domenica 30 gennaio 2022

Gli "uccellacci" in 10 poesie di 10 poeti italiani

 

Contrapposti agli uccellini in un famoso film di Pier Paolo Pasolini, gli uccellacci sono i protagonisti di queste dieci poesie da me selezionate. Il dispregiativo che viene spesso usato per descrivere tali pennuti, nasce da una cattiva fama che li riguarda, tramandata da generazioni che risalgono al passato più remoto; il motivo risiede nel fatto che, questi uccelli, avessero - esclusa qualche specie che non esiste più - delle abitudini di natura prettamente alimentare, sgradite agli esseri umani; più raramente, invece, la nomea deriva dal loro aspetto alquanto spiacevole, se non terrificante. Ovviamente, i poveri animali non hanno colpe, poiché la natura li ha fatti così. In alcuni dei versi qui presenti, gli "uccellacci" fungono da simboli, che hanno delle accezioni totalmente negative, collegate a determinate tipologie di umanità; anche in questo caso, la natura non c'entra nulla, poiché gli uomini paragonati agli uccelli si comportano in modo malevolo deliberatamente, e ancora una volta gli animali subiscono un ingiusto trattamento, avendo ben poco a che vedere con quelle persone che le poesie vogliono prendere a bersaglio. Si noterà infine, che la maggior parte di questi uccelli sono dei rapaci; la loro assidua presenza è dovuta al fatto che si nutrono di altri animali - a volte anche piuttosto grandi - e alla loro scarsa bellezza (per non dire bruttezza), a parte rare eccezioni.

 

 

 

GLI "UCCELLACCI" IN 10 POESIE DI 10 POETI ITALIANI

 

 

 

IL GRIFONE FEMMINA È PIÙ CRUDELE...

di Giuseppe Conte (1945)

 

Il grifone femmina è più crudele, più

vorace, perché non ha fame. Sta

fermo senz'ali, alto, la fila

di mammelle immutabili, mature.

 

Non vola, non piomba sulle cerbiatte. Eguale

davanti a sé guarda oltre un immenso

vaso dai due manici l'immagine

che lo riproduce - grifone

 

femmina.

 

(da "L'oceano e il ragazzo", TEA, Milano 2002, p. 67)

 

 

 

 

L'AVOLTOIO

di Eugenio Galvano (1911-1977)

 

Or sognavo d'un grande albero spoglio,

onde avoltoi lentamente con ali immense calavano,

ed uno sul mio cuor s'è posato.

Senza respiro di soprassalto mi sono svegliato,

e il maledetto nel buio della notte è svanito,

lasciando nell'aria il presentimento che ritornerà.

 

(da "Poesie", Vallecchi, Firenze 1935, p. 13)

 

 

 

 

CORVO

di Arturo Graf (1848-1913)

 

    Nel concavo emisfero

Del ciel la nebbia boreal si pigia:

      Sotto la nube grigia

Appare il corvo come un punto nero.

 

    Sovra il piano deserto

Stende la neve un gran lenzuolo bianco:

      Un pellegrino stanco

Trascina alla ventura il passo incerto.

 

    Qualche sfrondata macchia

Lugubremente impruna la pianura;

      Avido di pastura

Sotto la nube il negro corvo gracchia.

 

    Irretito dal gelo,

Vinto dalla stanchezza e dall’ambascia,

      Il pellegrin s’accascia;

Il corvo sopra lui tresca pel cielo.

 

(da "Le poesie", Chianore, Torino 1922, p. 88)

 

 

 

 

UPUPA, ILARE UCCELLO...

di Eugenio Montale (1896-1981)

 

Upupa, ilare uccello calunniato

dai poeti, che roti la tua cresta

sopra l’aereo stollo del pollaio

e come un finto gallo giri al vento;

nunzio primaverile, upupa, come

per te il tempo s’arresta,

non muore più il Febbraio,

come tutto di fuori si protende

al muover del tuo capo,

aligero folletto, e tu lo ignori.

 

(da "Ossi di seppia", Mondadori, Milano 1993, p. 61)

 

 

 

 

STAGIONI

di Giampiero Neri (1927)

 

Febbraio, l'allocco guarda

da una cavità del muro i movimenti

della fredda stagione.

Si adatta naturalmente

alle necessità

attento al rumore delle foglie

ai segnali di ogni piccola vita.

Nel suo lavoro paziente

Si riconosce.

Forma, destino e nome

che avrà la ricompensa.

 

(da "Teatro naturale", Mondadori, Milano 1998, p. 56)

 

 

 

 

LO SPECCHIO DELLE CIVETTE

di Aldo Palazzeschi (1885-1974)

 

Sull'acqua del fiume tranquillo

si sporge bruciato il gran ramo

d'un albero grande che solo quel ramo ha bruciato.

Si posan la notte sul ramo sporgente

civette a migliaia.

Si posan ridendo, guardando ne l'acqua

del fiume che sotto vi scorre tranquillo.

 

(da "I cavalli bianchi Lanterna Poemi", Empirìa, Roma 1996, p. 20)

 

 

 

 

L’ASSIUOLO

di Giovanni Pascoli (1855-1912)

 

Dov’era la luna? ché il cielo

notava in un’alba di perla,

ed ergersi il mandorlo e il melo

parevano a meglio vederla.

Venivano soffi di lampi

da un nero di nubi laggiù;

veniva una voce dai campi:

chiù...

 

Le stelle lucevano rare

tra mezzo alla nebbia di latte:

sentivo il cullare del mare,

sentivo un fru fru tra le fratte;

sentivo nel cuore un sussulto,

com’eco d’un grido che fu.

Sonava lontano il singulto:

chiù...

 

Su tutte le lucide vette

tremava un sospiro di vento:

squassavano le cavallette

finissimi sistri d’argento

(tintinni a invisibili porte

che forse non s’aprono più?...);

e c’era quel pianto di morte...

chiù...

 

(da "Myricae", Giusti, Livorno 1903, p. 125)

 

 

 

 

IO SON VECCHIA...

di Francesco Pastonchi (1874-1953)

 

"Io son vecchia, benché forse non pajo,

e ne ho visto di mondo, e perciò gracchio.

Gracchio sull'ingiustizia: che, s'io bacchio

quattro nocelle, a te colma uno stajo.

 

"È bello dir" contentati al tuo sajo

anche se ti camuffi a spaventacchio"

ma s'io m'acciuffo e mettomi un pennacchio,

mi giova — non vi sembra? — e non fò guajo.

 

"Vaghi i paoni che si stanno pari

a bellezza di penne e portamenti

principeschi per questi paradisi!

 

Ma io, cornacchia, non ho per compari

che i desolati inverni e i geli e i venti,

e gracchio: e i gracchi sono i miei sorrisi".

 

(da "Il randagio", Mondadori, Roma 1921, p. 91)

 

 

 

 

CHIÙ

di Luigi Pirandello (1867-1936)

 

Che hai fatto? Dimmi, forse perché

sei nato gufo, piangi così?

credi forse che peggio di te

non ci sian bestie, gufo? Ma sì,

ce n'è, ce n'è!

Io ne conosco,

non lì nel bosco -

tante ce n'è!

 

(da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1991, p. 233)

 

 

 

 

IL FALCO

di Sebastiano Satta (1867-1914)

 

Alto, nell’alba fresca,

Il falco, occhioni d’oro,

Vaga qua e là sul vento...

 

Uno solo ne adoro,

E tu ne adori cento,

Ogni volto t’invesca.

 

(da "Canti", Ilisso Edizioni, Nuoro 1996, p. 200)



Robert Duncanson, "Vulture and its Prey"
(da questa pagina web)


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