domenica 7 ottobre 2018

Poeti dimenticati: Riccardo Bacchelli


Nacque a Bologna nel 1891 e morì a Monza nel 1985. Dopo aver frequentato per tre anni la facoltà di lettere dell'Università di Bologna, abbandonò gli studi per dedicarsi completamente alla scrittura. Giovanissimo cominciò a collaborare a varie riviste, tra cui «La Voce», «Il Resto del Carlino», «Primato» e «La Ronda»; di quest'ultima fu anche uno dei fondatori. Partecipò alla Grande Guerra come ufficiale d'artiglieria. Nel 1941 fu nominato accademico d'Italia, ma tre anni dopo rinunciò alla prestigiosa carica; fu socio di diverse accademie, tra cui la Crusca e i Lincei. Scrisse romanzi (tra cui, famosissimo è Il mulino del Po), novelle, saggi critici, poesie e opere teatrali.
Per Riccardo Bacchelli, meglio conosciuto in veste di prosatore, piuttosto che quella di "poeta dimenticato", sarebbe più opportuna la definizione di "poeta trascurato", poiché la sua prima e più importante opera in versi: Poemi lirici - che è stata ripubblicata in tempi recenti - andrebbe considerata alla stessa stregua di altre uscite durante il secondo decennio del XX secolo, che vengono ritenute fondamentali per le innovazioni, le tematiche, la versificazione e l'originalità. Insomma, questa raccolta, che si presenta come un misto di frammenti autobiografici, descrizioni paesaggistiche, meditazioni filosofeggianti e pagine di diario in versi, e che in parte s'ispira alla migliore poesia di Walt Whitman, appare perfettamente inserita in quel clima particolare che si venne a creare grazie ad alcuni scrittori talentuosi, quasi tutti riuniti all'interno delle pagine di una rivista, La Voce, capace di rappresentare la migliore letteratura italiana di quel preciso periodo. Il resto della produzione poetica di Bacchelli non è certo da buttare, anche se appare desueta rispetto ai tempi.



 Opere poetiche

"Poemi lirici", Zanichelli, Bologna 1914.
"Amore di poesia", Preda, Milano 1930.
"Parole d'amore", Officina Tipografica Gregoriana, Milano 1935.
"La notte dell'8 settembre 1943", Garzanti, Milano 1945.
"Memorie del tempo presente", Rizzoli, Milano 1953.
"Versi e Rime. Primo Libro. La Stella del Mattino", Mondadori, Milano 1971.
"Versi e Rime. Secondo Libro. Bellezza e Umanità", Mondadori, Milano 1972.
"Versi e Rime. Terzo Libro. Giorni di Vita e Tempo di Poesia", Mondadori, Milano 1973.





Presenze in antologie

"Poeti d'oggi: 1900-1920", a cura di Giovanni Papini e Pietro Pancrazi, Vallecchi, Firenze 1925; nuova edizione: Crocetti, Milano 1996 (pp. 43-46).
"Antologia della lirica contemporanea dal Carducci al 1940", a cura di Enrico M. Fusco, SEI, Torino 1947 (pp. 226-228).
"La lirica moderna", a cura di Francesco Pedrina, Trevisini, Milano 1951 (pp. 546-547)
"L'antologia dei poeti italiani dell'ultimo secolo", a cura di Giuseppe Ravegnani e Giovanni Titta Rosa, Martello, Milano 1963 (pp. 687-692).
"Letteratura dell'Italia unita 1861-1968", a cura di Gianfranco Contini, Sansoni, Firenze 1968 e 1994² (pp. 761-764).
"Poesia italiana del Novecento", a cura di Piero Gelli e Gina Lagorio, Garzanti, Milano 1980 (volume primo, pp. 346-354).
"Il canto strozzato: Poesia italiana del Novecento", a cura di Giuseppe Langella e Enrico Elli, Interlinea, Novara 1997² (pp. 381-382).
"L'altro Novecento. Volume III. La poesia etico-civile in Italia", a cura di Vittoriano Esposito, Bastogi Foggia 1997 (p. 64).
"Poesia del Novecento italiano. Dalle avanguardie storiche alla seconda guerra mondiale", a cura di Niva Lorenzini, Carocci, Roma 2002 (pp. 104-107).




