Ariele è il titolo della quinta raccolta di versi di Diego
Valeri (Piove di Sacco 1887 - Roma 1976). Il volume di 142 pagine, fu
pubblicato dalla Arnoldo Mondadori Editore nel 1924. Sono, complessivamente, 57
poesie, divise in 12 sezioni tranne la prima - intitolata Annunciazione, l'ultima, che dà il titolo alla raccolta, e le otto
precedute dalla dicitura Intermezzo
veneziano (che può essere considerata una'altra sezione). Purtroppo,
diverse poesie presenti in questo libro, verranno in futuro sacrificate dal
poeta veneto; ciò si deduce leggendo Poesie
vecchie e nuove (Mondadori, Milano 1952), ovvero il volume che Valeri
affermava rappresentasse la sua "summa poetica", e che farà da
riferimento nei futuri e simili volumi, a partire da quello intitolato Poesie, di dieci anni dopo. Il motivo
per cui Valeri si sia dimostrato così severo nei confronti della sua produzione
poetica passata, non mi è dato saperlo. Certo è, secondo me, che avrebbe potuto
salvare un gran numero di poesie ingiustamente eliminate, ma che è comunque
possibile leggere nelle raccolte originali. Come già detto, questa raccolta
contiene delle liriche bellissime, che in sostanza proseguono l'itinerario
poetico di Valeri, iniziato in Monodia
d'amore e proseguito con le altre, eccezionali pubblicazioni avvenute
durante la seconda decade del Novecento. I temi qui trattati ricalcano quelli
precedenti: la natura osservata nei suoi aspetti più semplici e straordinari,
gli amori del passato e del presente, gli affetti familiari, il fascino
misterioso di certa musica, la città di Venezia, il sentimento religioso e la
morte. Qualche poesia verrà riproposta, quattro anni dopo, nella raccolta
dedicata al pubblico infantile intitolata Il
campanellino. Chiudo riportando tre componimenti in versi meravigliosi, che
non comparirono mai più nelle successive opere poetiche di Valeri.
VITA
Pianto di cose
sognate e perdute,
per tutto il
giorno del nostro soffrire;
pianto di povere
gioie vissute,
lungo la sera del
nostro morire...
Ma un'inesausta
dolcezza d'amore,
sempre, ad ogni
ora, nel fondo del cuore.
(da
"Ariele", Mondadori, Milano-Roma 1924, p. 17)
SALA D'ASPETTO
Arrivato anche a
questa stazione
del viaggio della
mia vita.
Nell'attesa di
ripartire
verso un'altra
stazione
del viaggio della
mia vita.
Poche lampade
fioche,
annegate in un
giallastro grigiore
viscido di
vernice...
Dentro la nera
cornice
del finestrone di
fondo,
vedo la sera che
muore,
tenero barlume
biondo,
soave musica
muta,
sui tetri
giardini
della città
sconosciuta.
Alle spalle,
sento il lucido gelo
della strada
d'acciaio che va,
immota sotto
l'immoto cielo,
attraverso
l'immensità.
Un fischio
lontano; un vicino brusio
di voci; un trito
scampanellio,
senza posa, senza
posa.
Tra un cupo
silenzio improvviso,
venuta chissà di
dove,
una campana
d'avemaria
mi posa
una molle carezza
sul viso,
m'apre il cuore,
vi piove
la dolcezza della
casa lontana,
il sorriso della
donna lontana,
tutto il canto e
tutto il pianto
della mia vita
lontana.
O passione vana
della mia vita
vana,
ti chiamo e t'amo
disperatamente,
come nell'ora
dell'agonia!
T'amo e ti chiamo
disperatamente,
con tutta l'anima
mia...
Guardo intorno.
Qualche triste ombra umana
si muove per il
grigiore giallastro.
Le vetrate sono
ora turchine,
d'un terso
turchino, trasparente, incantato,
con qualche
bianco brivido d'astro.
Chi mi trarrà da
questo fondo di perdizione?
Chi strapperà
alla sua sorte
il ferito senza
nome,
il disperso,
abbandonato alla
notte e alla morte,
solo, con la sua
disperazione,
su l'ultimo
confine dell'universo?...
(da "Ariele",
Mondadori, Milano-Roma 1924, pp. 51-54)
NULLA
Solo ero,
abbandonato dalla vita nel fondo
di quella notte,
come negli abissi d'un mare
di tenebra: ero
solo, in quel piccolo letto,
abbracciato
perdutamente alla mia miseria.
Non c'era più
nessuno, più nulla su la terra
per me: non voi,
bambine mie, tutta gioia mia,
né tu, né pure
tu, cuore triste e fedele,
né i miei morti,
né il mio buon compagno, il dolore.
Più nessuno, più
nulla: non più sole, né fiato
vivo di vento, né
riso di fiore e d'erba:
tutt'intorno,
muraglie di nero vuoto: notte
interminata,
senza moto, senza respiro...
Quando di tra le
imposte filtrò la prima luce,
l'anima si
riscosse; ma piangeva, piangeva,
come il bimbo
staccato dal paese del sogno
dove ha
incontrato il volto della felicità.
(da
"Ariele", Mondadori, Milano-Roma 1924, pp. 81-82)
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