Sarebbe del tutto
inutile aggiungere, in questo mio post, ulteriori, inutili parole alle tante,
ben più importanti, che sono state dedicate all'opera poetica di Giacomo
Leopardi. Per questo mi limiterò a sottolineare l'estrema importanza che ha
avuto, per me, la poesia leopardiana, conosciuta già sui banchi della scuola
media inferiore (che frequentavo nella seconda metà degli anni '70 del XX
secolo), e approfondita negli anni successivi, grazie a nuovi e diversi libri
scolastici. Quand'ero un adolescente timido, introverso e solitario, leggere
alcuni dei versi scritti da Giacomo Leopardi, mi aiutò non poco; fu, per me,
come scoprire un amico virtuale: un amico che mi ha preceduto di qualche
secolo, ma che ebbi la fortuna di conoscere e di sentire vicino, malgrado la
sua assenza. Devo anche aggiungere che grazie al Leopardi ho cominciato ad
amare questo tipo di arte; e devo ammettere che la poesia, in precedenza, non
mi attraeva più di tanto; proprio tramite la conoscenza dei migliori versi di
Giacomo Leopardi, ebbi modo di capire che, grazie alla poesia, era possibile
provare emozioni fortissime, scoprire che c'era un identico modo di pensare,
amare, soffrire e vivere, tra un essere umano vissuto nella prima parte del XIX
secolo e un altro (me stesso), che, non ancora maggiorenne, si era appena
incamminato verso l'ultimo ventennio del XX secolo. Scoprii, insomma, che la
poesia, la prosa e tutta l'arte in generale, hanno l'imparagonabile potere di
unire generazioni vissute in epoche lontane e diversissime. Tra le liriche dello
scrittore marchigiano che più mi piacquero ricordo Il sabato del villaggio, L'infinito,
Alla luna, Il passero solitario, La
quiete dopo la tempesta... Purtroppo, cogli anni, ho trascurato sempre di
più i versi di Leopardi, attirato da altri poeti italiani; ciò non toglie che
ancora oggi egli sia per me un poeta di fondamentale importanza.
Il mio omaggio a
questo scrittore immortale e dotato di un talento veramente eccezionale si
conclude con la trascrizione di tre suoi conosciutissimi capolavori, che poi
sono quelli che ho amato e tutt'ora amo di più, seguiti da due frammenti in prosa estratti rispettivamente dai Pensieri e dallo Zibaldone.
IL PASSERO
SOLITARIO
D'in su la vetta
della torre antica,
Passero
solitario, alla campagna
Cantando vai
finché non more il giorno;
Ed erra l'armonia
per questa valle.
Primavera
dintorno
Brilla nell'aria,
e per li campi esulta,
Sì ch'a mirarla
intenerisce il core.
Odi greggi belar,
muggire armenti;
Gli altri augelli
contenti, a gara insieme
Per lo libero
ciel fan mille giri,
Pur festeggiando
il lor tempo migliore:
Tu pensoso in
disparte il tutto miri;
Non compagni, non
voli,
Non ti cal
d'allegria, schivi gli spassi;
Canti, e così
trapassi
Dell'anno e di
tua vita il più bel fiore.
Ohimè, quanto
somiglia
Al tuo costume il
mio! Sollazzo e riso,
Della novella età
dolce famiglia,
E te german di
giovinezza, amore,
Sospiro acerbo
de' provetti giorni,
Non curo, io non
so come; anzi da loro
Quasi fuggo
lontano;
Quasi romito, e
strano
Al mio loco
natio,
Passo del viver
mio la primavera.
Questo giorno
ch'omai cede alla sera,
Festeggiar si
costuma al nostro borgo.
Odi per lo sereno
un suon di squilla,
Odi spesso un
tonar di ferree canne,
Che rimbomba
lontan di villa in villa.
Tutta vestita a
festa
La gioventù del
loco
Lascia le case, e
per le vie si spande;
E mira ed è
mirata, e in cor s'allegra.
Io solitario in
questa
Rimota parte alla
campagna uscendo,
Ogni diletto e
gioco
Indugio in altro
tempo: e intanto il guardo
Steso nell'aria
aprica
Mi fere il Sol
che tra lontani monti,
Dopo il giorno
sereno,
Cadendo si
dilegua, e par che dica
Che la beata
gioventù vien meno.
Tu, solingo
augellin, venuto a sera
Del viver che
daranno a te le stelle,
Certo del tuo
costume
Non ti dorrai;
che di natura è frutto
Ogni vostra
vaghezza.
