Contrapposti agli
uccellini in un famoso film di Pier
Paolo Pasolini, gli uccellacci sono i
protagonisti di queste dieci poesie da me selezionate. Il dispregiativo che
viene spesso usato per descrivere tali pennuti, nasce da una cattiva fama che
li riguarda, tramandata da generazioni che risalgono al passato più remoto; il
motivo risiede nel fatto che, questi uccelli, avessero -
esclusa qualche specie che non esiste più - delle abitudini di natura
prettamente alimentare, sgradite agli esseri umani; più raramente, invece, la
nomea deriva dal loro aspetto alquanto spiacevole, se non terrificante.
Ovviamente, i poveri animali non hanno colpe, poiché la natura li ha fatti così.
In alcuni dei versi qui presenti, gli "uccellacci" fungono da
simboli, che hanno delle accezioni totalmente negative, collegate a determinate
tipologie di umanità; anche in questo caso, la natura non c'entra nulla, poiché gli
uomini paragonati agli uccelli si comportano in modo malevolo deliberatamente,
e ancora una volta gli animali subiscono un ingiusto trattamento, avendo ben
poco a che vedere con quelle persone che le poesie vogliono prendere a
bersaglio. Si noterà infine, che la maggior parte di questi uccelli sono dei
rapaci; la loro assidua presenza è dovuta al fatto che si nutrono di altri
animali - a volte anche piuttosto grandi - e alla loro scarsa bellezza (per non
dire bruttezza), a parte rare eccezioni.
GLI
"UCCELLACCI" IN 10 POESIE DI 10 POETI ITALIANI
IL GRIFONE
FEMMINA È PIÙ CRUDELE...
di Giuseppe Conte
(1945)
Il grifone
femmina è più crudele, più
vorace, perché
non ha fame. Sta
fermo senz'ali,
alto, la fila
di mammelle
immutabili, mature.
Non vola, non
piomba sulle cerbiatte. Eguale
davanti a sé
guarda oltre un immenso
vaso dai due
manici l'immagine
che lo riproduce
- grifone
femmina.
(da
"L'oceano e il ragazzo", TEA, Milano 2002, p. 67)
L'AVOLTOIO
di Eugenio
Galvano (1911-1977)
Or sognavo d'un
grande albero spoglio,
onde avoltoi
lentamente con ali immense calavano,
ed uno sul mio
cuor s'è posato.
Senza respiro di
soprassalto mi sono svegliato,
e il maledetto
nel buio della notte è svanito,
lasciando
nell'aria il presentimento che ritornerà.
(da
"Poesie", Vallecchi, Firenze 1935, p. 13)
CORVO
di Arturo Graf
(1848-1913)
Nel concavo emisfero
Del ciel la
nebbia boreal si pigia:
Sotto la nube grigia
Appare il corvo
come un punto nero.
Sovra il piano deserto
Stende la neve un
gran lenzuolo bianco:
Un pellegrino stanco
Trascina alla
ventura il passo incerto.
Qualche sfrondata macchia
Lugubremente
impruna la pianura;
Avido di pastura
Sotto la nube il
negro corvo gracchia.
Irretito dal gelo,
Vinto dalla
stanchezza e dall’ambascia,
Il pellegrin s’accascia;
Il corvo sopra
lui tresca pel cielo.
(da "Le poesie",
Chianore, Torino 1922, p. 88)
UPUPA, ILARE
UCCELLO...
di Eugenio
Montale (1896-1981)
Upupa, ilare
uccello calunniato
dai poeti, che
roti la tua cresta
sopra l’aereo
stollo del pollaio
e come un finto
gallo giri al vento;
nunzio
primaverile, upupa, come
per te il tempo
s’arresta,
non muore più il
Febbraio,
come tutto di
fuori si protende
al muover del tuo
capo,
aligero folletto,
e tu lo ignori.
(da "Ossi di
seppia", Mondadori, Milano 1993, p. 61)
STAGIONI
di Giampiero Neri
(1927)
Febbraio,
l'allocco guarda
da una cavità del
muro i movimenti
della fredda
stagione.
Si adatta
naturalmente
alle necessità
attento al rumore
delle foglie
ai segnali di
ogni piccola vita.
Nel suo lavoro
paziente
Si riconosce.
Forma, destino e
nome
che avrà la
ricompensa.
(da "Teatro
naturale", Mondadori, Milano 1998, p. 56)
LO SPECCHIO DELLE
CIVETTE
di Aldo
Palazzeschi (1885-1974)
Sull'acqua del
fiume tranquillo
si sporge
bruciato il gran ramo
d'un albero
grande che solo quel ramo ha bruciato.
Si posan la notte
sul ramo sporgente
civette a
migliaia.
Si posan ridendo,
guardando ne l'acqua
del fiume che
sotto vi scorre tranquillo.
(da "I
cavalli bianchi Lanterna Poemi", Empirìa, Roma 1996, p. 20)
L’ASSIUOLO
di Giovanni
Pascoli (1855-1912)
Dov’era la luna?
ché il cielo
notava in un’alba
di perla,
ed ergersi il
mandorlo e il melo
parevano a meglio
vederla.
Venivano soffi di
lampi
da un nero di
nubi laggiù;
veniva una voce
dai campi:
chiù...
Le stelle
lucevano rare
tra mezzo alla
nebbia di latte:
sentivo il
cullare del mare,
sentivo un fru
fru tra le fratte;
sentivo nel cuore
un sussulto,
com’eco d’un
grido che fu.
Sonava lontano il
singulto:
chiù...
Su tutte le
lucide vette
tremava un
sospiro di vento:
squassavano le
cavallette
finissimi sistri
d’argento
(tintinni a
invisibili porte
che forse non
s’aprono più?...);
e c’era quel
pianto di morte...
chiù...
(da "Myricae",
Giusti, Livorno 1903, p. 125)
IO SON VECCHIA...
di Francesco
Pastonchi (1874-1953)
"Io son
vecchia, benché forse non pajo,
e ne ho visto di
mondo, e perciò gracchio.
Gracchio
sull'ingiustizia: che, s'io bacchio
quattro nocelle,
a te colma uno stajo.
"È bello
dir" contentati al tuo sajo
anche se ti
camuffi a spaventacchio"
ma s'io
m'acciuffo e mettomi un pennacchio,
mi giova — non vi
sembra? — e non fò guajo.
"Vaghi i
paoni che si stanno pari
a bellezza di
penne e portamenti
principeschi per
questi paradisi!
Ma io,
cornacchia, non ho per compari
che i desolati
inverni e i geli e i venti,
e gracchio: e i
gracchi sono i miei sorrisi".
(da "Il
randagio", Mondadori, Roma 1921, p. 91)
CHIÙ
di Luigi
Pirandello (1867-1936)
Che hai fatto?
Dimmi, forse perché
sei nato gufo,
piangi così?
credi forse che
peggio di te
non ci sian
bestie, gufo? Ma sì,
ce n'è, ce n'è!
Io ne conosco,
non lì nel bosco
-
tante ce n'è!
(da "Tutte le
poesie", Mondadori, Milano 1991, p. 233)
IL FALCO
di Sebastiano
Satta (1867-1914)
Alto, nell’alba
fresca,
Il falco,
occhioni d’oro,
Vaga qua e là sul
vento...
Uno solo ne
adoro,
E tu ne adori
cento,
Ogni volto
t’invesca.
(da
"Canti", Ilisso Edizioni, Nuoro 1996, p. 200)
Robert Duncanson, "Vulture and its Prey" (da questa pagina web) |
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