasia del Crepuscolo (1899), Le Nevi (1900) e Il Conquistatore (1910), il suggestivo paesaggio alpino la fa da padrone.

ADELCHI BARATONO (Firenze 1875 - Genova 1947)
Pur nato a Firenze, visse prevalentemente a Genova, e si distinse come filosofo. Praticò la poesia soltanto in gioventù, pubblicando col fratello Pier Angelo un volume di versi intitolato Sparvieri (1900), dove si riscontrano temi vicini al decadentismo e qualche elemento che si ritrova nella poesia di Eugenio Montale.

PIERANGELO BARATONO (Roma 1880 - Trento 1927)
Al di là del luogo di nascita, va considerato a tutti gli effetti un ligure, e in particolare un genovese (a Genova dedicò diversi suoi scritti). Fu poeta in giovanissima età, quando, col fratello Adelchi, pubblicò Sparvieri (1900); in seguito abbandonò la poesia per abbracciare la prosa, ottenendo anche diversi riconoscimenti. I suoi versi, in parte, anticipano quel mondo favolistico su cui si basano i suoi migliori romanzi.

ANGELO BARILE (Albissola Marina 1888 - ivi 1967)
Collaboratore di varie riviste, tra cui Solaria, cofondò Circoli. Iniziò a pubblicare libri di versi oltre i quarant'anni. Nelle sue opere (Primasera, 1933; Quasi sereno, 1957; Poesie, 1965) spiccano una forte e pur sofferta religiosità, un'attenzione particolare agli ultimi della terra e la descrizione appassionata dei luoghi dove ha vissuto.

GUGLIELMO BIANCHI (Lavagna 1899 - ivi 1966)
Di famiglia benestante, fu poeta, giornalista e pittore; fu redattore e condirettore della rivista Circoli. Pubblicò due libri di versi: Sciamiti (1923) e Sestante (1937). La sua poesia si rifà al migliore Cardarelli, con, in aggiunta, una rara fantasia e una prevalenza di temi pittorici (come detto, il Bianchi fu anche pittore di fama).  

GIOVANNI BOINE (Finale Marina 1887 - Porto Maurizio 1917)
Cofondatore della rivista Rinnovamento, collaboratore della Voce e della Riviera Ligure, fu uno spirito fortemente tormentato; nei suoi scritti filosofici si nota spesso un travaglio interiore di chi si trova a metà strada tra una visione della realtà prettamente razionale e una tendenza istintiva verso la religione cristiana e i suoi principi incontestabili. Scrisse delle poesie in prosa molto originali, che vennero pubblicate in volume dopo la sua morte col titolo Frantumi (1918).

GINO BORZAGHI (1872 - 1935)
Di lui si sa pochissimo. Pubblicò due volumetti di versi, il primo dei quali, intitolato Sinfonie luminose (1893), contiene anche alcune liriche di Mario Morasso. Qui, come anche in alcuni versi di Nel passato (1902), si notano alcune caratteristiche riconducibili al simbolismo ed altre che lo avvicinano ai poeti minori del secondo Ottocento.

GIOVANNI DESCALZO (Sestri Levante 1902 - ivi 1951)
Autodidatta, nella vita fece vari mestieri tra cui il tipografo, l'operaio e l'archivista; fu per lungo tempo marinaio, e il mare è protagonista in molte delle sue prose e delle sue poesie; quest'ultime furono raccolte nei volumi: Ulgine (1929), Risacca (1933) e Interpretazioni (prose liriche, 1934).

ALESSANDRO GIRIBALDI (Porto Maurizio 1874 - Chiavari 1928)
Lettore entusiasta della poesia simbolista, tentò di importarla in Italia, sia pubblicando una serie di testi poetici in riviste come Endymion e Vita nova (di quest'ultima fu fondatore e direttore), sia dando alle stampe un volumetto a tre mani insieme ad Alessandro Varaldo e Mario Malfettani: Il 1° libro dei trittici, in cui attuò una forma sperimentale di scrittura e di lettura. Finito in carcere dopo aver ucciso accidentalmente un uomo, non pubblicò più nulla in vita. Postumo uscì il volume I canti del prigioniero e altre liriche (1940), che comprende anche molti testi scritti nel periodo di prigionia, e che conferma l'anima decadente e simbolista di questo sfortunato poeta.

ADRIANO GRANDE (Genova 1897 - Roma 1972)
Poeta e giornalista, fondò le riviste Circoli e Maestrale. Il suo primo libro di prose e versi: Avventure, uscì nel 1927; seguirono La tomba verde (1929), Nuvole sul greto (1933), Alla pioggia e al sole (1935), Poesie in Africa (1938), Strada la mare (1943), Fuoco bianco (1950), Preghiera di primo inverno (1951), Canto a due voci (1954). Poeta assai prolifico, inizialmente vicino al Cardarelli, poi al Montale, andò maturando una sua personale scrittura, con sempre più evidenti tracce di una religiosità sincera e tormentata.

