Sempre più
disperata dentro l'anima,
sempre più sola
questa lunga notte,
di memoria in
memoria a dirti amore.
Fu per le strade
della dolce estate
che non ritorna,
ora è città l'inverno,
e straniero a
nascondermi nel buio
della mia stanza,
gli occhi grandi in volto,
vedo la pioggia
che vacilla ai lumi
del vento, l'oro
delle porte accese.
Per lo stupore
d'essere, la mano
si distingue sul
vetro nella mite
chiarezza effusa,
ed è destarti all'alba
delle parole
chiedere se esisti,
se vivere di te
forse è morire.
Le verande nel
mare rifiorite
d'un soffio nella
cenere, la calma
dell'ascoltare le
parole buone,
comuni, che non
sembrano mai dette
e sono qui tra
noi, in questa notte
dove ogni voce
che mi parla è tua.
Di memoria in
memoria a dirti amore,
di silenzio in
silenzio a dire pioggia
la tristezza del
mondo, la paura.
COMMENTO
Notte di Natale è il titolo di una poesia di Alfonso Gatto (Salerno 1909 - Orbetello 1976), presente nella raccolta intitolata Poesie
d’amore, pubblicata per la prima volta dalla Mondadori di Milano nel 1973.
Io l’ho trascritta dalle pagine 86 e 87 della 4° edizione della stessa,
pubblicata sempre da Mondadori nell’ottobre del 1976. Più precisamente, Notte di Natale è la 6° poesia della
SECONDA PARTE di Poesie d’amore, e fa
parte dei versi scritti dal poeta campano tra il 1960 ed il 1971. Sempre in
questo volume, alla pagina 175, c’è una nota
che si riferisce proprio a Notte di
Natale, e che riporto di seguito.
«L’oro delle porte accese» (nel testo) è la luce meridionale delle
porte natalizie dei «bassi» intendo. Le notti natalizie sono a volte
teneramente dolci, anche se piovose. Debbo avvertire che il verso «comuni che non sembrano mai dette»,
riferito alle parole, è un mio antico verso della poesia «Il Dio povero» (Osteria flegrea). Nello scrivere questa
poesia, sapevo di usare, volevo usare, questo verso antico (per me segnaletico
d’ogni povera identità, della mia, soprattutto). Rispetto al testo della prima
stesura, apparsa su «L’Approdo Letterario», numero 53 (1971), questo nuovo
testo ha perduto, perché eliminati, quattro versi tra la prima e la seconda
strofa attuali.
Qui Gatto, nello
stile ermetico che lo ha sempre caratterizzato, parla delle sensazioni da lui
provate durante la notte di un recente Natale. La disperazione e la solitudine
che nei primi versi emergono in modo lampante, stanno ad indicare la sofferenza
che prova il poeta, mentre affacciato alla finestra osserva la pioggia
cittadina cadere; non lo consola l’atmosfera natalizia, né nessun altra cosa:
potrebbe farlo soltanto avere la possibilità di parlare con la sua compagna
(che sta dormendo); per questo il poeta pensa a quando giungerà l’alba, e
quindi potrà, con delicatezza, svegliare il suo amore; una delle prime domande
che gli farà, si riferirà alla sua concreta presenza ed esistenza, ovvero alla
certezza di un amore al quale egli si aggrappa strenuamente, essendo tutto ciò
che gli rimane. Il verso 14, forse, vuole porre in risalto l’estrema importanza
dell’amore provato dal poeta per la sua donna; esso è così imponente, da far sì
che l’uomo viva soltanto per questo intenso sentimento, finendo per ignorare
qualsiasi altra sensazione vitale. Nei versi successivi il poeta, oltre a
descrivere qualche aspetto del paesaggio circostante, rimarca la presenza
concreta della donna amata, della sua voce che lo rincuora e che a lui sembra
l’unica presente in quel luogo. Gli ultimi versi, ritornano su alcuni concetti
già espressi all’inizio della poesia: la memoria, il silenzio, la pioggia, la tristezza
e, infine, la paura, che è poi quella di rimanere solo, senza neppure la
presenza della donna amata, il che vorrebbe significare, per il poeta,
raggiungere il picco della disperazione. Ma si tratta solamente di pensieri,
poiché la donna, mentre egli si affligge, è ancora lì con lui.
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