Nei versi di questi poeti, il peccato fa quasi sempre riferimento al sesso: un sesso proibito o severamente vietato, o, comunque, scandaloso, sia che vi siano coinvolti personaggi femminili coniugati, sia che i protagonisti siano dei religiosi (molto spesso frati), che cadono nelle tentazioni più svariate. Ma il peccato non sempre si consuma, almeno nella realtà dei fatti: per esempio, nella poesia Chiaro di luna di Giuseppe Lipparini, esso è soltanto frutto del pensiero; quando, invece, avviene realmente, spesso subentra un pentimento sincero del peccatore o della peccatrice, che si rivolge supplicando ad una divinità e, in caso di flagranza, subisce severe punizioni. Passando ai simboli, si può dire che uno di essi - rimanendo in un contesto prettamente maschile - è la donna completamente svestita: sia essa immaginaria, posticcia o reale; per quanto invece concerne le donne, sono le loro mani a divenire simbolo di peccato, che si espia o si dilegua grazie ad esercizi artistici (come, in una delle poesie di Giorgieri Contri, l’assiduo dedicarsi alla musica).
Poesie sull’argomento
Ugo Betti:
"Canzonetta del peccatore senza conforto" in "Canzonette - La
morte" (1932).
Giovanni Camerana:
"Vox magna" in "Poesie" (1968).
Edmondo Corradi:
"Il peccato" in "Ritmi" (1900).
Luigi Fallacara:
"Il minimo peccato" in "Illuminazioni" (1925).
Cosimo Giorgieri
Contri: "Primo peccato" in "Primavere del desiderio e
dell'oblio" (1903).
Cosimo Giorgieri Contri:
"La peccatrice" in «Nuova Antologia», aprile 1907.
Giuseppe Lipparini:
"La tentazione" e "Chiaro di luna" in "Le foglie
dell'alloro. Poesie (1898-1913)" (1916).
Gian Pietro Lucini:
"Sade" in «Poesia», giugno/luglio/agosto/settembre 1907.
Enzo Marcellusi:
"Quei che sanno, bambina, van
ripetendo alla gente" in "Il giardino dei supplizi" (1909).
Fausto Maria Martini:
"Dopo..." in "Poesie provinciali" (1910).
Ettore Moschino:
"La peccatrice" in "I Lauri" (1908).
Nino Oxilia: "O vizio, ecco t'invoco..." in
"Canti brevi" (1909).
Aldo Palazzeschi:
"La storia di Frate Puccio" in "Lanterna" (1907).
Domenico Tumiati: "Inganno" in "Musica antica per chitarra" (1897).
LA PECCATRICE
di Cosimo Giorgieri
Contri
Per la via dove non
suono di rote
s'ode, e i fanali
allungano lor bisce
gialle sovra
l'asfalto, il suon fluisce
com'acqua lenta da
fonti remote.
Chi sei che suoni?
Indugiano le note
or come un'acqua che
s'inaridisce:
e allor, chiuse le
stuoie, io tra le strisce
verdi vi penso, o
sonatrici ignote.
Mani di donna gravi
di un desìo
insaziato che
mieteste rose,
fuggitive com'una
onda di suoni:
mani già piene di
tentazioni,
ed or tentanti su le
dolorose
note alla giovinezza
un vostro addio.
(da «Nuova
Antologia», 16 aprile 1907)
LA STORIA DI FRATE
PUCCIO
di Aldo Palazzeschi
FRATE PUCCIO.
Col viso fiorito d'un
gaio sorriso,
con occhi ridenti,
il vecchio s'andava e
veniva leggero
pel grande convento
dei Bianchi.
Il piccolo frate con
braccio robusto
portava le brocche.
S'andava e veniva
ridente, giulivo,
talvolta sostava un
istante a la cella,
posando le brocche a
la soglia,
sostava un istante ed
usciva col gaio sorriso,
più lesto s'andava,
più snelle
le braccia reggevan
le brocche.
LA STORIA.
Compunti i fratelli
incontrandolo,
guardavan con occhio
di dubbio
spiccare in quel
luogo un sì fresco sorriso,
qual fiore scarlatto
nel mazzo bianchissimo;
guardavan da tempo la
sosta a la cella.
