domenica 12 giugno 2022

La poesia di Giorgio Vigolo


 


Come ho affermato in altre occasioni, ritengo che l’opera poetica di Giorgio Vigolo (Roma 1894 - ivi 1983) sia stata decisamente sottovalutata dalla critica letteraria italiana. Ricordo che, già parecchi anni or sono, quando lessi alcune poesie dello scrittore romano presenti in qualche sparuta antologia della poesia italiana del Novecento, rimasi letteralmente incantato, perché mi trasmisero delle emozioni fortissime; ma quando andai a cercare, nelle grandi librerie di Roma, almeno uno dei suoi volumi poetici, rimasi deluso, non trovandone affatto. Per fortuna, attraverso gli anni e con gradualità, ebbi modo di acquistare quasi tutti i libri di versi di questo straordinario poeta, che sono ora, per me, dei tesori d’inestimabile valore.

Quello che subito notai, nella poesia di Vigolo, fu una sorta di “calma disperazione”, affiorante in molti componimenti; in genere, questi versi divengono una confessione, forse addirittura uno sfogo, che mostrano un uomo sopraffatto dalla solitudine, intenzionato ad esternare le sue paure e le sue amarezze al lettore. Vi sono, poi, altri tipi di versi, in cui emerge una fantasia ed una visionarietà eccezionali per bellezza ed intensità; tutto ciò nasce dalla voglia di evadere da una esistenza isolata e disperata, e l’occasione per farlo gli è offerta dalla città di Roma, che il poeta ama alla follia, conoscendola perfettamente, compresi tutti i luoghi più reconditi che vengono descritti minuziosamente, e che riflettono atmosfere a volte mistiche ed a volte terrificanti. La mia vicinanza alla poesia di Vigolo, in parte deriva dal fatto che anch’io, in gioventù, spesso mi recavo nei quartieri centrali della capitale italiana, e m’incamminavo lungo i vicoli più antichi e affascinanti di questa meravigliosa città; qualche volta, come faceva il poeta, decidevo di entrare in una delle infinite, piccole chiese che si trovano da quelle parti, rimanendo estasiato davanti ad un quadro o ad una statua. La poesia di Vigolo, con il passare degli anni, riflette sempre di più uno stato d’isolamento, di esclusione dal resto dell’umanità; nei versi della vecchiaia, si moltiplicano le ansie e le angosce di chi sente che il suo corpo sta mutando, perdendo delle facoltà importanti; di conseguenza, il poeta, che si accorge di essere menomato e di non poter più assaporare determinate possibilità visive e, più in generale, sensitive, si fa prendere sempre più dalla disperazione; nell’ultima raccolta, i brevissimi testi poetici dimostrano quanto Vigolo fosse ancora lucidissimo anche durante l’estrema vecchiaia, e come, ben consapevole del suo stato e della sua precarietà, poco prima della sua dipartita abbia fatto i conti con la morte senza sotterfugi. Insomma, da Conclave dei sogni – prima raccolta di versi (la precedente contiene soprattutto prose) uscita nel 1935 – a La fame degli occhi, pubblicata un anno prima della sua scomparsa, Vigolo si dimostra un poeta di grandissimo valore, che, spero, prima o poi verrà giustamente valutato e, conseguentemente collocato quale uno dei migliori della poesia italiana novecentesca. Ecco, in fine, l’elenco di tutte le opere poetiche di Giorgio Vigolo, e tre poesie tra quelle che maggiormente mi stanno a cuore.





Opere poetiche

 

”Canto fermo”, Formiggini, Roma 1931.

”Conclave dei sogni”, Novissima, Roma 1935.

“Linea della vita”, Mondadori, Milano 1949.

“Canto del destino”, Neri Pozza, Venezia 1959.

“La luce ricorda”, Mondadori, Milano 1967.

“I fantasmi di pietra”, Mondadori, Milano 1977.

“La fame degli occhi”, Florida, Roma 1982.

“Poesie religiose e altre inedite”, Aracne, Roma 2001.

 



Testi

 

LA LUCE È PER LE TENEBRE

 

Nessuno conosce se stesso,

l'occhio non vede l'occhio,

la salute è apprezzata solo dai mali;

la giovanile forza

dal tardo rimpianto del vecchio.

 

  L'invalido che dal gradino

della chiesa vede passare

la giovane in fiore,

sente fremendo

la bellezza delle sue gambe,

il passo che pare il tragitto d'un sole.

 

  L'aurora più bella

è sorta dall'occhio d'un cieco:

la luce è per le tenebre

e le tenebre l'hanno compresa.

 

(da "Linea della vita", Mondadori, Milano 1949, p. 184)

 

 

 

 

IL MIO ERRARE

 

  Il  mio errare nei sogni e nei ricordi

pietrificati in luoghi ove cammino,

in case, in chiese, in vicoli, in assorti

atri di cavernoso travertino,

 

  è una lettura che i miei passi, quasi

dita di ciechi fanno delle strade

di sera, dove la tristezza evade

guidata come nella prima età

 

  da qualcuno che tiene la mia mano

nella sua amorosa e mi conduce.

 

(da "La luce ricorda", Mondadori, Milano 1967, pp. 400-401)

 

 

 

 

RIPETTA

 

  I platani autunnali

della Passeggiata di Ripetta

fanno sull'altra riva

del fiume un bosco d'oro.

Così li vidi; e adesso li vedrei

dalla finestra mia sul Lungotevere

se vi abitassi ancora

come in sogno la notte vi ritorno.

 

  Ora di pieno giorno

nella luce dell'una

li vedo nel mio sogno ad occhi aperti.

Sento che ormai nella mia vita alcuna

parete non c'è più tra veglia e sonno;

un unisono fonde oggi con ieri

in un pedale d'organo

di tristezza infinita, e quasi gioia

diviene al limitare

di non so quale mutazione in altro.

 

(da "I fantasmi di pietra", Mondadori, Milano 1977, p. 38)

 

Nessun commento:

Posta un commento