Quest'anno, per
ricordare una volta di più quello sciagurato periodo durato circa cinque anni,
che coincise con il conflitto mondiale più sanguinoso e crudele della storia
dell'umanità, ho scelto due poesie di due scrittori italiani che furono
direttamente toccati dalla tragedia della guerra. Sia Natalia Ginzburg
(1916-1991) che Corrado Govoni (1884-1965), infatti, persero in quei drammatici
anni due familiari. Leone Ginzburg (1909-1944) e Aladino Govoni (1908-1944) -
rispettivamente coniuge di Natalia Levi e figlio di Corrado Govoni - furono
uccisi dai militari tedeschi nella città di Roma durante l'anno 1944.
Leone Ginzburg fu
un letterato fortemente impegnato: federalista e antifascista irriducibile,
pagò a caro prezzo le sue idee libertarie, subendo un periodo di carcere e
quindi il confino; si sposò con Natalia Levi (che in seguito al matrimonio
sostituì il suo cognome con quello del marito) nel 1938; una volta caduto il
fascismo, decise di stabilirsi a Roma, dove partecipò direttamente alla
Resistenza. Fu catturato dai tedeschi e imprigionato; fu quindi torturato dalle
SS, e in seguito a tali violenze morì nel febbraio del 1944. La poesia di
Natalia Ginzburg - autrice di romanzi memorabili come Le piccole virtù e Lessico
famigliare, fu pubblicata dalla rivista Mercurio
nel dicembre del 1944¹. In questi versi si avverte in modo quanto mai
tangibile, la grandissima tragedia della perdita di una persona cara e
insostituibile; nella mente della donna, rimane indelebile l'immagine del
marito già deceduto: lo stesso di sempre ("solo un poco più stanco").
Ma emerge nello stesso tempo la consapevolezza della scomparsa definitiva di
colui - l'unico - che era in grado di assicurarle una presenza costante al suo
fianco, tale da confortarla e rassicurarla; il vuoto che prova la scrittrice è
devastante. La solita visone della città dopo l'evento tragico, evidenzia la
totale indifferenza di una umanità inconsapevole e quindi indifferente, ovvero
incapace di percepire minimamente la disperazione senza scampo di una donna
sopraffatta dalla solitudine e che, ora, si sente completamente estranea alla
vita.
Aladino Govoni,
dopo la laurea in scienze economiche e commerciali, divenne militare e
partecipò a diverse missioni belliche. Come Leone Ginzburg, visse nella città
di Roma dopo la caduta del regime fascista; anche lui partecipò alla Resistenza
e fu catturato dalla Gestapo (polizia segreta nazista); dopo essere stato
torturato a lungo, venne giustiziato insieme agli altri martiri delle
famigerate Fosse Ardeatine, nel novembre del 1944. La tremenda sofferenza
provata dal padre Corrado, è testimoniata dalla raccolta intitolata proprio Aladino. Lamento su mio figlio morto
(Mondadori, Milano 1946). I versi che ho trascritto fanno parte di tale volume;
in queste parole si avverte lo strazio che soltanto un genitore che abbia
perduto un figlio in modo così atroce, può provare. Al povero poeta può bastare
la semplice visione di una cava cittadina, o il rumore degli spari di
cacciatori presenti nei pressi, per scatenare una serie di sensazioni e
pensieri sgradevolissimi, legati al luogo e al momento in cui il giovane figlio
perse la vita a causa di spietati assassini. Questa insopportabile sofferenza
mentale fa sì che egli si scagli contro l'umanità intera e si senta vittima di
un volere ultraterreno avverso e inspiegabile.
MEMORIA
di Natalia
Ginzburg
Gli uomini vanno
e vengono per le strade della città.
Comprano cibo e
giornali, muovono a imprese diverse.
Hanno roseo il
viso, le labbra vivide e piene.
Sollevasti il
lenzuolo per guardare il suo viso,
Ti chinasti a
baciarlo con un gesto consueto.
Ma era l’ultima
volta. Era il viso consueto,
Solo un poco più
stanco. E il vestito era quello di sempre.
E le scarpe eran
quelle di sempre. E le mani erano quelle
che spezzavano il
pane e versavano il vino.
Oggi ancora nel
tempo che passa sollevi il lenzuolo
A guardare il suo
viso per l’ultima volta.
Se cammini per
strada, nessuno ti è accanto,
Se hai paura,
nessuno ti prende la mano.
E non è tua la
strada, non è tua la città.
Non è tua la città
illuminata. La città illuminata è degli altri,
Degli uomini che
vanno e vengono comprando cibi e giornali.
Puoi affacciarti
un poco alla quieta finestra
E guardare in
silenzio il giardino nel buio.
Allora quando
piangevi c’era la sua voce serena.
Allora quando
ridevi c’era il suo riso sommesso.
Ma il cancello
che a sera s’apriva resterà chiuso per sempre;
E deserta è la
tua giovinezza, spento il fuoco, vuota la casa.
8 novembre
(dalla rivista
"Mercurio", dicembre 1944)
SE UNA CAVA DI
ROSSA PUZZOLANA
di Corrado Govoni
Se una cava di
rossa pozzolana
incontro intorno
a Roma (e sono tante!),
il cuore mi si
stringe, perché vedo
in essa
rinnovarsi il tuo martirio.
Se mi giungono
scoppi: cacciatore
che giù dal cielo
un’ala ebbra di canto
sbatte, o il
rombo di zampillante
mina di nera
terra; il cuore mi si spezza,
ché in ogni
colpo, innocuo o sanguinoso,
sento l’eco di
quello che t’uccise.
Che cosa t’hanno
fatto, figlio mio,
gli uomini! E a
me che cosa ha fatto Dio!
(da "Poesie
1903-1958", Mondadori, Milano 2000, p. 309)
NOTE
1) In fondo alla
pagina in cui viene trascritta la poesia della Ginzburg, viene riportata una
nota con la seguente dicitura:
Alla memoria di suo marito Leone Ginzburg,
morto nelle carceri di Roma il 5 febbraio 1944, ucciso dalla ferocia della
Gestapo, Natalia Ginzburg dedica questa poesia. Natalia Ginzburg, nota nel
mondo letterario col nome di Alessandra Tornimparte, riprende il suo vero nome
che dovette abbandonare, per ragioni razziali, nel periodo dell'oppressione
fascista.
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