Ecco dieci poesie
dedicate a dieci città europee. L'Europa, che è anche chiamata il "vecchio
continente", possiede un patrimonio inestimabile in quanto a bellezze naturali e monumentali; certamente la nazione italiana in questo preciso discorso ha
un'importanza fondamentale e imparagonabile, ma ci sono anche tanti altri
luoghi bellissimi e unici, al di fuori dei confini italici. Tra le città di cui
parlano questi versi, c'è Bruges: affascinante, misteriosa, mistica e resa
famosa da un celebre romanzo di Georges Rodenbach, nonché dai versi dei poeti
crepuscolari. C'è Varsavia: capitale polacca qui descritta con amore da Fernando
Bandini. C'è la stupenda Salisburgo: città austriaca che possiede un fascino
unico per la posizione in cui si trova e per la particolare bellezza che la contraddistingue.
C'è una breve poesia dedicata a Cadice: città spagnola dell'Andalusia che si
affaccia sul mare. C'è Malmö: città svedese tra le più industriali e moderne,
situata all'estremo sud della nazione scandinava. C'è Nizza: città francese che
si affaccia sull'ineguagliabile Costa Azzurra; e ci sono anche altre città
meravigliose come Praga, Londra, Amsterdam, Losanna... (in realtà ve ne sono
assai di più, ma questo mio post non
poteva rappresentarle tutte).
10 CITTÀ EUROPEE
IN 10 POESIE ITALIANE DEL XX SECOLO
VARSAVIA
di Fernando
Bandini (1931-2013)
A invisibili nevi
che svela
un incauto
tremore del giorno
si dirige
quest'oggi lo stupore dell'anima,
al segnale di
nevi che arriva
da remoti
confini, alla piccola
piazza di Zoli
Bosc
dove l'autunno ha
il colore
d'una fragile
patria, di foglie
ingiallite che
passi leggeri calpestano.
Poi non un segno
ma il vento del Nord,
ma la calda
dolcezza di case
dalle porte
serrate dove ronzano voci
di bambini e di
donne. Là il vento,
viandante che ha penne di sangue,
non bisbiglia
sugli usci che parole d'amore.
La pioggia che
schianta i telai
delle serre
inondando i giardini
rifluisce alla
Vistola oscura
così gonfia che
forse stanotte
nascerà un altro
fiume bambino.
E subito dopo la
neve cadrà
da spazi lontani,
la tenera
neve che lievita
il mondo,
e cadranno i
sorrisi e le amate speranze.
E cadranno gli
uomini forti
e le donne soavi
che tu
silenziosa
raggera dei giorni consoli.
(da "Tutte
le poesie", Mondadori, Milano 2018, p. 348)
SALZBURGER
Allegro - Andante
- Adagio
di Piero
Bigongiari (1914-1997)
Luna candida e
amara che riappari
come sull'Inn in
piena in cui i fanciulli
pescavano il
legname delle rive
per accendere il
fuoco quest'inverno,
svelandoti a
fatica dall'azzurra
bruma
dell'infinito, puntuale
riaccendi le pupille,
inebriata
di mondi...
A Salisburgo dal Mönchsberg
il faro che
scopriva i campanili
barocchi, a mezza
costa la fortezza
e le cupole verdi
di salnitro
quasi fredde
meduse trasparenti
col suo bacio
lontano, giù nell'alveo
che cercava delle
acque della Salzach?
La chiesa della
Santa Trinità
- sulla Makart
piovra di speranza -
nel planetario
era stella fissa...
Ora tu scendi,
luna ossia raggera
a cercare che
cosa, dilatata,
su boschive
penombre nel silenzio
il tuo lume di
cera già rappreso,
colmi il passo
dei buoi, scoppi nel seme
delle piagge
piagate, della rondine
sprechi l'occhio
furtiva nero e cupido
sotto l'ala nel
nido in cui s'è arreso:
piange il bimbo,
la sua voce decade
dalla finestra
nel cortile, io aspetto
nell'angolo del
tetto cupo in terra
mentre il gatto
nel tuo candore abbaglia
tra le botti e le
tese ragnatele.
