domenica 6 novembre 2022

Riviste: «La Riviera Ligure»

 

La Riviera Ligure è il titolo di una rivista letteraria che nacque ad Oneglia, e che fu pubblicata tra il 1899 ed il 1919. Sebbene, in realtà sia nata nel 1895, sotto il titolo Riviera di Ponente, nei primi quattro anni della sua vita, che videro la direzione di Angiolo Silvio Novaro,  la rivista si occupò prevalentemente di realtà strettamente legate alla regione Liguria; nel contempo, essa aveva lo scopo di sponsorizzare l’industria olearia Sasso. Dal 1899, con il cambio del direttore (Angiolo Silvio lasciò il posto al fratello minore Mario), la rivista diede alle sue pagine un’impronta esclusivamente letteraria, ospitando i versi e le prose di illustri scrittori; tantissimi sono i nomi che comparvero all’interno della Riviera Ligure con articoli, poesie, prose poetiche e narrative; tra gli altri si ricordano: Giovanni Pascoli, Luigi Pirandello, Giovanni Cena, Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, Antonio Beltramelli, Massimo Bontempelli, Ardengo Soffici, Giovanni Papini, Enrico Pea, Guido Gozzano, Umberto Saba, Emilio Cecchi, Corrado Govoni, Piero Jahier, Clemente Rebora, Marino Moretti, Camillo Sbarbaro, Scipio Slataper ecc. Nei vent’anni in cui la Riviera Ligure mantenne la sua costante presenza nelle edicole italiane, fu sempre un esempio di garanzia per i lettori più avveduti, offrendo ad essi un panorama letterario diversificato, che sapeva tenere in conto sia le vecchie che le nuove tendenze, fino a divenire un punto di riferimento imprescindibile per studiare più a fondo la migliore letteratura italiana del primo ventennio del Novecento. Mario Novaro mantenne la direzione sino alla fine delle pubblicazioni, e le uscite della rivista, inizialmente bimestrali, a partire dal 1905 divennero mensili. Infine trascrivo tre famose poesie che apparvero, per la prima volta, sulla Riviere Ligure.

 

 

Prima pagina di un numero della Riviera Ligure

 

 

LA TESSITRICE

di Giovanni Pascoli

 

Mi son seduto ne la panchetta

come una volta... quanti anni fa?

Ella, come una volta, s'è stretta

ne la panchetta.

 

E non il suono d'una parola;

solo un sorriso tutta pietà.

La bianca mano lascia la spola.

 

Piango, e le dico: Come ho potuto,

dolce mio bene, partir da te?

Piange, e mi dice d'un cenno muto:

Come hai potuto?

 

Con un sospiro quindi la cassa

tira del muto pettine a sè.

Muta la spola passa e ripassa.

 

Piango, e le chiedo: Perchè non suona

dunque l'arguto pettine più?

Ella mi fissa timida e buona:

Perchè non suona?

 

E piange, piange - Mio dolce amore,

non t'hanno detto? non lo sai tu?

Io non son viva che nel tuo cuore.

 

Morta! Sì, morta! se tesso, tesso

per te soltanto; come, non so;

in questa tela, sotto il cipresso

accanto alfine ti dormirò.

 

(da La Riviera Ligure n. 27, 1901)

 

 

 

 

TOTÒ MERÙMENI

di Guido Gozzano

 

I.

Col suo giardino incolto, le sale vaste, i bei

balconi secentisti guarniti di verzura,

la villa sembra tolta da certi versi miei,

sembra la villa-tipo del Libro di Lettura.

 

Pensa migliori giorni la casa triste, pensa

gaie brigate sotto gli alberi centenari,

banchetti illustri nella sala da pranzo immensa

e danze nel salone spoglio da gli antiquari.

 

Ma dove in altri tempi giungeva Casa Ansaldo,

Casa Rattazzi, Casa d'Azeglio, Casa Oddone,

s'arresta un'automobile fremendo e sobbalzando,

villosi forestieri picchiano la gorgòne.

