martedì 1 novembre 2022

Pavana

 

Al ritmo lento, instancabile, di una triste pavana

sfiorivi. Nella stanza non c'eri che tu fra morte,

cieche cose. Smettevi. Filtrando dalla persiana

il sole un po' ti abbagliava. Basta col pianoforte.

 

Ma eccoti poi già tornata solitaria e insistente

a suonare, a suonare. Oh la noia, il novembre

della tua noia... Però infine era sempre

di nuovo notte. E ti alzavi ormai indifferente.

 


 


COMMENTO

Pavana è il titolo di una poesia di Giorgio Bassani (Bologna 1916 – Roma 2000) che fa parte del primo volume di versi dello scrittore emiliano, intitolato Storie di poveri amanti e altri versi (edito da Astrolabio, in Roma nel 1945). Fu esclusa da Bassani, nella sua severa selezione presente nella raccolta ricapitolativa L’alba ai vetri (Einaudi, Torino 1963); al contrario, la si può di nuovo leggere sia nel Meridiano della Mondadori Opere (1998) - che comprende anche gran parte delle prose di Bassani -, sia nel recente volume Poesie complete (Feltrinelli, Milano 2021). Io la lessi per la prima volta in un’antologia della poesia italiana del Novecento di circa trent’anni fa, e subito mi piacque, per quell’atmosfera crepuscolare che la caratterizza. Negli otto versi di Pavana, infatti, si parla di una donna, probabilmente sola e attempata, che trascorre intere giornate in casa. Per vincere la noia, che inevitabilmente la tormenta, essa si diletta a suonare un pianoforte situato in una delle stanze della sua dimora (forse la sala da pranzo); fin dalle prime ore del mattino, ella ama ripetere le note di una pavana, che evidentemente rientra nei suoi pezzi preferiti, e che ha un andamento blando e triste. Questo passatempo la fa stancare, anche perché, dalla finestra vicina filtrano i raggi del sole che la abbagliano e la disturbano. Ma dopo una pausa più o meno lunga, la donna, forse perché non riesce a fare altro o forse perché la solitudine diviene insopportabile, torna al suo amato pianoforte, e ricomincia a suonare le note di quella danza antica. Negli ultimi tre versi, il poeta sembra compatire questa figura femminile che viene sovrastata dalla noia e passa le giornate in casa, suonando e risuonando le medesime note fino a che non giunge la notte e il conseguente sonno. L’ultimo verso, invece, pone in primo piano la rassegnazione che, ormai, la donna prova per tutto ciò che la circonda. Ogni mattina, al risveglio, essa fa le solite cose, non chiedendosi più il motivo dei suoi ripetuti comportamenti, e neppure spera più in un cambiamento nella sua vita quanto mai monotona.

 

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