A me, se di
vecchiezza
La detestata
soglia
Evitar non
impetro,
Quando muti
questi occhi all'altrui core,
E lor fia vòto il
mondo, e il dì futuro
Del dì presente
più noioso e tetro,
Che parrà di tal
voglia?
Che di quest'anni
miei? che di me stesso?
Ahi pentirommi, e
spesso,
Ma sconsolato,
volgerommi indietro.
(da "Poesie
e prose", Hoepli, Milano 1983, pp. 33-34)
ALLA LUNA
O graziosa luna,
io mi rammento
Che, or volge
l'anno, sovra questo colle
Io venia pien
d'angoscia a rimirarti:
E tu pendevi
allor su quella selva
Siccome or fai,
che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e
tremulo dal pianto
Che mi sorgea sul
ciglio, alle mie luci
Il tuo volto
apparia, che travagliosa
Era mia vita: ed
è, né cangia stile,
O mia diletta
luna. E pur mi giova
La ricordanza, e
il noverar l'etate
Del mio dolore.
Oh come grato occorre
Nel tempo
giovanil, quando ancor lungo
La speme e breve
ha la memoria il corso,
Il rimembrar
delle passate cose,
Ancor che triste,
e che l'affanno duri!
(da "Poesie
e prose", Hoepli, Milano 1983, p. 36)
IL SABATO DEL
VILLAGGIO
La donzelletta
vien dalla campagna,
In sul calar del
sole,
Col suo fascio
dell'erba; e reca in mano
Un mazzolin di
rose e di viole,
Onde, siccome
suole,
Ornare ella si
appresta
Dimani, al dì di
festa, il petto e il crine.
Siede con le
vicine
Su la scala a
filar la vecchierella,
Incontro là dove
si perde il giorno;
E novellando vien
del suo buon tempo,
Quando ai dì
della festa ella si ornava,
Ed ancor sana e
snella
Solea danzar la
sera intra di quei
Ch'ebbe compagni
dell'età più bella.
Già tutta l'aria
imbruna,
Torna azzurro il
sereno, e tornan l'ombre
Giù da' colli e
da' tetti,
Al biancheggiar
della recente luna.
Or la squilla dà
segno
Della festa che
viene;
Ed a quel suon
diresti
Che il cor si
riconforta.
I fanciulli
gridando
Su la piazzuola
in frotta,
E qua e là
saltando,
Fanno un lieto
romore:
E intanto riede
alla sua parca mensa,
Fischiando, il
zappatore,
E seco pensa al
dì del suo riposo.
Poi quando
intorno è spenta ogni altra face,
E tutto l'altro
tace,
Odi il martel
picchiare, odi la sega
Del legnaiuol,
che veglia
Nella chiusa
bottega alla lucerna,
E s'affretta, e
s'adopra
Di fornir l'opra
anzi il chiarir dell'alba.
Questo di sette è
il più gradito giorno,
Pien di speme e
di gioia:
Diman tristezza e
noia
Recheran l'ore,
ed al travaglio usato
Ciascuno in suo
pensier farà ritorno.
Garzoncello
scherzoso,
Cotesta età
fiorita
È come un giorno
d'allegrezza pieno,
Giorno chiaro,
sereno,
Che precorre alla
festa di tua vita.
Godi, fanciullo
mio; stato soave,
Stagion lieta è
cotesta.
Altro dirti non
vo'; ma la tua festa
Ch'anco tardi a
venir non ti sia grave.
(da "Poesie
e prose", Hoepli, Milano 1983, pp. 65-66)
(da "Poesie e prose", Hoepli, Milano 1983, p. 582)
La mia
filosofia, non solo non è conducente alla misantropia, come può parere a chi la
guarda superficialmente, e come molti l'accusano; ma di sua natura esclude la
misantropia, di sua natura tende a sanare, a spegnere quel mal umore,
quell'odio, non sistematico, ma pur vero odio, che tanti e tanti, i quali non
sono filosofi, e non vorrebbero esser chiamati né creduti misantropi, portano
però cordialmente a' loro simili, sia abitualmente, sia in occasioni
particolari, a causa del male che, giustamente o ingiustamente, essi, come
tutti gli altri, ricevono dagli altri uomini. La mia filosofia fa rea d'ogni
cosa la natura, e discolpando gli uomini totalmente, rivolge l'odio, o se non
altro il lamento, a principio più alto, all'origine vera de' mali de' viventi.
(da "Poesie
e prose", Hoepli, Milano 1983, p. 589)
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