Testi

Da "PAESAGGI"

1.
Improvvisa, la fantasia m'ha condotto per le strade
rettilinee del Bolognese, bordate di rami
freddolosi, toccati dall'ottobre , con prospettive
di persiane verdi allineate sulle facciate.
Il Reno si stacca dai monti con incantevoli
indugi  e prende spazio  in pianura, alberi
e frutteti si spogliano con incredibile bellezza,
riposano al sole le terre. È il tempo
adesso che le cantine odorano di fermentazione,
e il contadino esce senz'arnesi a guardare
forse se qualche fosso non scola. Le terre,
gli uomini, il paese fortunato nelle adiacenze
del fiume, godono questo sole breve.
Gli uccelli son di passo.

In fiore, gli oscillanti canapai ubbriacavano.
Dai fieni mézzi che dan la febbre, da ondate
di frumenti pesanti, chi passa lungo le siepi
ne vede uscire i campanili rossi e i pioppi
senz'ombra annegati nella canicola, che non si sa
a che vento mai trovino il modo di tremare
in queste calme di luglio.

(da "Memorie del tempo presente")




MALIE DI STAGIONE

Io credetti già un tempo, autunno, che
Una sapida angoscia ed il sentore
Cenerigno che infondi nel mio umore,
Simile chi di mal sottile attende
Di finire al cadere delle foglie,
Fosse presagio
D'inverno, che accoglie
Nell'arie rilucenti ed estenuate
Delle tue squisitissime giornate.

Or mi ravvedo; e non so poi il perché
La novità mi annuncia d'invecchiare:
Nelle luci argentine tanto rare
Dove settembre i suoi colori accende
Come la febbre su un volto distrutto,
Che adagio adagio
Riluce e manca, tutto
Sento consunto l'ardor dell'estate,
Con quelle che non tornano giornate.

Autunno, io guardo indietro, e non so che
M'invoglia e svoglia acre e dolce malia
Sensuosa e ricca di melanconia:
Oh, ben so che il color che adesso prende
La foglia, è il mal di morte, e che nel sangue,
In un contagio
Sottile, ferve e langue
Veleno di passioni consumate,
Rancor che sian passate le giornate.

Pallido autunno, quest'inutil voglia
In cui mi adagio,
Sol al passato intende
Con voluttuosa doglia, come se
Non più avesser dimani le giornate.

(dalla rivista «Poesia», marzo 1947)




IMMORTALE AMORE

Chiunque io pensi di trovar di là,
M'è argomento e ragione di timore,
E di rimorso e di pudore: solo
Con te, mia amata, come nella vita
Così di là da morte io confessato
E fidente mi sento ed affidato,
Con te mia amata in vita e oltre la vita.
E tu accoglierai tremando queste
   Parole mie di felicità,
   La mia, la tua, e non potrà finire
   Poi ch'essa è nata d'immortalità.

(da "Versi e Rime. Secondo Libro. Bellezza e Umanità")