 

S'ode un latrato e un passo, si schiude cautamente

la porta... In quel silenzio di chiostro e di caserma

vive Totò Merùmeni, con una madre inferma,

una prozia canuta ed uno zio demente.

 

II.

Totò ha venticinque anni, tempra sdegnosa,

molta cultura e gusto in opere d'inchiostro,

scarso cervello, scarsa morale, spaventosa

chiaroveggenza… È il vero figlio del tempo nostro.

 

Non ricco, giunta l'ora di «vender parolette»

(il suo Petrarca!) e farsi baratto o gazzettiere,

Totò scelse l'esilio. E in libertà riflette

ai suoi trascorsi che sarà bello tacere.

 

Non è cattivo. Manda soccorso di danaro

al povero, all'amico un cesto di primizie.

Non è cattivo. A lui ricorre lo scolaro

pel tema, l'emigrante per le commendatizie.

 

Arido, consapevole di sé e dei suoi torti,

non è cattivo. È il buono che derideva il Nietzsche:

«In verità derido l'inetto che si dice

buono, perchè non ha l'ugne abbastanza forti...»

 

Dopo lo studio grave, scende in giardino, gioca

coi suoi dolci compagni sull'erba che l'invita;

i suoi compagni sono: una ghiandaia rôca,

un micio, una bertuccia che ha nome Macakita.

 

III.

La Vita si ritolse tutte le sue promesse:

egli sognò per anni l'Amore che non venne,

sognò pel suo martirio attrici e principesse,

ed oggi ha per amante la cuoca diciottenne.

 

Quando la casa dorme, la giovinetta scalza,

fresca come una prugna al gelo mattutino,

giunge nella sua stanza, lo bacia in bocca, balza

su lui che la possiede, beato e resupino.

 

IV.

Totò non può sentire. Un lento male indomo

inaridì le fonti prime del sentimento.

L'analisi e il sofisma fecero di quest'uomo

ciò che le fiamme fanno d'un edificio al vento.

 

Ma come le ruine che già seppero il fuoco

esprimono i giaggioli dai bei vividi fiori,

quell'anima riarsa esprime a poco a poco

una fiorita d'esili versi consolatori.

 

V.

Così Totò Merùmeni, dopo tristi vicende

quasi è felice. Alterna l'indagine e la rima.

Chiuso in se stesso vigila, s'accresce, esplora, intende

la vita dello spirito che non intese prima.

 

Perchè la voce è poca, e l'arte prediletta

immensa, perché il Tempo - mentre ch'io parlo - va,

Totò opra in disparte, sorride, e meglio aspetta.

E vive. Un giorno è nato. Un giorno morirà.

 

   Agliè (canavese) 20 Ottobre 1910.

 

(da La Riviera Ligure n. 133, 1911)

 

 

 

 

PAUSA

di Camillo Sbarbaro

 

Taci, anima stanca di godere

e di soffrire (all'uno e all'altro vai

rassegnata).

Nessuna voce tua odo se ascolto.

Non di rimpianto per la miserabile

giovinezza, non d'ira o di speranza,

e neppure di tedio.

                            Giaci come

il corpo, ammutolita tutta piena

d'una rassegnazione disperata.

Noi non ci stupiremmo

non è vero mia anima, se il cuore

si fermasse, sospeso se ci fosse

il fiato...

                      Invece camminiamo.

camminiamo io e te come sonnambuli.

E gli alberi son alberi, le case

sono case, le donne

che passano son donne e tutto è quello

che è, soltanto quel che è.

La vicenda di gioia e di dolore

non ci tocca. Perduta ha la sua voce

la Sirena del mondo, e il mondo è un grande

deserto.

                               Nel deserto

io guardo con asciutti occhi me stesso.

 

(da La Riviera Ligure n. 146, 1913)

 

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