domenica 19 febbraio 2023

Poeti dimenticati: Mario Maria Martini

 

Nacque a Genova nel 1880 e ivi morì nel 1953. Prosatore, drammaturgo e traduttore, come poeta esordì con una raccolta incentrata sulle vicende della Grande Guerra, alla quale partecipò. Convinto dannunziano, fu tra i protagonisti dell'impresa di Fiume. Fondò e diresse varie riviste, tra le quali Caffaro e Le Opere e i Giorni. I suoi versi risentono di influssi parnassiani e decadenti; in particolare, si nota una vicinanza - per temi ed atmosfere - alla poesia dei crepuscolari.

 

 

 

 

 

Opere Poetiche

 

"Fiamme", Sonzogno, Milano 1918.

"Immagini allo specchio", Alpes, Milano 1926.

"Il cuore del tempo", Libreria Bozzi, Genova 1935.

 

 


 

 

 

Testi

 

 

 

DOLORE

 

Dolore, io ben conosco il tuo segno,

poiché quello che in prima era tormento

or s'è cangiato in un rodere lento,

ch'è morso e lacerìo senza ritegno.

 

Schiavo perduto sono in cieco regno,

straccio logoro in preda ad acqua e a vento,

senza speranza più né pentimento

nelle tue mani abbandonato in pegno.

 

Or dimmi tu se in questa atroce guerra

vuoi perdurarmi per la mia tortura

in fin ch'io spenga l'ultima parola;

 

o vuoi che in grembo alla materna terra

m'affretti volontaria ostia immatura

che nel disfacimento si consola.

 

(da «Le Opere e i Giorni», febbraio 1927)

 

 

 

 

FÒLE

 

Fòle, fòle d'ogni colore

come i fiori del campo,

innumerevoli come le stelle

e, talune, anche più belle,

 

intorno al vecchio mio cuore,

stanco senza più scampo,

il vostro laccio tessete

e, poco a poco, stringete.

 

Null'altro che fòle cercai

nella vita errabonda:

ho vissuto di fòle

come si vive di sole.

 

Vaghe fòle che amai,

che tornate come l'onda

al mio cuor di macigno,

ma per voi dischiuso scrigno,

 

verità siete voi certa

più chiara di ogni saggezza:

Dio, musica, pena

ond'è colma ogni vena;

 

sul cupo mistero aperta

finestra; superstite ebbrezza

dagli obliati Miti,

nei deserti infiniti

 

della realtà scomparsi;

pòlline rinascente,

che da ignote contrade

rifiorisce per tutte le strade;

 

fòle onde fiero riarsi

nella storia di mia gente,

donde sgorgò la canzone,

che la mia vita compone,

 

or che il Tempo mi conduce

colà dove la mia sfinge

deporrà dall'ambiguo viso

l'enigma del suo sorriso,

 

sia in me la vostra luce,

che dall'eterno attinge

immortale splendore

sovra l'umano errore.

 

(da "Il cuore del tempo", Libreria Bozzi, Genova 1935, pp. 72-74)

 

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