Carlo Betocchi (Torino 1899 – Firenze 1986) pubblicò la sua prima raccolta di versi in ritardo, rispetto a tanti altri poeti della sua generazione (aveva trentatre anni), ma da lì in poi, iniziò un percorso artistico del tutto personale, particolarmente intrigante e imparagonabile agli altri suoi contemporanei. Torinese soltanto di nascita, Betocchi ha vissuto per lo più a Firenze, pur costretto a spostarsi, per motivi di lavoro, in varie città italiane del centro-nord. Fondò e diresse, insieme a Pietro Bargellini, la rivista letteraria Il Frontespizio, che divenne, dall’anno della sua nascita a quello in cui fu pubblicato l’ultimo numero (1931-1940), punto di riferimento fondamentale per i migliori scrittori italiani cattolici. Già dal titolo della prima raccolta poetica: Relatà vince il sogno, è possible evincere la precisa scelta artistica di Betocchi, che predilesse sempre la verità a qualsiasi tipo di astrazione; che, pur pagando il dazio di essere definito “ingenuo”, portò avanti, senza minimi tentennamenti, una poesia ricca di – come ben disse il cririco Vincenzo Mengaldo – “una semplicità popolareggiante”. Io ho sempre ritenuto che la prima raccolta di Betocchi sia anche la migliore, ma a detta dei critici, il poeta torinese toccò il suo apice in L’estate di San Martino, pubblicata quando il poeta aveva già compiuto sessant’anni. In queste pagine, per la prima volta compaiono dei frammenti brevi, a guisa di diario in versi, che molto ricordano quelli ungarettiani leggibili nel volume intitolato Il taccuino del vecchio. Da quel momento in poi, tali frammenti divennero sempre più frequenti nella produzione poetica di Betocchi, e nell’ultima parte - che coincide con gli anni di estrema vecchiaia del poeta - si fanno più drammatici, a causa delle dolorose vicende esistenziali che lo coinvolsero, facendo vacillare in lui una fede cristiana che, invece, si era dimostrata molto salda fin dalle prime poesie. Chiudo riportando un elenco delle opere poetiche di Betocchi, seguito da quattro liriche trascritte dal volume Tutte le poesie, che fu anche uno dei primi libri da me acquistati, nei primi anni dell’ultimo decennio del Novecento, all’interno di una libreria romana di via Nazionale, che spesso in quegli anni visitavo.
Opere poetiche
“Realtà vince il sogno”,
Ed. del «Frontespizio», Firenze 1932.
“Altre poesie”, Vallecchi,
Firenze 1939.
“Notizie di prosa e di
poesia”, Vallecchi, Firenze 1947.
“Un ponte sulla pianura”,
Scwarz, Milano 1953.
“Poesie (1930-1954)”,
Vallecchi, Firenze 1955.
“L’estate di San Martino”,
Mondadori, Milano 1961.
“Un passo, un altro passo”,
Mondadori, Milano 1967.
“Prime e ultimissime”,
Mondadori, Milano 1974.
“Poesie del sabato”,
Mondadori, Milano 1980.
“Tutte le poesie”, Mondadori, Milano 1984.
DELL'OMBRA
Un giorno di primavera
vidi l'ombra di
un'albatrella
addormentata sulla
brughiera
come una timida agnella.
Era lontano il suo cuore
e stava sospeso nel cielo;
nel mezzo del raggiante
sole
bruno, dentro un bruno
velo.
Ella si godeva il vento;
solitaria si rimuoveva
per far quell'albero
contento:
di fiammelle, qua e là,
ardeva.
Non aveva fretta o pena;
altro che di sentir
mattino,
poi il suo meriggio, poi la
sera
con il suo fioco cammino.
Fra tante ombre che vanno
continuamente, all'ombra
eterna,
e copron la terra d'inganno
adoravo quest'ombra ferma.
Così, talvolta, tra noi
scende questa mite
apparenza,
che giace, e sembra che si
annoi
nell'erba e nella pazienza.
(da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1984, pp. 44-45)
UN DOLCE POMERIGGIO
D'INVERNO
Un dolce pomeriggio
d'inverno, dolce
perché la luna non era più
che una cosa
immutabile, non alba né
tramonto,
i miei pensieri svanirono
come molte
farfalle, nei giardini
pieni di rose
che vivono di là, fuori del
mondo.
Come povere farfalle, come
quelle
semplici di primavera che
sugli orti
volano innumerevoli gialle
e bianche,
ecco se ne andavan via
leggiere e belle,
ecco inseguivano i miei
occhi assorti,
sempre più in alto volavano
mai stanche.
Tutte le forme diventavan
farfalle
intanto, non c'era più una
cosa ferma
intorno a me, una
tremolante luce
d'un altro mondo invadeva
quella valle
dove io fuggivo, e con la
sua voce eterna
cantava l'angelo che a Te mi conduce.
(da "Tutte le
poesie", Mondadori, Milano 1984, p. 121)
ALLA CHIESA DI FROSINONE
Il tuo orologio suona ogni
quarto,
ogni quarto ricorda: - il
tempo passa;
ogni quarto con tocchi
argentini
e l'ore con cupi tocchi. E
sembra
che siamo soli noi due, io
e il tempo.
E sembra non ci sia carità;
che il mondo
sia un'arida clessidra, e
noi come sabbia
che, dentro, vi scivoliamo.
E sembra,
il mondo, non altro che
suono. Se non avessi
l'anima, e non fossi quasi
un uccello
che batte l'ali fuor di
palude, tu, tempo,
m'inganneresti. E tu,
antica abside
che questi di Frosinone han
lasciata
piena di crepe, o come
nella tua polvere,
colpa, m'avvolgeresti. Ma
la mia anima
prega sugli orizzonti senza
suono,
di là dai lidi sabbiosi,
dov'è andata
mia madre: di tra le ciglia
della vita
che palpitano, come di
bambina che si ridesta
la mia anima prega per ciò
che muore.
(da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1984, p. 262 )
PASSA IL TEMPO ECCO UNA
NUVOLA
Passa il tempo ecco una
nuvola
tra le frasche che
dondolano
io mi desto, e sono già
lontano
o amore, non dirmi nulla
o amore che mi piovi in
mente
la tua freschezza che
s'umilia
se tu vuoi faremo miglia
e miglia, soli,
silenziosamente.
(da "Tutte le
poesie", Mondadori, Milano 1984, p. 429)
Nessun commento:
Posta un commento