In questi versi,
numericamente prevalgono i re e le regine, seguiti dai principi e dalle
principesse; a parte qualche barone, il resto dei titoli nobiliari è pressoché
assente. Le regine sono descritte in vario modo: pensose, disperate o
libidinose, quasi sempre si rivelano sofferenti e, in qualche caso, muoiono.
Non vale lo stesso discorso per i re, descritti durante le loro occupazioni
preferite o - in un'aura di fiaba - alla stessa stregua degli dei; fa eccezione
Lucini, che dà la parola ad un re colmo d'ira e di disperazione: quasi al
limite della pazzia. I principi invece, spesso si trovano in luoghi isolati,
seppur circondati da esseri viventi curiosi, che li spiano. Anche le
principesse, più rare, vivono situazioni d' un isolamento forzato, che è dovuto
a problemi fisici. Tito Marrone, infine, dedica una poesia alle uniche nobildonne presenti nella Chanson de Roland,
ponendo l'attenzione al lato più tragico dell'opera in versi scritta durante il
medioevo, che appartiene alla migliore tradizione popolare francese.
Poesie sull'argomento
Mario Adobati:
"Saba" in "I cipressi e le sorgenti" (1919).
Ugo Betti: "Il
figlio del re" e "La principessina cieca" in "Il Re
pensieroso" (1922).
Enrico Cavacchioli:
"La regina adultera" in "Le ranocchie turchine" (1909).
Cosimo Giorgieri
Contri: "La caccia" in "Il convegno dei cipressi" (1894).
Corrado Govoni
"Gli uomini e i cani del re" in "Gli aborti" (1907).
Gian Pietro Lucini:
"I Baroni" in "Il Libro delle Figurazioni Ideali" (1894).
Gian Pietro Lucini:
"Il Re" in "Il Libro delle Imagini terrene" (1898).
Enzo Marcellusi:
"Il re" in "I canti violetti" (1912).
Tito Marrone:
"Alda e Braminonda" in «Rivista di Roma», ottobre 1905.
Aldo Palazzeschi:
"Il figlio d'un Re" in "I cavalli bianchi" (1905).
Aldo Palazzeschi:
"Il Principe Bianco" e "La principessa bianca" in "Lanterna" (1907).
Aldo Palazzeschi:
"Regina Paolina", "Regina Carmela" e "Regina
Carlotta" in "Poemi" (1909).
Antonio Rubino:
"La Regina che non dorme" in «Poesia», ottobre 1908.
Carlo Vallini:
"L'offerta del Re" in "Un giorno e altre poesie" (1967).
Remigio Zena:
"Il mio nome è Cristiana..." in "Le Pellegrine" (1894).
di Gian Pietro Lucini
I.
«Ahi, sono il Re, son
la Dominazione,
triste di vecchie
Torri e di Palazzi.
Antico nome! Io vidi
sulli arazzi
scolorirsi le imprese
a compassione;
vidi cader le pietre
del bastione
nel fango della gora.
Anche i topazzi
smuntano al serto, e
m'irridono i lazzi
sanguinosi del
garrulo buffone.
Ahi! vecchio nome:
delle Principesse
forse nate da me, non
mi ricordo,
cercano filtri dalle
Pitonesse
e incantano alla mia
prossima morte;
son troppo stanco,
ahimè!... quel lieve accordo
d'arpa giovane e sana
oltre le porte,
II.
queste ferre porte
del maniero!
Non vogliate suonar
gioja ai festini!
Vecchio Re, vecchio
Re! torbido e latero.
Ma io sono la Patria;
io sui destini
siedo; a me la
zagaglia ed il cimiero.
Son la Città, le Dame
ed i Bambini,
la Legge!.. Oh il
biondo imberbe cavaliero...
Via, Paggio, tra le
Belle a inocui inchini.
E queste
Principesse... e questi canti?
Ma chiudete nel
carcere le bionde
creature mal nate.
Ahi! Nell'incanti
d'un bieco strangolar
non ho io visto
delle mani liliali,
erte e gioconde
stendersi gloriose al
grande acquisto?»
III.
Tutti mi odiano
qui?... Non me ne importa.
Io porto tutto l'oro
del paese
dentro al cuore. Chi
è là? Che fa la scorta?
Perché s'arruginisce
il mio palvese?
Flora, sei troppo
bella! Alcun ti ha scorta
nel bagno forse, od
un Barone inglese
s'immagò de' tuoi
occhi? Oh! questa porta
che stride, Flora!...
Chiudi. No, senza difese,
povero vecchio! Ma
volete sgozzarmi?...
Io porto tutto il
Mondo dentro al cuore
ma bevetemi il
sangue, tutto il sangue!
Il Boja, il Boja, li
Alabardieri, l'armi...
Flora, mia dolce; un
veleno;.. oh quel fiore
turgido come un
bimbo... e chi langue
IV.
la forca, Boja!.. No;
non bestemmiate.
Perché vi son dei
giovani? La vita
non termina con me?
L'arrubinate
labra di Flora
stillano un'ardita
malia d'intenzioni;
l'ingemmate
mamme voglion dei
bimbi. L'Archimandrita
mi sposerà con lei:
oh, superate,
sfondate la Torre...
Oh la sparita
Flora in un lago di
sangue! Pietà!
Non vogliate
sgozzarmi; son pazzo,
verrò con voi, coi
giovani; ho paura;
sono cieco, son
sordo, in una oscura
notte che non ha
fine, e il mio palazzo
suda veleni, incesti... Via!... Chi è là?!..»
LA REGINA CHE NON
DORME
di Antonio Rubino
Su pel cielo in
funerei trofei
la conglobata
caligine dorme:
varcano l'aria
invisibili torme
sciamando forte come
scarabei.
Ora che l'Ombra
attinge con l'enorme
chioma l'arco, non è
chi veda Lei,
ma bene sente gli
occhi medusei
dell'Ombra la Regina
che non dorme.
Morsa dal desiderio
che non dorme,
poi che il cuore le
torcano gl'incubi,
ripete ella il suo
lungo urlo uniforme;
ma la morta città dei
mausolei
è vuota d'echi.
Muovono le nubi
su pel cielo
fantastici imenei.
(dalla rivista
«Poesia», ottobre 1908)
Gustav Klimt, "Porträt der Baroness Elisabeth Bachofen-Echt" (da questa pagina web) |
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