(da "Stato
di cose", Mondadori, Milano 1968, pp. 251-252)
CADICE
di Vittorio
Bodini (1914-1970)
Una chitarra
piena
di sentinelle
morte,
una bianca
chitarra
fra le braccia del
muscoloso Atlantico.
E verso San
Fernando
i riflessi
rabbiosi che saltellavano
come pulci sulle
saline.
(da "Tutte
le poesie", Besa, Lecce 1997, p. 181)
MALMÖE
di Paolo Buzzi (1874-1956)
Terra di Svezia,
ti premo!
Ecco i navigli
che portano i
nomi dei Gustavi e degli Oscar:
ecco le bandiere
di Wasa e
Bernadotte che sbattono sugli alberi!
La landa vasta
cerulea corre
segnata di lente
ruote di mulini.
Il mare rifugge
delle danesi
coste al bacio.
Solo i cannoni
dei secoli si puntano
l'un contro
l'altro fissi
traverso lo
spazio d'aria e d'acqua.
Luccica il suolo
delle vie
come argento
polito,
le belle donne,
pallide
dai piedi ai
capegli, si bagnano
pubbliche, in
faccia agli uomini.
E per le vie
nitide, vestite da Nore, non guardano,
con gli occhi
azzurri, che linee d'atmosfere lontane.
La primavera
eterna dei gerani
fiorisce alle
finestre
tutte retinate di
vetri.
Nelle Colonie,
poco fuori il dedalo urbano,
un'altra città di
giocattoli si colora.
Ogni anima civica
reclusa
trova i suoi
fiori e i suoi trastulli verdi.
Tutto è bambino,
fin il sorriso
dei vecchi sulla
soglia al cimitero.
Un grappolo di
campane
fa melodia di
carnagione sulla torre.
Il vento del mare
m'affama.
Mi perdo in una
taverna di fiocinieri
a combatter
nostalgie di risotti e maccheroni
con scorpacciate
di storione e di caviale.
(da "Versi
liberi", Treves, Milano 1913, pp. 229-230)
NIZZA
di Giorgio Del
Vecchio (1878-1970)
Invano, o Nizza,
il figlio tuo più prode
Con fiera voce
protestò la pura
Tua fede contro
la cession spergiura,
Patteggiata te ignara
ed in tua frode.
Invan; si estorse
a te la finta abiura,
E 'l vessillo,
onde invitta eri custode,
Così fu tolto a
le tue dolci prode
E del castello a
l'indomata altura.
Ma lo spirito non
muor, né si cancella,
Pur se ti pesi il
novo fato amaro,
L'impronta di tua
schiatta e tua favella.
Non si prescrive,
né si fa men chiaro
Il dritto che
natura in te suggella,
Poi che ad Italia
diè confine il Varo.
(da
"Poesie", Editrice Mediterranea, Roma 1953, p. 33)
LOSANNA
di Idilio
Dell'Era (pseud. di Martino Ceccuzzi, 1904-1988)
Losanna, del tuo
cielo confidente
e del florido
lago mi rammento
e dell'Alpi
remote
in un fiorir di
rose.
recano i cigni
sul lunato petto
l'ansia del
giorno ed il sospeso addio
nell'ombra
obliqua di un aguzzo tetto.
San Francesco
ripenso e le campane
di Nostra Donna
in cui vibra l'accento
di contrade
italiane,
i dì di festa,
le selve dei
ciliegi, il gabbianello
ed il suo grigio
volo
sul ciglio
d'acque addormentate.
(da "Liriche
dal Canton Ticino", Cantagalli, Siena 2011, p. 148)
DA PRAGA
di Franco Fortini (1917-1994)
Luna e castello,
quando l’estate finì,
i bei giardini
sottili di anime
divideteli al
cigolo del vento.
Ritornano alle
case i buoni cittadini
prima che l’ora
di notte tintinni.
