Nuova Antologia è il titolo di una prestigiosa rivista italiana, che
nacque nel 1866; essendo ancora oggi in circolazione, va considerata come la
più antica rivista dell’intera Europa. Fondata a Firenze dall’economista
Francesco Protonotari, Nuova Antologia
ebbe il preciso intento di rappresentare l’ideale proseguimento di un’altra
assai prestigiosa rivista: l’Antologia
del Vieusseux (1821-1832); per tale motivo, gli argomenti ivi trattati
spaziarono fin dall’inizio dalle materie umanistiche a quelle scientifiche,
avvalendosi già dai primi numeri di collaboratori famosissimi (Alessandro
Manzoni, Niccolò Tommaseo, Terenzio Mamiani ecc.). All’inizio del Novecento,
con la nuova direzione del politico Maggiorino Ferraris, la rivista conobbe un
periodo particolarmente fortunato, che si concluse con l’inizio della Grande
Guerra; durante il conflitto la Nuova
Antologia sospese le pubblicazioni, per riprenderle a pace raggiunta; qui
iniziò la sua fase calante, che ebbe lunga durata; a partire dal 1932, con l’arrivo
del nuovo direttore Luigi Federzoni, divenne rivista ufficiale dell’Accademia
d’Italia; fino al 1943 – ovvero fino al crollo del regime fascista – la Nuova Antologia visse un nuovo periodo
felice, anche grazie alla collaborazioni di scrittori e critici illustri, come
Giovanni Papini, Aldo Palazzeschi, Riccardo Bacchelli, Carlo Bo ecc. Dal 1946,
la rivista si rinnovò totalmente, avvalendosi della collaborazione di giovani
intellettuali italiani; ebbe una crisi quasi fatale negli anni ’70 del XX secolo,
che riuscì a superare grazie al decisivo intervento del politico Giovanni
Spadolini, che quindi ne divenne proprietario; in questi anni, Nuova Antologia trasferì la sua sede a
Firenze, ed ebbe un ulteriore ritorno di vendite, grazie ancora una volta alle
prestigiose collaborazioni di cui si avvaleva. Come già detto, la rivista è
tutt’ora esistente.
Volendo ora
soffermarsi un momento su uno dei periodi più importanti che visse la Nuova Antologia, e che coincide coi
primi quindici anni del Novecento, e volendo restringere il discorso alla sola
poesia – che la rivista sempre considerò ed ospitò nelle sue pagine – si può
dire che qui, a parte qualche eccezione, non trovarono spazio tanti poeti
italiani giovani e promettenti (cosa che invece avvenne in altre riviste
dell’epoca, come Poesia e La Voce); la rivista si limitò a tenere
presente soltanto coloro che già si erano affermati: poeti del secondo
Ottocento e del primissimo Novecento come Domenico Gnoli, Enrico Panzacchi,
Mario Rapisardi, Arturo Graf, Giovanni Marradi, Vittoria Aganoor, Gabriele
D’Annunzio, Enrico Thovez, Giovanni Cena, Cosimo Giorgieri Contri, Francesco
Pastonchi e tanti altri ancora. Fanno eccezione Guido Gozzano e Arturo Onofri
(il primo, nel marzo del 1909, qui pubblicò per la prima volta i versi de La signorina Felicita), ma ciò non basta
per poter dire che la Nuova Antologia
abbia rappresentato qualcosa di determinante e neppure d’importante nella fase
di rinnovamento della poesia italiana del XX secolo; discorso che si conferma
ancor più sfogliando le pagine degli anni successivi al periodo qui preso in
considerazione, in cui, tra l’altro, la poesia venne sempre più trascurata.
Chiudo, come al solito, riportando tre testi poetici trascritti dalle pagine
della rivista.
L’ISOLA DEI MORTI
(*)
di Arturo Graf
In mezzo al mare
un’isola remota
Da quanto vive e
si travaglia al mondo:
Intorno il mar
che non ha fin né fondo;
In alto il ciel
ch’eternamente ruota.
Poche, stagliate,
cenerine rupi,
Cui, da piede, la
salsa onda frastaglia;
Sulle rupi,
all’ingiro, una gramaglia
D’erti cipressi
inviluppati e cupi.
Sterminato è quel
mar, placido, tetro;
Né fragoroso
turbine sovverte,
Né lenta prora
fende mai l’inerte
Onda che muta
splende e par di vetro.
Sterminato è quel
ciel, nitido, eguale;
Né tenebrosa
nuvola vi tuona,
Né uccel che
migri ad agognata zona
Batte mai pel
diffuso etere l’ale.
Sotto l’antico
ciel, nella grandeva
Pace oblïosa,
incommutabilmente,
Dalla silenzïosa
onda lucente
L’isola come
salda ombra si leva.
Vasta quiete,
alto silenzio! Un Lete
Fatto mare:
un’immobile parvenza:
Uno stupor senza
memorie, senza
Desio... Vasto
silenzio, alta quïete!
Solo, quando nei
gorghi algidi spento
Cade (poiché
rifulse invano) il sole,
Fra i gran
cipressi, entro le cave gole,
Mormora un lieve
spirito di vento.
(*) Questi versi
mi furono in parte suggeriti da un noto, mirabile dipinto di Arnoldo Böcklin.
(da «Nuova Antologia», 16 gennaio 1904)
LUCE
di Arturo Onofri
Or che l'ombra,
in cui m'appago,
sulle vie del
mondo piove:
una luce ia me si
muove
come stella a
fior d'un lago.
E non vedo più la
riva
che nel buio si
cancella;
vedo solo quella
stella
come sola cosa
viva.
Sotto il sole era
la vita
una festa
pittoresca;
ma, cuor mio, non
ti rincresca
se in un gorgo
or' è sparita.
Quel che vidi e
udii, cogliendo
ora un suono ora
un frastaglio,
ecco (intero,
unico abbaglio!)
per magìa dì
sogno apprendo.
Nulla guardo,
nulla odo:
ma soltanto
adesso immenso
è il pensiero che
non penso,
è l'amore che non
godo.
Dal silenzio
musicale
si diffonde
un'armonia
che ritrova in me
la via
del mio cuore
primordiale.
E dal vinto
incantamento
del frastuono e
del colore,
dall'età di ciò
che muore,
creo l'eterno, a
mio talento.
(da «Nuova Antologia», 1° gennaio 1912)
ANCORA
di Diego Valeri
Verrà la morte
dalle tempie vuote,
dal cuore secco,
dagli occhi fissati:
verrà la pace. Ma
ch'io soffra, intanto,
ancora e ancora
di questo sbocciare
di rose rosse
sotto azzurri cieli,
e di questo
svariare vagabondo
d'onde bionde e
turchine su la seta
grigia del mare,
e di questa dolcezza
fonda di donna,
che s'offre al mio cuore
sempre più stanco
sempre più bramoso
come un inganno
di sonno e di sogno.
Verrà la pace; ma
così gran bene
ch'io lo soffra,
finché non sia spremuto
dai bruciati
occhi miei l'ultimo pianto.
(da «Nuova
Antologia», 16 febbraio 1929)
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