Avevo già pubblicato 10
poesie in cui erano protagonisti i poveri; qui, invece, si parla più in
generale di povertà, ovvero di uno stato sociale di completa indigenza; è una
delle situazioni spiacevolissime in cui gli esseri umani possono facilmente trovarsi.
C’è chi nasce povero e chi lo diviene per una serie di eventi sfavorevoli; ci
sono, anche, coloro che decidono di vivere in completa povertà (scelta
coraggiosa, forse difficilmente comprensibile ai più, ma rispettabilissima).
C’è, infine, chi teme la povertà, perché già l’ha provata, o semplicemente
perché comprende a pieno il suo significato. Ma, per fortuna, ci sono tanti
esseri umani che hanno superato dei periodi più o meno lunghi di totale
povertà, riuscendo addirittura a garantire uno stato di benessere duraturo ai
propri figli. Troppo spesso la povertà coinvolge intere nazioni, per motivi economici, oppure per una precisa responsabilità di chi le governa. Abbattere totalmente la povertà in ogni luogo della terra è
un’utopia, ma sforzarsi per eliminarne una buona parte dovrebbe essere
considerato un dovere per tutti i cittadini del pianeta.
UN CANTO PER LA POVERA GENTE
di Alfredo Bondi (?-?)
Vorrei fare un canto
- un canto per la povera
gente -
un canto di poche parole,
di parole da niente
ma che vadano dritte
al cuore
un canto che sapesse
di crudo sasso
di pane e di cipolla
del piccone e della vanga
un canto che dicesse
il pianto dell'umile gente
- un pianto forte
senza lagrime -
un canto che suonasse
come un vecchio e triste
valzer
da organetto ambulante,
un suono senza note
un canto senza parole
un canto fatto di niente
per la povera gente
un canto triste
un canto grande!
(da "I canti d'un
bimbo malato", C.L.E.T., Napoli 1939, p. 67)
LA POVERTÀ È UN MIRACOLO
di Roberto Carifi (1948)
La povertà è un miracolo
di queste sciarpe nere,
la malattia che si arrende
quando la ringraziamo in
rue St. Honoré
e si comincia a esistere
proprio adesso
con la rovina dichiarata a
bassa voce
mentre codesta lingua non è
più straniera
e morte, nel mio tedesco, è
una preghiera.
(da “Occidente”, Crocetti,
Milano 1990, p. 39)
POVERTÀ
di Tullio da Consalvatico
(pseud. di Tullio Pascucci, 1901-1980)
Un giorno ch'ero tanto
solo, mi dissi:
Sono povero!
e mi venne
da piangere.
Oh Signore, finché date
lacrime alle vostre
creature, potranno esse
dirsi povere?
(da «Quaderni di Poesia», 25
gennaio 1931)
POVERTÀ COME LA SERA
di Alfonso Gatto
(1909-1976)
Torna povera d'amore
nel ricordo l'erba e a sera
reca solo quest'odore
della morta primavera,
questi prati freschi al
velo
della corsa che negli occhi
dei bambini è quasi il
cielo,
questo sogno che non tocchi
liberandolo in segreto
come l'aria dei tuoi colli.
Resti limpida se lieto
di tristezza e d'aria volli
povertà come la sera
per spogliarti sino al
volto,
sino agli occhi in cui
dispera
questa luce, se t'ascolto
vana ai limiti del cielo
nel clamore aperta e rosa
come nube che al suo gelo
torna vaga e si riposa.
Resti povera d'oblio
lungo il prato che al suo
muro
di celeste imbianca, addio,
nel lasciarti anche il
futuro
smemorata voce annotta.
(da "Poesie",
Jaca Book, Milano 1997, pp. 33-34)
POVERTÀ
di Corrado Govoni
(1884-1965)
Quando non avrò più niente
allora sarò povero povero,
più della chiocciola
che gira con il suo
castello
come arrotino,
più del rospo che prende il
sole
come un lebbroso senza fame
sul marciapiede, contro il
muro.
Ma che cosa ha la lucciola
cerinaia?
E non è povero
anche l'usignuolo emigrante?
Penso che cosa farò,
che ci son tante cose
che possono far quelli
che non sanno far nulla
che non hanno più nulla.
Se facessi il lustrascarpe?
Potrei anche tenere
una cassetta di candele....
Se imparassi a suonare
l'organino?
Se facessi il pastore?
Deve esser bello mungere le
pecore
portare in collo
i belanti agnellini
piantar lo stazzo nel
chiaror di luna.
Andrei col gregge per le
vie maestre,
mi lascierei crescere la
barba,
porterei il lunghissimo
mantello
di pesante bigello,
farei la calza in mezzo ai
prati,
andrei a vender la ricotta
ed il formaggio,
avrei un cane
che mi vorrebbe bene.
Non potrei fare lo spazzino?
Andare
di paese in paese
con la mia mercanzia ;
specchi tascabili,
pettini, spilli, nastri,
fazzoletti, saponette,
poveri oggetti di
chincaglieria ;
contrattare con le ragazze
bramose intorno al sacco
aperto,
tirare il soldo,
fare qualche regalo
ai clienti fedeli.
E gettar la mia voce triste
per la campagna : — Lo
spazzino! spazzino!...
