sabato 23 aprile 2022

Un solo profumo di rosa

 

Un solo profumo di rosa

in calda atmosfera veloce,

beato di sé, si riposa,

nell’ombra che ha forma di croce.

 

È solo un profumo: è sospiro

di farsi bontà volontaria,

che induce a color di zaffiro

il nimbo di sole dell’aria.

 

La terra solleva dall’ombra,

con braccia d’eterno avvenire,

il duro dolor che la ingombra,

sognando altri cieli fiorire.

 

E ignara ogni vita si sposa,

dall’ombra che ha forma di croce,

a un cielo che odora di rosa,

in calda atmosfera veloce.

 

 


 

COMMENTO

 

La poesia senza titolo che ho trascritto qui sopra, è la numero 82 della raccolta di Arturo Onofri (Roma 1885 – ivi 1928) intitolata Terrestrità del sole; pubblicata nel 1927 presso l’editore Vallecchi di Firenze, rappresenta una definitiva svolta nel percorso poetico dello scrittore romano. Ad essa seguiranno altre, assai simili raccolte – alcune delle quali uscite quando Onofri era già scomparso – che presentano, come particolarità principale, la scelta esclusiva di una poesia filosofica, molto legata alle teorie di Rudolf Steiner (1861-1925), il quale sosteneva che nel continuo trasformarsi dell’universo e della natura terrestre, si manifesta la presenza di Dio. La poesia riportata, si trova alla pagina 137 del suddetto libro, che ora è possibile leggere, insieme alla successiva raccolta Vincere il drago! (1928), in una edizione anastatica, pubblicata nel 1998 da La Finestra Editrice di Trento. Il contenuto mostra diverse simbologie; in primo piano ci sono la rosa (ovvero l’amore), che qui non si percepisce visivamente, ma in modo olfattivo, e la croce (ossia il dolore e, nello stesso tempo, la cristianità); anche quest’ultima non è direttamente visibile, ma la sua presenza è evidenziata dall’ombra che copre la rosa (o meglio, il suo profumo). Amore e dolore cristiano, divengono pura energia, spinta a fare del bene; grazie alla potenza di questa unione, anche il disco luminoso del sole si trasforma, divenendo simile ad un zaffiro (minerale di colore azzurro), e, quindi, confondendosi col cielo. Nella terza quartina della poesia, la terra prende vita, e solleva dall’ombra (della croce) il dolore duro e pesante che la occupa, rendendolo quindi più sopportabile; infine, la terra stessa, divenuta anche essere pensante, s'immagina (sogna) l’esistenza di altri cieli, fioriti in un non ben identificato luogo, in cui, proprio grazie alla forza dell’amore cristiano, non esiste alcun genere di dolore. Non facile risulta l’interpretazione dell’ultima quartina, in cui il poeta sembra vedere una unione inconsapevole ma sicura, tra gli esseri viventi della terra ed il cielo (ovvero l’ultraterreno) che ha assorbito e fatto suo il profumo della rosa (ossia l’amore e la bontà), e che si sostanzia in uno slancio verso il bene universale.

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