domenica 28 febbraio 2021

Omaggio personale alla poesia e alla prosa di Giacomo Leopardi


 


Sarebbe del tutto inutile aggiungere, in questo mio post, ulteriori, inutili parole alle tante, ben più importanti, che sono state dedicate all'opera poetica di Giacomo Leopardi. Per questo mi limiterò a sottolineare l'estrema importanza che ha avuto, per me, la poesia leopardiana, conosciuta già sui banchi della scuola media inferiore (che frequentavo nella seconda metà degli anni '70 del XX secolo), e approfondita negli anni successivi, grazie a nuovi e diversi libri scolastici. Quand'ero un adolescente timido, introverso e solitario, leggere alcuni dei versi scritti da Giacomo Leopardi, mi aiutò non poco; fu, per me, come scoprire un amico virtuale: un amico che mi ha preceduto di qualche secolo, ma che ebbi la fortuna di conoscere e di sentire vicino, malgrado la sua assenza. Devo anche aggiungere che grazie al Leopardi ho cominciato ad amare questo tipo di arte; e devo ammettere che la poesia, in precedenza, non mi attraeva più di tanto; proprio tramite la conoscenza dei migliori versi di Giacomo Leopardi, ebbi modo di capire che, grazie alla poesia, era possibile provare emozioni fortissime, scoprire che c'era un identico modo di pensare, amare, soffrire e vivere, tra un essere umano vissuto nella prima parte del XIX secolo e un altro (me stesso), che, non ancora maggiorenne, si era appena incamminato verso l'ultimo ventennio del XX secolo. Scoprii, insomma, che la poesia, la prosa e tutta l'arte in generale, hanno l'imparagonabile potere di unire generazioni vissute in epoche lontane e diversissime. Tra le liriche dello scrittore marchigiano che più mi piacquero ricordo Il sabato del villaggio, L'infinito, Alla luna, Il passero solitario, La quiete dopo la tempesta... Purtroppo, cogli anni, ho trascurato sempre di più i versi di Leopardi, attirato da altri poeti italiani; ciò non toglie che ancora oggi egli sia per me un poeta di fondamentale importanza.

Il mio omaggio a questo scrittore immortale e dotato di un talento veramente eccezionale si conclude con la trascrizione di tre suoi conosciutissimi capolavori, che poi sono quelli che ho amato e tutt'ora amo di più, seguiti da due frammenti in prosa estratti rispettivamente dai Pensieri e dallo Zibaldone.

 

 


 


 

IL PASSERO SOLITARIO

 

 D'in su la vetta della torre antica,

Passero solitario, alla campagna

Cantando vai finché non more il giorno;

Ed erra l'armonia per questa valle.

Primavera dintorno

Brilla nell'aria, e per li campi esulta,

Sì ch'a mirarla intenerisce il core.

Odi greggi belar, muggire armenti;

Gli altri augelli contenti, a gara insieme

Per lo libero ciel fan mille giri,

Pur festeggiando il lor tempo migliore:

Tu pensoso in disparte il tutto miri;

Non compagni, non voli,

Non ti cal d'allegria, schivi gli spassi;

Canti, e così trapassi

Dell'anno e di tua vita il più bel fiore.

 Ohimè, quanto somiglia

Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,

Della novella età dolce famiglia,

E te german di giovinezza, amore,

Sospiro acerbo de' provetti giorni,

Non curo, io non so come; anzi da loro

Quasi fuggo lontano;

Quasi romito, e strano

Al mio loco natio,

Passo del viver mio la primavera.

Questo giorno ch'omai cede alla sera,

Festeggiar si costuma al nostro borgo.

Odi per lo sereno un suon di squilla,

Odi spesso un tonar di ferree canne,

Che rimbomba lontan di villa in villa.

Tutta vestita a festa

La gioventù del loco

Lascia le case, e per le vie si spande;

E mira ed è mirata, e in cor s'allegra.

Io solitario in questa

Rimota parte alla campagna uscendo,

Ogni diletto e gioco

Indugio in altro tempo: e intanto il guardo

Steso nell'aria aprica

Mi fere il Sol che tra lontani monti,

Dopo il giorno sereno,

Cadendo si dilegua, e par che dica

Che la beata gioventù vien meno.

 Tu, solingo augellin, venuto a sera

Del viver che daranno a te le stelle,

Certo del tuo costume

Non ti dorrai; che di natura è frutto

Ogni vostra vaghezza.

