domenica 25 aprile 2021

Due poesie per ricordare altre due vittime del nazifascismo

 

Quest'anno, per ricordare una volta di più quello sciagurato periodo durato circa cinque anni, che coincise con il conflitto mondiale più sanguinoso e crudele della storia dell'umanità, ho scelto due poesie di due scrittori italiani che furono direttamente toccati dalla tragedia della guerra. Sia Natalia Ginzburg (1916-1991) che Corrado Govoni (1884-1965), infatti, persero in quei drammatici anni due familiari. Leone Ginzburg (1909-1944) e Aladino Govoni (1908-1944) - rispettivamente coniuge di Natalia Levi e figlio di Corrado Govoni - furono uccisi dai militari tedeschi nella città di Roma durante l'anno 1944.

Leone Ginzburg fu un letterato fortemente impegnato: federalista e antifascista irriducibile, pagò a caro prezzo le sue idee libertarie, subendo un periodo di carcere e quindi il confino; si sposò con Natalia Levi (che in seguito al matrimonio sostituì il suo cognome con quello del marito) nel 1938; una volta caduto il fascismo, decise di stabilirsi a Roma, dove partecipò direttamente alla Resistenza. Fu catturato dai tedeschi e imprigionato; fu quindi torturato dalle SS, e in seguito a tali violenze morì nel febbraio del 1944. La poesia di Natalia Ginzburg - autrice di romanzi memorabili come Le piccole virtù e Lessico famigliare, fu pubblicata dalla rivista Mercurio nel dicembre del 1944¹. In questi versi si avverte in modo quanto mai tangibile, la grandissima tragedia della perdita di una persona cara e insostituibile; nella mente della donna, rimane indelebile l'immagine del marito già deceduto: lo stesso di sempre ("solo un poco più stanco"). Ma emerge nello stesso tempo la consapevolezza della scomparsa definitiva di colui - l'unico - che era in grado di assicurarle una presenza costante al suo fianco, tale da confortarla e rassicurarla; il vuoto che prova la scrittrice è devastante. La solita visone della città dopo l'evento tragico, evidenzia la totale indifferenza di una umanità inconsapevole e quindi indifferente, ovvero incapace di percepire minimamente la disperazione senza scampo di una donna sopraffatta dalla solitudine e che, ora, si sente completamente estranea alla vita.

Aladino Govoni, dopo la laurea in scienze economiche e commerciali, divenne militare e partecipò a diverse missioni belliche. Come Leone Ginzburg, visse nella città di Roma dopo la caduta del regime fascista; anche lui partecipò alla Resistenza e fu catturato dalla Gestapo (polizia segreta nazista); dopo essere stato torturato a lungo, venne giustiziato insieme agli altri martiri delle famigerate Fosse Ardeatine, nel novembre del 1944. La tremenda sofferenza provata dal padre Corrado, è testimoniata dalla raccolta intitolata proprio Aladino. Lamento su mio figlio morto (Mondadori, Milano 1946). I versi che ho trascritto fanno parte di tale volume; in queste parole si avverte lo strazio che soltanto un genitore che abbia perduto un figlio in modo così atroce, può provare. Al povero poeta può bastare la semplice visione di una cava cittadina, o il rumore degli spari di cacciatori presenti nei pressi, per scatenare una serie di sensazioni e pensieri sgradevolissimi, legati al luogo e al momento in cui il giovane figlio perse la vita a causa di spietati assassini. Questa insopportabile sofferenza mentale fa sì che egli si scagli contro l'umanità intera e si senta vittima di un volere ultraterreno avverso e inspiegabile.

 

 DUE POESIE PER RICORDARE ALTRE DUE VITTIME DEL NAZIFASCISMO

 

MEMORIA

di Natalia Ginzburg

 

Gli uomini vanno e vengono per le strade della città.

Comprano cibo e giornali, muovono a imprese diverse.

Hanno roseo il viso, le labbra vivide e piene.

Sollevasti il lenzuolo per guardare il suo viso,

Ti chinasti a baciarlo con un gesto consueto.

Ma era l’ultima volta. Era il viso consueto,

Solo un poco più stanco. E il vestito era quello di sempre.

E le scarpe eran quelle di sempre. E le mani erano quelle

che spezzavano il pane e versavano il vino.

Oggi ancora nel tempo che passa sollevi il lenzuolo

A guardare il suo viso per l’ultima volta.

Se cammini per strada, nessuno ti è accanto,

Se hai paura, nessuno ti prende la mano.

E non è tua la strada, non è tua la città.

Non è tua la città illuminata. La città illuminata è degli altri,

Degli uomini che vanno e vengono comprando cibi e giornali.

Puoi affacciarti un poco alla quieta finestra

E guardare in silenzio il giardino nel buio.

Allora quando piangevi c’era la sua voce serena.

Allora quando ridevi c’era il suo riso sommesso.

Ma il cancello che a sera s’apriva resterà chiuso per sempre;

E deserta è la tua giovinezza, spento il fuoco, vuota la casa.

 

    8 novembre

 

(dalla rivista "Mercurio", dicembre 1944)

 

 

 

 

SE UNA CAVA DI ROSSA PUZZOLANA

di Corrado Govoni

 

Se una cava di rossa pozzolana

incontro intorno a Roma (e sono tante!),

il cuore mi si stringe, perché vedo

in essa rinnovarsi il tuo martirio.

Se mi giungono scoppi: cacciatore

che giù dal cielo un’ala ebbra di canto

sbatte, o il rombo di zampillante

mina di nera terra; il cuore mi si spezza,

ché in ogni colpo, innocuo o sanguinoso,

sento l’eco di quello che t’uccise.

Che cosa t’hanno fatto, figlio mio,

gli uomini! E a me che cosa ha fatto Dio!

 

(da "Poesie 1903-1958", Mondadori, Milano 2000, p. 309)

 

 


NOTE

 

1) In fondo alla pagina in cui viene trascritta la poesia della Ginzburg, viene riportata una nota con la seguente dicitura:

  Alla memoria di suo marito Leone Ginzburg, morto nelle carceri di Roma il 5 febbraio 1944, ucciso dalla ferocia della Gestapo, Natalia Ginzburg dedica questa poesia. Natalia Ginzburg, nota nel mondo letterario col nome di Alessandra Tornimparte, riprende il suo vero nome che dovette abbandonare, per ragioni razziali, nel periodo dell'oppressione fascista.

 

 

 

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