Esser fratello dell'
arrotino
dello spazzacamino del
magnano
dello zingaro del bottaio....
Dormir la notte in un
fienile
mangiare sopra un
paraccarro
riposare dietro una siepe
in fiore....
E salutare con la mano i
mendicanti,
come dei vecchi amici,
che vanno sotto le finestre
delle case
a fare i loro auguri.
Potrei fare lo strillone
in qualche gran città,
gridare le notizie di
disgrazie
alle signore, ch'escon dal
teatro
con brividi di gemme,
correre anch'io
dietro una lucida carrozza
agitando il foglio bianco
come un fazzoletto per
l'addio.
E se facessi i burattini
per i bambini?
Qualche cosa farò
venderò qualche cosa anch'
io.
Quando non avrò più niente
allora sarò povero
povero...
(da “Poesie scelte”,
Taddei, Ferrara 1920, pp. 243-245)
ODE ALLA POVERTÀ
di Fausto Maria Martini (1886-1931)
Un tempo, pel mio vivere
giocondo,
io chiesi, o povertà, più
d'un tesoro:
tanto d'argento io chiesi,
e tanto d'oro,
quanto ne manca ai poveri
del mondo!
Fui solo, un tempo: oggi
l'industre amica
empie di luce la mia stanza
oscura:
io scrivo, ella lavora e
canta, e dura
da mane a sera l'abile
fatica.
Canta: «Spirto gentil!» e
qualche volta
anche sorprendo in mezzo ai
versi miei,
il suo: «Brillasti un dì,
ma ti perdei...»
ché, s'io pur finga, la mia
mente ascolta.
Ogni giorno così m'è caro,
in grazia
di tua santa presenza, o
povertà:
onde t'invoco: per nostra
umiltà,
di poca gioia l'anima si
sazia.
tu concedi a noi, – poiché
lontane
son l'aspre voglie, e il
cuore t'è fedele,
poiché l'amante mi prepara
il miele,
e con sue mani forma e
appresta il pane,
poiché ella è dolce come
una colomba,
e alla serenità pura
m'invita. –
che tanta terra basti per
la vita,
quanta ne basta per la
nostra tomba!
(da "Poesie
provinciali", Ricciardi, Napoli 1910, pp. 59-60)
TROVARSI IN UNA CITTÀ
SCONOSCIUTA…
di Pietro Mignosi
(1895-1937)
Trovarsi in una città
sconosciuta, di sera,
il vestito frusto, la barba
incolta e il cuore laggiù
che per andarci il treno
corre affannato tre giorni...
Ma non c'è niente di nostro
in questa città maledetta?!
Tutti stranieri al mio
cuore, tutti felici questi uomini...
Neppure un pezzente cui
dare un soldo e un sorriso
e averne in cambio una
parola amorosa!
Ma nel suburbio ho
incontrato - le Chiese a quest'ora son chiuse -
una chiesetta nerastra con
un sol occhio di luce.
Entro. Tutti i poveri di
Roma si son qui dati convegno:
mi riconoscono, o Dio!
m'han tutti sorriso quei poveri!
Ma senza rivolgere il capo.
Assorti. Ché m'aspettavano...
(da "Dialettica",
Priulla, Palermo 1924, p. 35)
POVERTÀ
di Mariano Rugo (1895-1977)
Ogni essere vivente
prende il suo poco bene
(ciò che dall’indigente
vita ci spetta e viene),
prende in fretta un
minuzzolo
dove lo trova: come
questi poveri passeri,
nel fango senza nome.
(da «Quadrivio», 23 gennaio
1943)
POVERTÀ
di Lisa Salvadori (?-?)
Non sono io signora e
castellana
Che piega I servi a sua potenza
fiera,
Io son colei che volle una
sua vana
Idea seguire, io sono qui
straniera.
Vengo da reggia povera e
lontana
E reco l’orma della mia
severa
Vita raminga, folle
castellana
Anch’io son forse di mia
reggia altera.
Che val se non di gemme è
rivestita
La mia fragrante
giovinezza? Assorte
Vegliano le pupille della
vita.
Attendi in tua serena
povertà
Dicono le pupille; ombra di
morte
Te non oltraggia con la sua
viltà.
Morte te non disfiora, te
che tenti
Piegar la Gloria, te che
sai l’inquieto
Agitarsi del mondo, e non
paventi
Ira né oltraggio e nulla
speri, nulla
Avvolta come in magico
segreto
Col tuo volto di sfinge e
di fanciulla.
Morte per te non batte
oscura l’ora
Ma quando l’ali inalzerà la
Gloria
Sul tuo gran sogno e
griderai, signora
Di splendido castello, ai
cieli, al mondo
Il magico stupor di tua
vittoria,
L’ombra verrà dal suo regno
profondo.
(da «Ars Italica», 25 marzo
1925)
LUME DI POVERTÀ
di David Maria Turoldo (1916-1992)
Signore, non ti chiedo di
avere
quello che gli altri hanno;
essi non sanno
il caldo
lume di questa povertà.
Nulla è il loro possesso
di fronte alla nostra
pena d'essere spogli.
(da "O sensi miei...
Poesie 1948-1988", Rizzoli, Milano 2002, p. 36)
Thomas B. Kennington, "The pinch of poverty"
(da questa pagina web)
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