domenica 30 settembre 2018

L'universo in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo


Dalle prime mie letture sull'argomento e dalle immagini che, ancora bimbo, mi furono mostrate per comprendere la veritiera struttura dell'universo, rimasi nello stesso tempo affascinato, sconcertato e deluso da questa realtà ancora troppo sconosciuta, inesplorata e irraggiungibile. Seppi i nomi dei pianeti che fanno parte del sistema solare, venni a conoscenza dell'esistenza della Via Lattea e delle altre galassie sparse nello spazio infinito, degli innumerevoli pianeti, delle infinite stelle e dei possibili-impossibili mondi che formano il cosmo. Ma siamo i soli ad esistere, in questo sterminato spazio? Certo che no! Dovranno per forza esserci altri esseri viventi, magari diversissimi da noi e così distanti da non poterli mai raggiungere; così ci dicono gli scienziati e gli astronomi, i quali sono certi dell'esistenza di altre forme viventi, neppure così lontane da noi. E se, sperduto nell'universo o al di fuori di esso, esistesse anche Dio? Tra queste dieci poesie in lingua italiana che parlano dell'universo, ci sono almeno un paio di poeti che riescono a vedere una sorta di armonia cosmica, in cui qualcosa somigliante a una divinità è capace di gestire lo spazio e il tempo, il tutto e il nulla, la vita e la morte, l'essere e il non-essere. Io, sinceramente, più osservo l'universo e più vedo soltanto vuoto, silenzio, non-vita, caos... Penso che, malgrado la vita fosse molto più difficile rispetto ad oggi, da questo punto di vista siano stati più fortunati gli uomini vissuti quattro secoli or sono, prima che Galileo Galilei si accorgesse del fatto che la Terra non era al centro dell'universo, come tutti pensavano. Allora, per ovvie ragioni era più facile poter credere a Dio e al fatto che il nostro pianeta fosse più importante di ciò che è realmente. Comunque la si pensi al riguardo, buona lettura.



ALLE GALASSIE...
di Francesco Carchedi (1909-1987)

Mare, urli fiero o protesti
ammonimento, tu alleato
o avverso alla bestia
umana cui esperienza
dà su elemento dominio?
Ma tu
musica sei: pace, fragore,
abbattimento, vittoria.
Vittoria su mare, su aria,
su astri. Viva
Iddio che non è
ardimento, né quiete.

(da "Sono sotto le stelle", Edizioni di «Dialoghi», Roma 1963, p. 105)




BELLE CARNI DEL COSMO...
di Girolamo Comi (1890-1968)

Belle carni del cosmo tutte orlate
d'una nativa e fatale armonia,

e luci della voce che dorate
le curve degli spazi e degli istanti
d'una profonda e continua magia,

onde del verbo cariche di canti
e d'inni antichi in cui si svela il fiato
del mistero che governa il creato,
oscuri scambi di semi contrari,

in voi matura lentamente il terso
respiro dello spirito universo.

(da "Opera poetica", Longo, Ravenna 1977, p. 44)




ALTA SULLE NUBI
di Alberto Frattini (1922-2007)

Alta sulle nubi, regina
della pura notte è la luna.
Ma vivo, sull'irreale
ghirlanda di mille paesi
è il vento, signore dei monti,
onda selvaggia e rapina.
Già l'astronauta fantasma
s'arma a disfida di spazi:
milioni d'anni-luce
verso i placidi gorghi
delle remote galassie. Si sporge
il nostro seme sull'estremo ciglio
del suo fiorito sepolcro.
E brulica lo spazio di sogni
ma solo le stelle qui danzano,
nell'urlo chiaro del vento,
e io sono sprone di roccia,
ala di rondine, occhio
impietrato di sparviero.
Respiro in questo uragano
di trascorrenti chimere,
sulla montagna che dorme
nell'occhio di luna-regina.

[da "Salute nel miraggio (1956-1964)", Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1965, p. 45]




QUANDO, INTENTI AL DECLINO DELLE STELLE
di Tommaso Landolfi (1908-1979)

Quando, intenti al declino delle stelle,
Cerchiamo in cielo traccia della morte,
Ivi scorgiamo errare umane celle
Alla conquista d'altri mondi volte.

Non il vitale spazio ci è conteso,
Ma il mortale: dovrà la nostra morte
Non aver, dunque, a specchio l'infinito
E consumarsi sordida e meschina
Su questa terra che ci fu matrigna?

Astronauti, ridateci uno spazio
(Almeno) vuoto d'uomo.

(da"Viola di morte", Adelphi, Milano 2011, p. 86)




BIG BANG O ALTRO
di Eugenio Montale (1896-1981)

Mi pare strano che l'universo
sia nato da un'esplosione,
mi pare strano che si tratti invece
del formicolìo di una stagnazione.

Ancora più incredibile che sia uscito
dalla bacchetta magica
di un dio che abbia caratteri
spaventosamente antropomorfici.

Ma come si può pensare che tale macchinazione
sia posta a carico di chi sarà vivente,
ladro e assassino fin che si vuole ma
sempre innocente?

