domenica 28 marzo 2021

"Poesie scritte col lapis" di Marino Moretti

 

Poesie scritte col lapis, pubblicata dall'editore Ricciardi di Napoli nel 1910, è la raccolta di versi più famosa di Marino Moretti (Cesenatico 1885 - ivi 1979). Il poeta romagnolo, in virtù di quest'opera, ottenne una buona notorietà, grazie anche ad un famoso articolo di Giuseppe Antonio Borgese, uscito lo stesso anno sul quotidiano La Stampa, in cui il Moretti, accomunato ad altri due poeti: Fausto Maria Martini e Carlo Chiaves, fu definito per la prima volta "poeta crepuscolare". Anch'io penso che questa raccolta sia la migliore di Marino Moretti, soprattutto perché fa da spartiacque rispetto al suo modo di comporre versi; le prime due opere poetiche - che precedono Poesie scritte col lapis - rappresentarono per l'autore una sorta di apprendistato; le due successive, rappresentarono invece una "ripetizione con varianti" della citata e giustamente celebrata raccolta del 1910. Successivamente Moretti abbandonò la poesia per dedicarsi in modo assiduo alla prosa narrativa; soltanto negli anni della vecchiaia tornò a pubblicare altre raccolte di versi, che certamente non posseggono le attrattive delle precedenti.

Poesie scritte col lapis comprende in tutto 68 componimenti poetici, suddivisi nelle seguenti sezioni: Il mondo; Le domeniche; Signorine di provincia; Nostalgia; Hortulus animulae; Alcune poesie scritte con la penna. Nella prima di queste, il titolo spiega solo parzialmente il contenuto; nei versi qui presenti, infatti, viene descritto un mondo del tutto soggettivo, immerso nel grigiore di una quotidianità senza alcuna attrattiva, dove la noia, la sensazione della propria inutilità e di una evidentemente percepita inadeguatezza al vivere, dominano su tutto il resto. Il discorso non cambia nella seconda sezione, dedicata alle domeniche: tema così caro a certi poeti simbolisti e decadenti come Georges Rodenbach e Jules Lafourge; qui si trovano alcune tra le poesie più antologizzate di Moretti, come La domenica della signora Lalla, in cui il poeta ricorda con struggente malinconia la sua maestra di scuola. Nella terza sezione divengono protagoniste le "signorine di provincia": giovani donne che il poeta ha conosciuto e a cui, in qualche modo, ancora si sente parecchio legato. In Nostalgia, si trovano i versi più malinconici, pregni di ricordi lontani (per lo più dell'infanzia) e felici; Moretti aguzza la memoria e sciorina una serie di personaggi, oggetti e luoghi che gli sono rimasti impressi; è un mondo favoloso, in cui il poeta riesce ancora ad immedesimarsi, rivivendo la sua fanciullezza tramite la scrittura. Nella sezione intitolata Hortulus animulae, sono presenti poesie di vario genere: alcune, come Suor Benedetta, decisamente tragiche, ed altre, come Il mondo e mia sorella o Riderella, scherzose e allegre; qui si trova anche il poema Il giorno dei morti, che ricorda molto l'omonimo componimento del Pascoli: poeta fondamentale per Moretti, sia in questa raccolta che nelle precedenti e successive. Chiude il libro la sezione Alcune poesie scritte con la penna, dove si nota la presenza di sonetti e quartine che mostrano una maggiore seriosità rispetto al resto della raccolta.

A titolo di riassunto, si possono identificare alcuni temi portanti delle Poesie scritte col lapis: la noia, le domeniche, la provincia, la famiglia. In un mondo provinciale chiuso, grigio e noioso, dove anche i giorni di festa trascorrono senza impeto e gioia, il poeta trova scampo al suo malessere cronico grazie a specifiche evasioni intellettuali, che si indirizzano verso i ricordi dell'infanzia e dell'adolescenza; ma ha la sua importanza anche l'ambiente famigliare, poiché soltanto qui egli ritrova gli affetti veri e insostituibili, che gli garantiscono quel minimo di serenità e gli consentono di proseguire il tormentato percorso esistenziale senza cadere nella disperazione. Grazie a questo volume, Moretti diverrà il poeta crepuscolare per eccellenza, avendo rielaborato in modo sintetico e ineccepibile, i temi dei poeti - sodali o amici - che lo avevano preceduto: Govoni, Corazzini e Gozzano.

Dopo l'edizione del 1910, a quanto ne so, è stata pubblicata solamente un'altra che si può definire perfettamente fedele all'originale; da essa, ho estratto due tra le poesie più ricordate e più antologizzate del poeta romagnolo.

 

 


 

CHE VALE?

 

Chinar la testa che vale,

che vale fissare il sole

e unir parole a parole

se la vita è sempre uguale?

 

Si discorre d'avvenire?

Si rammemora il passato?

Chi è vivo deve morire,

chi è morto è bell'e spacciato!

 

Poeti, dolci fratelli,

perché far tanto susurro

se un lembo di cielo è azzurro,

se son biondi dei capelli?

 

Un po' d'azzurro (che vale?)

ed un po' d'oro, un riflesso

d'oro... Ma il mondo è lo stesso,

ma la vita è sempre uguale!

 

Non c'è né duolo, né gioia,

non c'è né odio, né amore:

nulla! Non c'è che un colore:

il grigio, e un tarlo: la noia.

 

Chinar la testa che vale?

Che vale fissare il sole?

Ciò che vorresti non vuole

quei ch'è più forte, o mortale!

 

Non c'è né duolo, né gioia,

non ci son luci, né ombre:

il grigio, il grigio che incombe

sui cuori, e il tarlo: la noia!

 

Questa è la strada del bene,

questa è la strada del male:

star troppo a sceglier che vale?

Peuh! Quella che viene, viene!

 

(da "Poesie scritte col lapis", Palomar, Bari 1992, pp. 20-21)

 

 

 

 

LA DOMENICA

 

Chinar la testa che vale?

E che vai nova fermezza?

Io sento in me la stanchezza

del giorno domenicale;

 

del giorno in cui non si fa nulla

fuorché il triste cuore sperso,

e in cima alla mente un verso

troppo noto che ci culla;

 

del giorno in cui, spento ogni

rumore, la casa è vuota,

in cui la pupilla immota

non intravede più sogni.

 

Chinar la testa che vale?

Vive meglio col suo niente

il buon uomo che si sente

di non poter fare il male,

 

e non sente l'infinita

ampiezza dell'irreale,

e vive senza ideale

come un servo della vita!

 

La suora che nel convento

perdoni e salvezze implora

pensa alla vita d'allora

con improvviso sgomento;

 

la madre che à lungi il figlio

e che non sa dove sia,

pensa ch'ei sia su la via

del male, senza giaciglio;

 

l'amante, pieno di ardore,

che attese presso una chiesa

si logorò nell'attesa

tutto il suo giovane cuore,

 

ma il malato, a cui concesso

fu di stare nel cortile,

sente che l'autunno è aprile,

si consola da sé stesso;

 

il malato a cui è tanto

caro l'umile fil d'erba

ed a cui l'autunno serba

un primaverile incanto,

 

una dolcezza novella

fatta di gialle corolle,

una soavità molle,

un'indistinta favella!...

 

Chinar la testa che vale?

e che vai nova fermezza?

Io sento in me la tristezza

del giorno domenicale,

 

che declina in un vapore

grigio nella lontananza

senza che alcuna speranza

doni al mio povero cuore.

 

(da "Poesie scritte col lapis", Palomar, Bari 1992, pp. 47-49)

 

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