Là dentro era il
pozzo del dolce sorriso,
non quello nel mezzo
al cortile del chiostro.
Da tanto fiorito sul
labro del frate,
s'andava ogni giorno
facendo più fresco e
più vivo:
soverchio sorriso.
Le brocche posavano
un giorno a la soglia,
la porta lasciava uno
spiro di luce:
fu visto, con occhio
d'orrore,
che il frate vi aveva
nascosto un peccato!
Quel fresco sorriso
girava impudente
per gli anditi sacri
vestendo un peccato!
La cella fu aperta,
frugata, vuotata.
Nascosto fra i libri,
fra i libri dei Salmi,
fu visto un fantoccio
coperto di logori stracci,
di stracci dai vivi
colori,
figura profana di
femmina!
Soltanto una bocca
che aveva baciato il peccato
poteva sorrider là
dentro!
Coperte le immagini
sacre di tele violette,
l'oggetto profano fu
tolto e portato al giudizio
dal frate Maggiore,
dal Padre.
«Sia aperto il
convento,
«si lasci passare
ogni gente,
«si chiamin lontani
fratelli!
«Nel mezzo al cortile
del chiostro
«sia fatto un gran
fuoco,
«il frate peccante
«vi posi l'oggetto
del grande peccato,
«rimanga tre giorni
«nel mezzo al cortile
prostrato!»
A l'alba del giorno
fissato,
in file infinite
lasciarono i propri conventi
fratelli e sorelle
lontani:
saliron silenti quel
colle le file.
Nazarene bianche,
Nazarene nere,
i Valpassiti, le
Rocchettine, i Nazareni,
i Domiziani, le
Valeriane, le Suore Vesse.
Lontani romiti
salirono,
e gente di popolo
anche:
infine beghine.
Schierati d' intorno
al cortile del chiostro,
attesero in basso
pregare i fratelli,
pregare sommesso,
spirare leggero d'un
soffio di pace.
All'ora fissata,
in fila, per coppie,
entraron con testa
chinata
i Bianchi del grande
convento
diretti a la grande
fascina
nel mezzo al cortile
ammassata.
Con testa reclina a
la terra,
con occhi socchiusi e
languenti,
in ultimo Puccio
indietro di un passo.
Il vecchio avanzava
con muovere affranto;
le braccia incrociate
sul petto
stringevan l'oggetto
del grande peccato,
gli stracci scarlatti
spiccavan nel manto
bianchissimo
siccome una macchia
di sangue,
siccome una grande
ferita
dischiusa nel petto
del frate.
Le file dei Bianchi
s'aprirono,
ognuno nel grande
cortile d'intorno
prostrato, in
ginocchio, pregando sommesso.
Il fuoco fu acceso.
Chinaronsi i Bianchi
in due file
formando un viale di
marmi.
Sol l'ultimo, Puccio,
in piedi rimase.
Cricchiaron le grosse
fascine
nel fondo del bianco
viale,
le fiamme s'alzarono
presto.
Cadente, tremante,
ricurvo,
il piccolo frate si
mosse.
Fra i Bianchi
prostrati a la terra,
giungendo sfinito a
la fiamma,
con mano stecchita,
la bambola pose nel
mezzo a l'ardente fascina;
un ultimo sguardo le
diede con occhio sbarrato,
e cadde, siccome
fardello di cenci,
nel mezzo al cortile,
vicino a la fiamma prostrato.
S'alzarono in piedi i
fratelli,
rimasero infine che
il fuoco fu spento.
In file infinite
silènti,
con testa reclina a
la terra
tornarono ai propri
conventi.
FRATE PUCCIO.
Con viso emaciato, la
bocca serrata,
con occhio languente,
pel grande convento
dei Bianchi
il vecchio si mena
stentando.
Il piccolo frate
ricurvo
con braccio stecchito
trascina le brocche.
Nemmeno un istante si
sosta,
con muovere stanco,
sfinito,
trascina le brocche
pesanti.
(da
"Lanterna", Stab. Tip. Aldino, Firenze 1907)
John Collier, "The Sinner"
(da questa pagina web)
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