domenica 21 marzo 2021

Poeti dimenticati: Felice Soffrè

 

Nacque a Delianuova (Reggio Calabria) nel 1861 e morì a Scido nel 1927. A causa di una malattia agli occhi, che gli procurò un serio abbassamento della vista, non potè completare gli studi; autodidatta, usufruì dell'aiuto di amici e familiari per poter arricchire la sua cultura personale. In giovane età cominciò a pubblicare versi in varie riviste, e già dal 1884 venne dato alle stampe un suo volume poetico. Poeta tradizionalista e intimista, Soffrè scrisse versi che spesso descrivono ricordi (luoghi della terra natale, figure ed emozioni) appartenenti al periodo adolescenziale, quando i suoi occhi ancora potevano osservare le meraviglie della natura che lo circondava, così come i volti delle persone a lui più care; meno presenti ma più affascinanti sono le liriche in cui il poeta si dedica a riflessioni ed a meditazioni sull'esistenza. La poesia di Soffrè rivela diverse suggestioni, e trae molti spunti sia da alcuni poeti italiani minori del secondo Ottocento (Marradi, Panzacchi, Gnoli ecc.), sia da Giovanni Pascoli.

 

 

 

 

Opere poetiche

 

"Primi versi", Tip. Caruso, Reggio Calabria 1884.

"Primole", Tip. Ed. La Società Laziale, Roma 1892.

"Versi", Giannotta, Catania 1900.

"Fragili", Giannotta, Catania 1908.

"Ultime foglie", Ausonia, Roma 1920.

"Poesie", Tipografia P. Filogamo, Reggio Calabria 1963.

 

 


 

 

Presenze in antologie

 

"Dai nostri poeti viventi", 3° edizione, a cura di Eugenia Levi, Lumachi, Firenze 1903 (pp. 376-378).

 

 

 

 

Testi

 

 

 

ALLE ORE

 

Ore, cascata senza sorgente,

che nell'abisso precipitate

del tempo, quando saranno spente

tutte le vite, come ora fate,

l'una poi l'altra, ruinerete

nella vorago che non ha fondo;...

sempre. Ma allora che sognerete?

Non vi saranno più cuori al mondo.

Segnar le tappe quando faranno

nella gran notte del mondo i voli,

o quando ciechi gli astri urteranno

dando scintille che saran soli?...

Voi creò l'uomo pei suoi dolori,

per le sue gioie; l'esile dito

della lancetta sol giova ai cuori;

non vi son tappe nell'infinito.

 

(da "Poesie", Tip. Filogamo, Reggio Calabria 1963, p. 86)

 

 

 

 

NEL RIDESTARMI

 

Strano; ma adesso mi par bello il mondo,

e l'aborrivo ieri.

Quanto ho dormito! e che sonno profondo!...

Anima mia, dov'eri?

 

Dov'eri, mentre come spugna in mare

nei suoi meandri il core

flusso e riflusso avea senza provare

desiderj, o dolori?

 

Dov'eri, mentre la mia mente sorda

si facea di pensieri,

come armonica a cui non si dà corda.

Anima mia, dov'eri?

 

(da "Poesie", Tip. Filogamo, Reggio Calabria 1963, p. 104)

 

 

 

 

VECCHIO CUORE

 

Verso la morte con le spalle andiamo,

volta la faccia là donde passammo,

sì che il nuovo cammino ignoriamo,

e ignoreremo, come l'ignorammo.

 

E da lungi le rose vediamo

che cogliere passando non curammo

e vorremmo tornare e non possiamo

rifar la vita su cui ci affaticammo,

 

invano!... la vita scabra ci sospinge

nolenti verso le muraglie nere

alla cui porta vigila la sfinge;

 

e il cuor che affanna dubita: - Chi sa?

pur quelle rose forse non son vere...

solo è un miraggio la felicità.

 

(da "Poesie", Tip. Filogamo, Reggio Calabria 1963, p. 246)

 

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