domenica 26 marzo 2023

Il peccato nella poesia italiana decadente e simbolista

 

Nei versi di questi poeti, il peccato fa quasi sempre riferimento al sesso: un sesso proibito o severamente vietato, o, comunque, scandaloso, sia che vi siano coinvolti personaggi femminili coniugati, sia che i protagonisti siano dei religiosi (molto spesso frati), che cadono nelle tentazioni più svariate. Ma il peccato non sempre si consuma, almeno nella realtà dei fatti: per esempio, nella poesia Chiaro di luna di Giuseppe Lipparini, esso è soltanto frutto del pensiero; quando, invece, avviene realmente, spesso subentra un pentimento sincero del peccatore o della peccatrice, che si rivolge supplicando ad una divinità e, in caso di flagranza, subisce severe punizioni. Passando ai simboli, si può dire che uno di essi - rimanendo in un contesto prettamente maschile - è la donna completamente svestita: sia essa immaginaria, posticcia o reale; per quanto invece concerne le donne, sono le loro mani a divenire simbolo di peccato, che si espia o si dilegua grazie ad esercizi artistici (come, in una delle poesie di Giorgieri Contri, l’assiduo dedicarsi alla musica).  

 

 

 

 

Poesie sull’argomento

 

Ugo Betti: "Canzonetta del peccatore senza conforto" in "Canzonette - La morte" (1932).

Giovanni Camerana: "Vox magna" in "Poesie" (1968).

Edmondo Corradi: "Il peccato" in "Ritmi" (1900).

Luigi Fallacara: "Il minimo peccato" in "Illuminazioni" (1925).

Cosimo Giorgieri Contri: "Primo peccato" in "Primavere del desiderio e dell'oblio" (1903).

Cosimo Giorgieri Contri: "La peccatrice" in «Nuova Antologia», aprile 1907.

Giuseppe Lipparini: "La tentazione" e "Chiaro di luna" in "Le foglie dell'alloro. Poesie (1898-1913)" (1916).

Gian Pietro Lucini: "Sade" in «Poesia», giugno/luglio/agosto/settembre 1907.

Enzo Marcellusi: "Quei che sanno, bambina, van ripetendo alla gente" in "Il giardino dei supplizi" (1909).

Fausto Maria Martini: "Dopo..." in "Poesie provinciali" (1910).

Ettore Moschino: "La peccatrice" in "I Lauri" (1908).

Nino Oxilia: "O vizio, ecco t'invoco..." in "Canti brevi" (1909).

Aldo Palazzeschi: "La storia di Frate Puccio" in "Lanterna" (1907).

Domenico Tumiati: "Inganno" in "Musica antica per chitarra" (1897).

 

 

 

 Testi



LA PECCATRICE

di Cosimo Giorgieri Contri

 

Per la via dove non suono di rote

s'ode, e i fanali allungano lor bisce

gialle sovra l'asfalto, il suon fluisce

com'acqua lenta da fonti remote.

 

Chi sei che suoni? Indugiano le note

or come un'acqua che s'inaridisce:

e allor, chiuse le stuoie, io tra le strisce

verdi vi penso, o sonatrici ignote.

 

Mani di donna gravi di un desìo

insaziato che mieteste rose,

fuggitive com'una onda di suoni:

 

mani già piene di tentazioni,

ed or tentanti su le dolorose

note alla giovinezza un vostro addio.

 

(da «Nuova Antologia», 16 aprile 1907)

 

 

 

 

LA STORIA DI FRATE PUCCIO

di Aldo Palazzeschi

 

FRATE PUCCIO.

 

Col viso fiorito d'un gaio sorriso,

con occhi ridenti,

il vecchio s'andava e veniva leggero

pel grande convento dei Bianchi.

Il piccolo frate con braccio robusto

portava le brocche.

S'andava e veniva ridente, giulivo,

talvolta sostava un istante a la cella,

posando le brocche a la soglia,

sostava un istante ed usciva col gaio sorriso,

più lesto s'andava, più snelle

le braccia reggevan le brocche.

 

 

 

LA STORIA.

