Poesie vecchie e nuove è il titolo di un libro di poesie
di Diego Valeri, che fu pubblicato per la prima volta nel 1930 presso la
Mondadori di Milano. Il poeta veneto raccolse in questo volume, come si evince
dal titolo, sue liriche già presenti in vecchie raccolte insieme ad altre più
recenti, magari pubblicate già su riviste ma mai in volume. Sempre Valeri, dopo
l'uscita di quest'opera poetica, volle che fosse considerata la sua
"prima", quasi a voler rinnegare le altre. Dopo alcune ristampe, nel
1952 vide la luce la quarta e definitiva edizione di questo libro in cui
risultano escluse alcune liriche presenti nell'edizione del 1930, a conferma
della costante tendenza di Valeri a sfrondare e scremare la sua produzione in
versi, anche, secondo me, in maniera troppo severa. Da sottolineare poi il
fatto che, molte delle poesie meno recenti "salvate" da Valeri, in
questa ristampa non compaiono nella stesura originale, ma risultano tagliate
più o meno drasticamente. L'edizione definitiva, appartenente alla collana
mondadoriana dello Specchio, è composta
di 128 pagine e di 64 poesie; quest'ultime sono divise nelle seguenti due
sezioni: PRIMO TEMPO (... - 1919) e SECONDO TEMPO (1920-1930); esiste poi
un'altra raccolta di Valeri: Terzo tempo,
che uscì nel 1950 grazie alla Mondadori, e, secondo un progetto piuttosto
evidente, avrebbe dovuto completare i tempi poetici dello scrittore italiano;
sennonché Valeri continuò ancora per molti anni a comporre dei versi, per
questo motivo pubblicò altri volumi riepilogativi della sua opera poetica
(l'ultimo dei quali è Poesie, la cui
definitiva edizione uscì nel 1964). Di liriche belle e interessanti questo
libro ne contiene un cospicuo numero, tra le altre citerei per quel che
riguarda la prima sezione: Foglie, giù
foglie; Solo; Alba; Rondini; Serenata per la
bambola; Il piccolo pastore. Per
la seconda sezione: Sereno; Ottobre a Venezia e Riva di pena, canale d'oblio. Di quelle che ho appena citato ne
riporto di seguito tre.
FOGLIE, GIÙ FOGLIE...
Foglie, giù
foglie nella lenta pioggia
di questa dolce
disperata sera!
Foglie, giù
foglie: grandi pese fracide
foglie
d'ippocastano, e verdi e lievi
e trepide
fogliette di robinia;
giù, per l'albore
freddo dei lampioni,
giù, sul lucido
asfalto della via...
E noi due si
cammina si cammina,
senza parlare,
l'uno accanto all'altra,
portando in cuore
faticosamente
la stessa soma di
malinconia.
Foglie, giù
foglie. E c'è forse qualcosa
che muore intanto
nella nostra vita,
che così muore, e
non vuole morire.
SOLO
Io non ho fiori
da versar sul folto
tappeto di
trifoglio e di gramigna
che veste la tua
fossa; io non ho quasi
neppur lagrime
più da lagrimare
sul tuo povero
cuore seppellito
qui, sotto questa
terra. Solamente,
io mi guardo, io
mi cerco in fondo all'anima,
per veder te, per
ritrovare il tuo
viso sfiorito di
malata, e il riso
pallido dei tuoi
dolci occhi di pianto,
e i tuoi capelli
bianchi ancòra sparsi
di qualche ciocca
bionda, e le tue mani
di mamma
bruciacchiate al focolare.
Invano, mamma.
Non ti trovo più
nel mio profondo;
e sono tutto solo,
pur così presso a
te, con te, nel calmo
cimitero, tra i
marmi ed i rosai;
solo nella
dolcezza stupefatta
di questo
pomeriggio azzurro e bianco;
solo nel gran
silenzio, in cui non odo
che un fruscio di
lucertola tra l'erba
e il soffio d'una
rosa che si sfa.
RIVA DI PENA,
CANALE D'OBLIO...
Ora è la grande
ombra d'autunno:
la fredda sera
improvvisa calata
da tutto il cielo
fumido oscuro
sull'acqua
spenta, la pietra malata.
Ora è l'angoscia
dei lumi radi,
gialli, sperduti
per il nebbione,
l'uno dall'altro
staccati, lontani,
chiuso ciascuno
nel proprio alone.
Riva di pena,
canale d'oblio...
Non una voce
dentro il cuor morto.
Solo quegli urli
straziati d'addio
dei bastimenti
che lasciano il porto.
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