(da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1996, p. 545)




FRANTOIO DI STELLE...
di Arturo Onofri (1885-1928)

Frantoio di stelle, che in schiume
cantanti trabocca del mosto
degli angeli, è il sangue che assume
certezza del suo proprio nume
dal Verbo in lui stesso riposto,
       che spezza le mura
       del petto vetusto
       e n'esce in figura
       d'un virido arbusto.

Tu sei tutta grappoli, o Vite
del gran Vignaiolo dei mondi!
Gemendo da sette ferite,
ci apristi le glorie infinite
dei cieli, ma in noi sovrabbondi
       nel sangue, dal tino
       del Padre celeste:
       seràfico vino
       che bolle in tempeste:

in ardue tempeste di luce
negate dagli esseri bui,
ma fiàmmee nell'Io che conduce
le nostre più sacre fiducie
d'alzarci, tutt'uno con Lui,
       nel fuoco fraterno
       di noi creature:
       del suo regno eterno
         parlanti figure.

(da "Terrestrità del sole", Vallecchi, Firenze 1927, pp. 127-128)




IL BOLIDE
di Giovanni Pascoli (1855-1912)

Tutto annerò. Brillava, in alto in alto,
il cielo azzurro. In via con me non c'eri,
in lontananza, se non tu, Rio Salto.

Io non t'udiva: udivo i cantonieri
tuoi, le rane, gridar rauche l'arrivo
d'acqua, sempre acqua, a maceri e poderi.

Ricordavo. A' miei venti anni, mal vivo,
pensai tramata anche per me la morte
nel sangue. E, solo, a notte alta, venivo

per questa via, dove tra l'ombre smorte
era il nemico, forse. Io lento lento
passava, e il cuore dentro battea forte.

Ma colui non vedrebbe il mio spavento,
sebben tremassi all'improvviso svolo
d'una lucciola, a un sibilo di vento:

lento lento passavo: e il cuore a volo
andava avanti. E che dunque? Uno schianto;
e su la strada rantolerei, solo...

no, non solo! Lì presso è il camposanto,
con la sua fioca lampada di vita.
Accorrerebbe la mia madre in pianto.

Mi sfiorerebbe appena con le dita:
le sue lagrime, come una rugiada
nell'ombra, sentirei su la ferita.

Verranno gli altri, e me di su la strada
porteranno con loro esili gridi
a medicare nella lor contrada,

così soave! dove tu sorridi
eternamente sopra il tuo giaciglio
fatto di muschi e d'erbe, come i nidi!

Mentre pensavo, e già sentìa, sul ciglio
del fosso, nella siepe, oltre un filare
di viti, dietro un grande olmo, un bisbiglio

truce, un lampo, uno scoppio... ecco scoppiare
e brillare, cadere, esser caduto,
dall'infinito tremolìo stellare,

un globo d'oro, che si tuffò muto
nelle campagne, come in nebbie vane,
vano; ed illuminò nel suo minuto

siepi, solchi, capanne, e le fiumane
erranti al buio, e gruppi di foreste,
e bianchi ammassi di città lontane.

Gridai, rapito sopra me: Vedeste?
Ma non v'era che il cielo alto e sereno.
Non ombra d'uomo, non rumor di péste.

Cielo, e non altro: il cupo cielo, pieno
di grandi stelle; il cielo, in cui sommerso
mi parve quanto mi parea terreno.

E la Terra sentii nell'Universo.
Sentii, fremendo, ch'è del cielo anch'ella.
E mi vidi quaggiù piccolo e sperso

errare, tra le stelle, in una stella.

(da "Canti di Castelvecchio", Rizzoli, Milano 1993, pp. 395-397)




DISTRAZIONE INTRAPLANETARIA
di Gianni Rodari (1920-1980)

Chissà se a quest’ora su Marte,
su Mercurio o Nettuno,
qualcuno
in un banco di scuola
sta cercando la parola
che gli manca
per cominciare il tema
sulla pagina bianca.

E certo nel cielo di Orione,
dei Gemelli, del Leone,
un altro dimentica
nel calamaio
i segni d’interpunzione...
come faccio io.