 

Compunti i fratelli incontrandolo,

guardavan con occhio di dubbio

spiccare in quel luogo un sì fresco sorriso,

qual fiore scarlatto nel mazzo bianchissimo;

guardavan da tempo la sosta a la cella.

Là dentro era il pozzo del dolce sorriso,

non quello nel mezzo al cortile del chiostro.

Da tanto fiorito sul labro del frate,

s'andava ogni giorno

facendo più fresco e più vivo:

soverchio sorriso.

Le brocche posavano un giorno a la soglia,

la porta lasciava uno spiro di luce:

fu visto, con occhio d'orrore,

che il frate vi aveva nascosto un peccato!

Quel fresco sorriso girava impudente

per gli anditi sacri

vestendo un peccato!

La cella fu aperta, frugata, vuotata.

Nascosto fra i libri, fra i libri dei Salmi,

fu visto un fantoccio coperto di logori stracci,

di stracci dai vivi colori,

figura profana di femmina!

Soltanto una bocca che aveva baciato il peccato

poteva sorrider là dentro!

Coperte le immagini sacre di tele violette,

l'oggetto profano fu tolto e portato al giudizio

dal frate Maggiore, dal Padre.

«Sia aperto il convento,

«si lasci passare ogni gente,

«si chiamin lontani fratelli!

«Nel mezzo al cortile del chiostro

«sia fatto un gran fuoco,

«il frate peccante

«vi posi l'oggetto del grande peccato,

«rimanga tre giorni

«nel mezzo al cortile prostrato!»

A l'alba del giorno fissato,

in file infinite lasciarono i propri conventi

fratelli e sorelle lontani:

saliron silenti quel colle le file.

Nazarene bianche, Nazarene nere,

i Valpassiti, le Rocchettine, i Nazareni,

i Domiziani, le Valeriane, le Suore Vesse.

Lontani romiti salirono,

e gente di popolo anche:

infine beghine.

Schierati d' intorno al cortile del chiostro,

attesero in basso pregare i fratelli,

pregare sommesso,

spirare leggero d'un soffio di pace.

All'ora fissata,

in fila, per coppie,

entraron con testa chinata

i Bianchi del grande convento

diretti a la grande fascina

nel mezzo al cortile ammassata.

Con testa reclina a la terra,

con occhi socchiusi e languenti,

in ultimo Puccio indietro di un passo.

Il vecchio avanzava con muovere affranto;

le braccia incrociate sul petto

stringevan l'oggetto del grande peccato,

gli stracci scarlatti

spiccavan nel manto bianchissimo

siccome una macchia di sangue,

siccome una grande ferita

dischiusa nel petto del frate.

Le file dei Bianchi s'aprirono,

ognuno nel grande cortile d'intorno

prostrato, in ginocchio, pregando sommesso.

Il fuoco fu acceso.

Chinaronsi i Bianchi in due file

formando un viale di marmi.

Sol l'ultimo, Puccio, in piedi rimase.

Cricchiaron le grosse fascine

nel fondo del bianco viale,

le fiamme s'alzarono presto.

Cadente, tremante, ricurvo,

il piccolo frate si mosse.

Fra i Bianchi prostrati a la terra,

giungendo sfinito a la fiamma,

con mano stecchita,

la bambola pose nel mezzo a l'ardente fascina;

un ultimo sguardo le diede con occhio sbarrato,

e cadde, siccome fardello di cenci,

nel mezzo al cortile, vicino a la fiamma prostrato.

S'alzarono in piedi i fratelli,

rimasero infine che il fuoco fu spento.

In file infinite silènti,

con testa reclina a la terra

tornarono ai propri conventi.

 

 

 

FRATE PUCCIO.

 

Con viso emaciato, la bocca serrata,

con occhio languente,

pel grande convento dei Bianchi

il vecchio si mena stentando.

Il piccolo frate ricurvo

con braccio stecchito trascina le brocche.

Nemmeno un istante si sosta,

con muovere stanco, sfinito,

trascina le brocche pesanti.

 

(da "Lanterna", Stab. Tip. Aldino, Firenze 1907)

 


John Collier, "The Sinner"
(da questa pagina web)


 

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