MARIO MALFETTANI (Genova 1875 - ivi 1911)
Ottenuta la laurea in legge si dedicò alla letteratura e frequentò alcuni poeti dell'ambiente genovese fra cui Alessandro Giribaldi; appassionatosi di politica, entrò nel partito socialista. Morì suicida. Le sue poesie risentono del clima decadente e simbolista che aleggiava nel cenacolo dei poeti di Genova. Opere poetiche: Il 1° libro dei trittici (con A. Giribaldi e A. Varaldo, 1897), Fiori vermigli (1906).

EUGENIO MONTALE (Genova 1896 - Milano 1981)
Su un insigne poeta come Montale mi sembra inutile aggiungere qualcosa rispetto a ciò che è stato già scritto e detto; mi limito quindi a riportare un elenco delle sue opere poetiche: Ossi di seppia (1925); La casa dei doganieri e altri versi (1932); Le occasioni (1939); Finisterre (1943); La bufera e altro (1956); Xenia (1966); Satura (1971); Diario del '71 e del '72 (1973); Quaderno di quattro anni (1977); Altri versi e poesie disperse (1981).

MARIO MORASSO (Genova 1871 - Torino 1938)
Fu un avanguardista a tutto tondo, a partire dai suoi versi sperimentali, molto vicini all'area simbolista, che pubblicò in gioventù nei volumi: Sinfonie luminose (con Gino Borzaghi, 1893); I Prodigi (1894); Profezia (1902). Nelle sue prose si dimostrò un convinto teorico del macchinismo estetico e, per certi aspetti, anticipò di circa un decennio le idee futuriste di Marinetti. 

ANGIOLO SILVIO NOVARO (Diano Marina 1866 - Imperia 1938)
Fratello di Mario, diresse nei primi anni di vita La Riviera ligure: rivista tra le più celebri del primo Novecento, in cui compaiono i nomi di scrittori di altissimo livello; autore di prose narrative, di prose liriche e di versi, dedicò molti libri al pubblico infantile. Nei suoi migliori versi (e volendo anche in alcune prose poetiche) influenzati certamente dall'opera di Giovanni Pascoli, emergono alcuni elementi costanti, tra i quali la semplicità, la cantabilità ed una tormentata religiosità. Opere poetiche: La casa del Signore (1905); Il Cestello (1910); Il fabbro armonioso (prose poetiche, 1920); Il cuore nascosto (1920), Dio è qui (prose poetiche, 1927), Il piccolo Orfeo (1929); La madre di Gesù (1936) e Tempietto (1939).

MARIO NOVARO (Diano Marina 1868 - Imperia 1944)
Fratello di Angiolo Silvio, filosofo, direttore per un ventennio della rivista La Riviera Ligure, scrisse un unico libro di versi: Murmuri ed echi, che fu pubblicato per la prima volta nel 1912, e che ebbe varie edizioni che includevano nuove poesie. Novaro è stato un poeta innovativo sia per quel che concerne la forma, sia per i temi trattati; nei suoi versi e nelle sue prose poetiche ha privilegiato il paesaggio ligure, inserendovi emozioni personali, interrogativi esistenziali, riflessioni e meditazioni.

CECCARDO ROCCATAGLIATA CECCARDI (Ortonovo 1871 - Genova 1919)
La sua vita irregolare e tormentata fece sì che venisse accostato ai "poeti maledetti"; tant'è vero che, questa abitudine al randagismo e all'irrequietezza gli procurò un precoce logoramento del corpo. Fu carducciano, pascoliano e dannunziano, lesse e in parte imitò i poeti decadenti francesi, ma soprattutto fu poeta originale, cantore del paesaggio apuano e versiliese. Anche Eugenio Montale parlò di lui come un fondamentale maestro. Le sue opere poetiche principali sono: Il libro dei frammenti (1895); Sonetti e poemi (1910) e Sillabe e ombre (postumo, 1925).

CAMILLO SBARBARO (Santa Margherita Ligure 1888 - Savona 1967)
Traduttore eccellente, studioso e collezionista di licheni, collaborò alla Voce e alla Riviera Ligure con poesie e prose poetiche. Dopo l'esordio di Resine (1911), si fece conoscere grazie alla raccolta Pianissimo (1914), in cui la lezione leopardiana si unisce alla crisi esistenziale dell'uomo del XX secolo, inaridito dalla vita cittadina e dall'assenza di valori. Ottime anche le sue prose, che cominciò a riunire a partire dal 1920, in un volume intitolato Trucioli. In seguito diradò le sue pubblicazioni; tra di esse non è da considerarsi rilevante la nuova edizione di Pianissimo, che presenta diverse rielaborazioni e modifiche rispetto al testo originale.

