Pochissime sono le notizie attendibili riguardanti la biografia di questo poeta. Di sicuro si sa che nacque a Messina nel 1886, e che vi morì nel 1963. A sua firma, risultano pubblicati due volumi poetici ed un breve saggio. I versi di Rino, rientrano decisamente nell’area simbolista; è quasi certo che fece parte di un piccolo cenacolo di poeti siciliani, uniti dalla passione per le due correnti letterarie più in voga in Europa all’inizio del Novecento: decadentismo e simbolismo; tra di essi si ricordano Tito Marrone, Federico De Maria, Angelo Toscano, Enrico Cardile (che scrisse la prefazione di un’opera poetica del messinese) e – faro del gruppo – Agostino John Sinadinò. Tra i pochissimi critici letterari che si occuparono della poesia di Rino, c’è Glauco Viazzi, il quale, nell’antologia Dal simbolismo al déco, lo considera navigato esponente della poesia simbolista italiana, con delle connotazioni che lo avvicinano al liberty.
Opere poetiche
“I sonetti Flammei”, Greco
e Sabella, Messina 1905.
“L'estuario delle Ombre”,
Trinchera, Messina 1907.
Presenze in antologie
"Poeti simbolisti e
liberty in Italia", a cura di Glauco Viazzi e Vanni Scheiwiller,
Scheiwiller, Milano 1967-1972 (vol. 1, pp. 155-156; vol. 3, pp. 205-214).
"Dal simbolismo al
déco", a cura di Glauco Viazzi, Einaudi, Torino 1981 (Tomo primo, pp.
179-182).
Testi
TREPIDA E BIANCA - IN UN LANGUOR MORTALE
Trepida e bianca - in un
languor mortale
abbandonata, il fiore del
sorriso
spento e lo sguardo nel mio
sguardo fiso -
mi chiede ancora un brivido
carnale.
Fu l'amplesso così pallido
e frale
come traspare dal suo
bianco viso?
O, non ancora sazia, Amor
deriso
ritiene la sua carne
liliale?
Io nel mio foco immenso
ritrovare
or voglio l'estro che
giacea sopito,
voglio la tenue cetra ritentare.
Ella già l'occhio vivo ha
illanguidito:
vuole ancora d'ebrezza
spasimare...
Oh l'eloquenza del suo muto
invito!
(da “I sonetti Flammei”,
Greco e Sabella, Messina 1905, p. V)
SPLEEN
Sei pallida e dolente,
Anima mia.
Piangi? Che vuoi, Sorella?
Le tue rose
sfiorirono - nol sai? La
triste Via
scorgon le tue pupille
lacrimose:
or muta un'Ombra solitaria
avanza
nel gran Mistero e ne la
lontananza
un'eco di singulti Io sento
già.
Ascoltami, Sorella. A te
ragiono
de la perduta mia speranza
frale:
più di ghirlande il sogno
non corono
(fresche ghirlande!) e il
tenero Ideale
giace caduto. Tra le palme
il bianco
viso nascondo e, in suo
languore stanco,
chiama lo Spirto un'ultima
Beltà.
Cerulo più non si distende
il mare
sotto la luce d'un ridente
cielo,
pure al lontano o vasto
balenare
volgo lo sguardo ed a
l'Ignoto anelo.
Sorella, Io bevvi con
aperta gola
a le fontane velenate e
sola
vidi cader la tua
verginità.
E a Me parlò la voce del
Dolore,
e intesi. Era il cader del
Giorno. A quando
a quando il cielo un vol
rigava. Le ore
tristi così chi intese
sospirando
scorrere nunzie di sventura
e lente?
Chi rimirò con le pupille
spente
vanire il Sogno ne
l'Oscurità?
Io solo vidi e ne la notte
illune
un brivido passar su la mia
carne
sentii, tremando. Dolorose,
in brune
Ombre, due braccia
biancheggiavan scarne
(di quale Morta?) o si
tendean con gesto
alto ed orrendo a Me tra
quel funesto
negrore pieno di fatalità.
Anima, a quali chiarità
sublimi
ancora tendi? Squallida la
terra
or si distende a te d'inanzi,
opimi
non son di rose più i
verzieri: serra
in sue catene un rio Destin
fatale
l'ultimo Sogno lucido e
spirtale
che diede al cor la pia
serenità.
(da "L'Estuario delle
Ombre", Trinchera, Messina 1907, pp. 75-76)
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