A me, se di vecchiezza

La detestata soglia

Evitar non impetro,

Quando muti questi occhi all'altrui core,

E lor fia vòto il mondo, e il dì futuro

Del dì presente più noioso e tetro,

Che parrà di tal voglia?

Che di quest'anni miei? che di me stesso?

Ahi pentirommi, e spesso,

Ma sconsolato, volgerommi indietro.

 

(da "Poesie e prose", Hoepli, Milano 1983, pp. 33-34)

 

 

 

 

 ALLA LUNA

 

 O graziosa luna, io mi rammento

Che, or volge l'anno, sovra questo colle

Io venia pien d'angoscia a rimirarti:

E tu pendevi allor su quella selva

Siccome or fai, che tutta la rischiari.

Ma nebuloso e tremulo dal pianto

Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci

Il tuo volto apparia, che travagliosa

Era mia vita: ed è, né cangia stile,

O mia diletta luna. E pur mi giova

La ricordanza, e il noverar l'etate

Del mio dolore. Oh come grato occorre

Nel tempo giovanil, quando ancor lungo

La speme e breve ha la memoria il corso,

Il rimembrar delle passate cose,

Ancor che triste, e che l'affanno duri!

 

(da "Poesie e prose", Hoepli, Milano 1983, p. 36)

 

 

 

 

IL SABATO DEL VILLAGGIO

 

 La donzelletta vien dalla campagna,

In sul calar del sole,

Col suo fascio dell'erba; e reca in mano

Un mazzolin di rose e di viole,

Onde, siccome suole,

Ornare ella si appresta

Dimani, al dì di festa, il petto e il crine.

Siede con le vicine

Su la scala a filar la vecchierella,

Incontro là dove si perde il giorno;

E novellando vien del suo buon tempo,

Quando ai dì della festa ella si ornava,

Ed ancor sana e snella

Solea danzar la sera intra di quei

Ch'ebbe compagni dell'età più bella.

Già tutta l'aria imbruna,

Torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre

Giù da' colli e da' tetti,

Al biancheggiar della recente luna.

Or la squilla dà segno

Della festa che viene;

Ed a quel suon diresti

Che il cor si riconforta.

I fanciulli gridando

Su la piazzuola in frotta,

E qua e là saltando,

Fanno un lieto romore:

E intanto riede alla sua parca mensa,

Fischiando, il zappatore,

E seco pensa al dì del suo riposo.

 Poi quando intorno è spenta ogni altra face,

E tutto l'altro tace,

Odi il martel picchiare, odi la sega

Del legnaiuol, che veglia

Nella chiusa bottega alla lucerna,

E s'affretta, e s'adopra

Di fornir l'opra anzi il chiarir dell'alba.

 Questo di sette è il più gradito giorno,

Pien di speme e di gioia:

Diman tristezza e noia

Recheran l'ore, ed al travaglio usato

Ciascuno in suo pensier farà ritorno.

 Garzoncello scherzoso,

Cotesta età fiorita

È come un giorno d'allegrezza pieno,

Giorno chiaro, sereno,

Che precorre alla festa di tua vita.

Godi, fanciullo mio; stato soave,

Stagion lieta è cotesta.

Altro dirti non vo'; ma la tua festa

Ch'anco tardi a venir non ti sia grave.

 

(da "Poesie e prose", Hoepli, Milano 1983, pp. 65-66)



 

 

Gli anni della fanciullezza sono, nella memoria di ciascheduno, quasi i tempi favolosi della sua vita; come, nella memoria delle nazioni, i tempi favolosi sono quelli della fanciullezza delle medesime.

(da "Poesie e prose", Hoepli, Milano 1983, p. 582)

 



 

La mia filosofia, non solo non è conducente alla misantropia, come può parere a chi la guarda superficialmente, e come molti l'accusano; ma di sua natura esclude la misantropia, di sua natura tende a sanare, a spegnere quel mal umore, quell'odio, non sistematico, ma pur vero odio, che tanti e tanti, i quali non sono filosofi, e non vorrebbero esser chiamati né creduti misantropi, portano però cordialmente a' loro simili, sia abitualmente, sia in occasioni particolari, a causa del male che, giustamente o ingiustamente, essi, come tutti gli altri, ricevono dagli altri uomini. La mia filosofia fa rea d'ogni cosa la natura, e discolpando gli uomini totalmente, rivolge l'odio, o se non altro il lamento, a principio più alto, all'origine vera de' mali de' viventi.

 

(da "Poesie e prose", Hoepli, Milano 1983, p. 589)

 

 

 

 

 

 

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