ALESSANDRO VARALDO (Ventimiglia 1876 - Roma 1953)
Giornalista, critico, commediografo e prosatore, scrisse versi in gioventù che pubblicò sia in alcune riviste, sia nei tre volumi: Il 1° libro dei trittici (comprende anche poesie di A. Giribaldi e di M. Malfettani, 1897); Marine liguri (1898) e Romanze e notturni (1904). Poeticamente parlando, il Varaldo mostrò varie tendenze che vanno da un accentuato simbolismo ad un ben curato e intenso paesaggismo, in cui prevalgono i luoghi cari della Liguria.



domenica 22 dicembre 2019

Poeti dimenticati: Carmelo Errico


Nacque a Castel Baronia, in provincia di Avellino, nel 1848. Dopo i primi studi effettuati a Benevento, si trasferì a Napoli, dove conseguì la laurea in Giurisprudenza. Fu quindi a Roma, dove conobbe, tra gli altri, scrittori famosi come Gabriele D'Annunzio e Matilde Serao. Professò l'avvocatura, spostandosi, durante la sua carriera, in varie città italiane. Morì nella capitale a soli quarantaquattro anni.
La poesia di Errico, che si distingue per una sapiente musicalità e per una sincera malinconia, può essere inserita nelle correnti tardo-romantiche e pre-crepuscolari che contraddistinsero la seconda metà del XIX secolo.



Opere poetiche

"Malinconie", Casali, Forlì 1870.
"Versi", Galeati, Imola 1878.
"Convonvoli", Sommaruga, Roma 1883.
"Convolvoli" (2° ed. ampliata), Campitelli, Foligno 1894.





Presenze in antologie

"Poeti minori del secondo Ottocento italiano", a cura di Angelo Romanò, Guanda, Bologna 1955 (p. 392).
"I poeti minori dell'Ottocento", a cura di Ettore Janni, Rizzoli, Milano 1955-1958 (vol. IV, pp. 54-61).
"Poeti minori dell'Ottocento italiano", a cura di Ferruccio Ulivi, Vallardi, Milano 1963 (pp. 597-599).



Testi

UNA VIOLA

China sul gambo gracile
La delicata testa,
O violetta mammola,
Passavi i giorni, mesta.
Sola, sul clivo florido,
Dove l'april fa festa,
         Gemevi sola.

Modesta, in tuo silenzio
Tu di un arcano amore
Parlavi, o vera immagine
Di chi sospira e muore:
Parlavi, e malinconica,
Dolce scendeva al core
         La tua parola.

Trista, ne l'ora tacita
Che si scolora il giorno,
Errando solitaria
Al molle clivo intorno
Una pietosa vergine,
Ti tolse al tuo soggiorno
         E al tuo dolore.

Ne le tue foglie pallide,
O fior senza speranza,
Cadde la mesta lagrima
D'una pia ricordanza,
E pegno d'amicizia
A me venisti. Or stanza
         Hai qui, sul core.

E mi sei cara. Un palpito
Tu mi ridesti in petto,
E i dolci desideri
D'un innocente affetto.
Sempre, o viola mammola,
Mio fiorellin diletto,
         Con me sarai.

Te rimirando, al subito
Svanir dei cari inganni,
Ed ai giorni incantevoli,
Ed ai presenti affanni
Ripenso. Ahimè non tornano
I miei dieciassette anni:
         Vissi, ed amai.

(da "Versi")




MARINA

Ne l'ampia solitudine
Del vespero d'estate
Le paranzelle dormono
Su l'acque addormentate.

Con le vele senz'aria,
Accidiose e lente
Si cullano ne l'ultimo
Raggio del sol morente.

Stanno. In grembo a la tenue
Nebbia crepuscolare
S'immergono, dileguano
Lungi, tra cielo e mare.

Per l'aere non palpita
Nessun'ala di canto;
Di vita nessun fremito
Move dai campi. Intanto

Pe 'l mar de le memorie,
Come una vela bianca,
Pe 'l mar dei sogni naviga
L'anima oppressa e stanca.

E, nel vasto silenzio
De la notte che scende,
La tua gentile imagine
Agli occhi miei risplende.

Invocata, a l'Angelico
Più serena e più bella
Non apparve la Vergine
Ne la deserta cella.

(da "Convolvoli")