sabato 24 dicembre 2022

Notte di Natale

 

Sempre più disperata dentro l'anima,

sempre più sola questa lunga notte,

di memoria in memoria a dirti amore.

Fu per le strade della dolce estate

che non ritorna, ora è città l'inverno,

e straniero a nascondermi nel buio

della mia stanza, gli occhi grandi in volto,

vedo la pioggia che vacilla ai lumi

del vento, l'oro delle porte accese.

Per lo stupore d'essere, la mano

si distingue sul vetro nella mite

chiarezza effusa, ed è destarti all'alba

delle parole chiedere se esisti,

se vivere di te forse è morire.

 

Le verande nel mare rifiorite

d'un soffio nella cenere, la calma

dell'ascoltare le parole buone,

comuni, che non sembrano mai dette

e sono qui tra noi, in questa notte

dove ogni voce che mi parla è tua.

 

Di memoria in memoria a dirti amore,

di silenzio in silenzio a dire pioggia

la tristezza del mondo, la paura.

 

 


 

COMMENTO

 

Notte di Natale è il titolo di una poesia di Alfonso Gatto (Salerno 1909 - Orbetello 1976), presente nella raccolta intitolata Poesie d’amore, pubblicata per la prima volta dalla Mondadori di Milano nel 1973. Io l’ho trascritta dalle pagine 86 e 87 della 4° edizione della stessa, pubblicata sempre da Mondadori nell’ottobre del 1976. Più precisamente, Notte di Natale è la 6° poesia della SECONDA PARTE di Poesie d’amore, e fa parte dei versi scritti dal poeta campano tra il 1960 ed il 1971. Sempre in questo volume, alla pagina 175, c’è una nota che si riferisce proprio a Notte di Natale, e che riporto di seguito.

 

«L’oro delle porte accese» (nel testo) è la luce meridionale delle porte natalizie dei «bassi» intendo. Le notti natalizie sono a volte teneramente dolci, anche se piovose. Debbo avvertire che il verso «comuni che non sembrano mai dette», riferito alle parole, è un mio antico verso della poesia «Il Dio povero» (Osteria flegrea). Nello scrivere questa poesia, sapevo di usare, volevo usare, questo verso antico (per me segnaletico d’ogni povera identità, della mia, soprattutto). Rispetto al testo della prima stesura, apparsa su «L’Approdo Letterario», numero 53 (1971), questo nuovo testo ha perduto, perché eliminati, quattro versi tra la prima e la seconda strofa attuali.

 

Qui Gatto, nello stile ermetico che lo ha sempre caratterizzato, parla delle sensazioni da lui provate durante la notte di un recente Natale. La disperazione e la solitudine che nei primi versi emergono in modo lampante, stanno ad indicare la sofferenza che prova il poeta, mentre affacciato alla finestra osserva la pioggia cittadina cadere; non lo consola l’atmosfera natalizia, né nessun altra cosa: potrebbe farlo soltanto avere la possibilità di parlare con la sua compagna (che sta dormendo); per questo il poeta pensa a quando giungerà l’alba, e quindi potrà, con delicatezza, svegliare il suo amore; una delle prime domande che gli farà, si riferirà alla sua concreta presenza ed esistenza, ovvero alla certezza di un amore al quale egli si aggrappa strenuamente, essendo tutto ciò che gli rimane. Il verso 14, forse, vuole porre in risalto l’estrema importanza dell’amore provato dal poeta per la sua donna; esso è così imponente, da far sì che l’uomo viva soltanto per questo intenso sentimento, finendo per ignorare qualsiasi altra sensazione vitale. Nei versi successivi il poeta, oltre a descrivere qualche aspetto del paesaggio circostante, rimarca la presenza concreta della donna amata, della sua voce che lo rincuora e che a lui sembra l’unica presente in quel luogo. Gli ultimi versi, ritornano su alcuni concetti già espressi all’inizio della poesia: la memoria, il silenzio, la pioggia, la tristezza e, infine, la paura, che è poi quella di rimanere solo, senza neppure la presenza della donna amata, il che vorrebbe significare, per il poeta, raggiungere il picco della disperazione. Ma si tratta solamente di pensieri, poiché la donna, mentre egli si affligge, è ancora lì con lui.

 

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