Quasi lo sento
lo scricchiolio
di un pennino
in fondo al firmamento:
in un minuscolo puntino
nella Via Lattea
un minuscolo scolaretto
sul suo libro di storia
disegna un pupazzetto.
Lo sa che non sta bene,
e anch’io lo so:
ma rideremo insieme
quando lo incontrerò.

(da "Filastrocche in cielo e in terra", Einaudi, Torino 1972, p. 30)




INTERVISTA ALL'OSSERVATORIO
di Mario Socrate (1920-2012)

Inutile, è una domanda anzitempo.
Già altre volte immaginarono
di proiettare fra le stelle,
come una costellazione,
un segno di comunicazione intelligente:
il teorema di Pitagora si scelse.
Ebbene, forse voi credete
che l'arco senza fondo della volta
sia un vuoto vertiginoso di silenzi.
Vi posso dire, allora, che verso
questa terra, appena sospettabile,
l'universo già dilaga di pensieri
che a onde si sospingono, e che parla
da sistemi solari, nell'aldilà
di decine d'anni luce, e fra decine
e decine d'anni luce
qui approderanno le parole.
Stanno su noi precipitando illibate.
Poiché non sappiamo ancora che rispondere,
ecco, non potremo capirle.
Ma muoveremo lo stesso loro incontro,
seppure è nostro destino
ignorando morire.
Ci basti che quando altri, ormai maturi,
sapranno lanciare la risposta,
è anche dalla nostra morte
che riceveranno il sì dell'aldilà.

(da "Favole paraboliche", Feltrinelli, Milano 1961, pp. 25-27)




LAMENTO DEL VECCHIO ASTRONAUTA
di Sergio Solmi (1899-1981)

Che ho mai conosciuto
io, delle calde cose
che chiamano il mondo, la vita? Per anni
ho azionato i propulsori, i razzi
frenanti, ho controllato
i giroscopi, ho sorvegliato
gl’indici dei campi
di gravitazione, l’accendersi e spegnersi
delle luci nei cruscotti.
                                Per anni
ho valicato l’oceano senza riva,
la sfera illimitata, il tuttonulla,
il vacuo dove non c’è più
né sopra né sotto, né orienti
né occidenti, ma solo la vorticante,
la fiaccolante notte dell’abisso.
In ogni punto ero nel centro
e l’orizzonte in nessun luogo.
I flussi ho solcato
variocolori delle meteore, ho bordeggiato
gli astri in fusione, i soli spenti
alla deriva sull’orbita, ho sorpreso
l’esplodere delle novae, sul capo
(o sui piedi?) mi trascorrevano,
s’infittivano, si diradavano
le nebule, le galassie. Con la lieve
pressione del dito ho districato
la rotta esile tra le voragini
delle forze in tensione.

Che ho mai conosciuto
degli uomini, delle loro storie? Dicevano
che in un’ora del mio volo
sfiorivano, rinascevano
le ere, le civiltà. Non me ne sono mai accorto.
Ho avvistato talora
teneri pianeti venati
d’ombre, di mari, di nubi,
ma a tale distanza che poco più tardi
potevo pensare a un’illusione. Tornavano
a confondersi per entro il pullulare
enorme delle costellazioni mutevoli,
a dileguarsi nell’orrido avanzare
del numero, tra le colorite,
inerti, abbacinanti,
astratte geometrie del cosmo.
                                           Ho forse
mai conosciuto le domeniche lungo il fiume,
i luoghi ombrosi, le risa
sotto la pergola, i colpi
dei giocatori di bocce? E i ritorni a notte alta?
I miei approdi
seppero soltanto le bandiere,
i fari, le strisce, le rampe
degli astroporti. E all’uscita
dalla cabina di decompressione, m’attendeva
calma, eguale, fissata,
fuor dallo spazio-tempo,
la soglia della casa.

(da "Opere. Poesie, meditazioni e ricordi - Tomo Primo. Poesie e versioni poetiche", Adelphi, Milano 1983, pp. 86-87)


Pablo Carlos Budassi, "Artist's conception of the Big Bang"
(da questa pagina web)