Gli elementi
lavorano, il disegno
si compie, dei
cristalli, o si disgrega.
L’essenziale è
questo mutamento
che non fa male o
appena
riga i visi che
ai vetri
fissano il fiume
veloce,
spengono i sigari
e sui corpi avanzano.
Resiste qualcuno
più a lungo, per anni, di più
durevole creta
creato; altri ancora
offre, non sazio
ancora, la fresca fronte e il sangue.
Tu, chi vuoi ti
conosca più, ti ha roso
il vento di
vecchie cause, parabole, ipotesi,
polvere, pause,
foglie.
Stacca e affina
le scaglie che ti compongono.
Verso altre
argille, facies camusa.
(da "Tutte
le poesie", Mondadori, milano 2015, p. 274)
BRUGES
di Lorenzo Giusso (1900-1957)
Sospiran dietro
linde infermerie
beghine rarefatte
da clorosi,
e le campane in
tocchi lamentosi
scandiscono
sussulti d'agonie.
Nelle chiese
sanguigne apparizioni
fanno i Cristi
balzanti dai sudari
e passan fra i
sepolcri lapidari
teorie di spettri
in lente processioni.
Il sole che
boccheggia sopra gli orti,
somiglia una
reliquia d'oro spento.
Un pioppo le sue
rame scheletrite
protende sui
canali d'antracite.
Ed un battello
afoso e sonnolento
aspetta immoto un
carico di morti.
(da "Musica
in piazza", Editrice Tirrena, Napoli 1930, p. 55)
LONDRA
di Camillo
Pennati (1931-2016)
Gira lenta la
ventola sui tetti.
Il tempo è
coperto dal solito grigio
che pare quasi
sereno. Dai vetri
alle finestre più
d'una crocifissione
accompagna al
giardino, in basso
ad una strada, al
retro d'una casa
come a un pozzo
che ripeterà per sempre
e solo il
sentimento del segreto
che non sale
nella luce del pensiero.
Il paese è
straniero, il cuore
una prigione di
battiti che scontrano
coi suoni
sconosciuti d'altre parole
e appena un
meridiano non il male
rende sordomuti
dentro l'anima,
muore la parola
che nasceva dalla strada.
Palombaro di me
stesso.
Forse in questo
istante
seguire radici
più fonde. Trovare
l'amore più
antico che non rechi
prigioniero ciò
che reca delle cose
e del prossimo e
noi
alle cose, al
prossimo ugualmente.
Avere l'anima
d'un fiume.
Forse questo
impedisce d'affondare.
(da
"L'ordine delle parole", Mondadori, Milano 1964, pp. 15-16)
AMSTERDAM
di Vittorio
Sereni (1913-1983)
A portarmi fu il
caso tra le nove
e le dieci d'una
domenica mattina
svoltando a un
ponte, uno dei tanti, a destra
lungo il semigelo
d'un canale. E non
"questa è la
casa", ma soltanto
- mille volte già
vista -
sul cartello
dimesso: «Casa di Anna Frank».
Disse più tardi
il mio compagno: quella
di Anna Frank non
dev'essere, non è
privilegiata
memoria. Ce ne furono tanti
che crollarono
per sola fame
senza il tempo di
scriverlo.
Lei, è vero, lo
scrisse.
Ma a ogni svolta
a ogni ponte lungo ogni canale
continuavo a
cercarla senza trovarla più
ritrovandola
sempre.
Per questo è una
e insondabile Amsterdam
nei suoi tre
quattro variabili elementi
che fonde in
tante unità ricorrenti, nei suoi
tre quattro
fradici o acerbi colori
che quanto è
grande il suo spazio perpetua,
anima che
s'irraggia ferma e limpida
su migliaia
d'altri volti, germe
dovunque e
germoglio di Anna Frank.
Per questo è sui
suoi canali vertiginosa Amsterdam.
(da "Gli
strumenti umani", Einaudi, Torino 1995, p. 74)
Jacques François Carabain, "Weeshuis in Leiden" (da questa pagina web) |
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