domenica 4 dicembre 2022

La poesia di Carlo Betocchi

 

Carlo Betocchi (Torino 1899 – Firenze 1986) pubblicò la sua prima raccolta di versi in ritardo, rispetto a tanti altri poeti della sua generazione (aveva trentatre anni), ma da lì in poi, iniziò un percorso artistico del tutto personale, particolarmente intrigante e imparagonabile agli altri suoi contemporanei. Torinese soltanto di nascita, Betocchi ha vissuto per lo più a Firenze, pur costretto a spostarsi, per motivi di lavoro, in varie città italiane del centro-nord. Fondò e diresse, insieme a Pietro Bargellini, la rivista letteraria Il Frontespizio, che divenne, dall’anno della sua nascita a quello in cui fu pubblicato l’ultimo numero (1931-1940), punto di riferimento fondamentale per i migliori scrittori italiani cattolici. Già dal titolo della prima raccolta poetica: Relatà vince il sogno, è possible evincere la precisa scelta artistica di Betocchi, che predilesse sempre la verità a qualsiasi tipo di astrazione; che, pur pagando il dazio di essere definito “ingenuo”, portò avanti, senza minimi tentennamenti, una poesia ricca di – come ben disse il cririco Vincenzo Mengaldo – “una semplicità popolareggiante”. Io ho sempre ritenuto che la prima raccolta di Betocchi sia anche la migliore, ma a detta dei critici, il poeta torinese toccò il suo apice in L’estate di San Martino, pubblicata quando il poeta aveva già compiuto sessant’anni. In queste pagine, per la prima volta compaiono dei frammenti brevi, a guisa di diario in versi, che molto ricordano quelli ungarettiani leggibili nel volume intitolato Il taccuino del vecchio. Da quel momento in poi, tali frammenti divennero sempre più frequenti nella produzione poetica di Betocchi, e nell’ultima parte - che coincide con gli anni di estrema vecchiaia del poeta - si fanno più drammatici, a causa delle dolorose vicende esistenziali che lo coinvolsero, facendo vacillare in lui una fede cristiana che, invece, si era dimostrata molto salda fin dalle prime poesie. Chiudo riportando un elenco delle opere poetiche di Betocchi, seguito da quattro liriche trascritte dal volume Tutte le poesie, che fu anche uno dei primi libri da me acquistati, nei primi anni dell’ultimo decennio del Novecento, all’interno di una libreria romana di via Nazionale, che spesso in quegli anni visitavo.    

 

 

 

Opere poetiche

 

“Realtà vince il sogno”, Ed. del «Frontespizio», Firenze 1932.

“Altre poesie”, Vallecchi, Firenze 1939.

“Notizie di prosa e di poesia”, Vallecchi, Firenze 1947.

“Un ponte sulla pianura”, Scwarz, Milano 1953.

“Poesie (1930-1954)”, Vallecchi, Firenze 1955.

“L’estate di San Martino”, Mondadori, Milano 1961.

“Un passo, un altro passo”, Mondadori, Milano 1967.

“Prime e ultimissime”, Mondadori, Milano 1974.

“Poesie del sabato”, Mondadori, Milano 1980.

“Tutte le poesie”, Mondadori, Milano 1984.

 



 

 Testi

 

DELL'OMBRA

 

Un giorno di primavera

vidi l'ombra di un'albatrella

addormentata sulla brughiera

come una timida agnella.

 

Era lontano il suo cuore

e stava sospeso nel cielo;

nel mezzo del raggiante sole

bruno, dentro un bruno velo.

 

Ella si godeva il vento;

solitaria si rimuoveva

per far quell'albero contento:

di fiammelle, qua e là, ardeva.

 

Non aveva fretta o pena;

altro che di sentir mattino,

poi il suo meriggio, poi la sera

con il suo fioco cammino.

 

Fra tante ombre che vanno

continuamente, all'ombra eterna,

e copron la terra d'inganno

adoravo quest'ombra ferma.

 

Così, talvolta, tra noi

scende questa mite apparenza,

che giace, e sembra che si annoi

nell'erba e nella pazienza.

 

(da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1984, pp. 44-45)

 

 

 

 

UN DOLCE POMERIGGIO D'INVERNO

 

Un dolce pomeriggio d'inverno, dolce

perché la luna non era più che una cosa

immutabile, non alba né tramonto,

i miei pensieri svanirono come molte

farfalle, nei giardini pieni di rose

che vivono di là, fuori del mondo.

 

Come povere farfalle, come quelle

semplici di primavera che sugli orti

volano innumerevoli gialle e bianche,

ecco se ne andavan via leggiere e belle,

ecco inseguivano i miei occhi assorti,

sempre più in alto volavano mai stanche.

 

Tutte le forme diventavan farfalle

intanto, non c'era più una cosa ferma

intorno a me, una tremolante luce

d'un altro mondo invadeva quella valle

dove io fuggivo, e con la sua voce eterna

cantava l'angelo che a Te mi conduce.

 

(da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1984, p. 121)

 

 

 

 

 ALLA CHIESA DI FROSINONE

 

Il tuo orologio suona ogni quarto,

ogni quarto ricorda: - il tempo passa;

ogni quarto con tocchi argentini

e l'ore con cupi tocchi. E sembra

 

che siamo soli noi due, io e il tempo.

E sembra non ci sia carità; che il mondo

sia un'arida clessidra, e noi come sabbia

che, dentro, vi scivoliamo. E sembra,

 

il mondo, non altro che suono. Se non avessi

l'anima, e non fossi quasi un uccello

che batte l'ali fuor di palude, tu, tempo,

m'inganneresti. E tu, antica abside

 

che questi di Frosinone han lasciata

piena di crepe, o come nella tua polvere,

colpa, m'avvolgeresti. Ma la mia anima

prega sugli orizzonti senza suono,

 

di là dai lidi sabbiosi, dov'è andata

mia madre: di tra le ciglia della vita

che palpitano, come di bambina che si ridesta

la mia anima prega per ciò che muore.

 

(da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1984, p. 262 )

 

 

 

 

PASSA IL TEMPO ECCO UNA NUVOLA

 

Passa il tempo ecco una nuvola

tra le frasche che dondolano

io mi desto, e sono già lontano

 

o amore, non dirmi nulla

 

o amore che mi piovi in mente

la tua freschezza che s'umilia

se tu vuoi faremo miglia

 

e miglia, soli, silenziosamente.

 

(da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1984, p. 429)

 

 

 

Nessun commento:

Posta un commento