La vita mi
demolisce pezzo a pezzo,
a colpi di
piccone mi sgretola.
Intacca un blocco
della facciata,
un muro maestro
va giù nella polvere;
si spalancano
cantine
piene di
ragnatele.
Sento la mia
decadenza,
vedo la prossima
fine.
Questa
breve poesia è di Giorgio Vigolo (Roma 1894 - ivi 1983), e fa parte della raccolta Linea della vita (Mondadori, Milano
1949); la si può leggere alla pagina 124, all'interno della sezione intitolata Amico di Caronte. Sono otto versi in cui
il poeta romano confessa la sua sofferenza causata da un'esistenza più che mai
difficile, paragonata - con grande maestria e originalità - alle mura di un
vecchio edificio che subiscono continuamente dei colpi da un piccone, e che
quindi si sgretolano un po' alla volta. Proprio come i muri ormai logori di una
casa antica, l'uomo si sente, col passare degli anni, intaccato e corroso; le
difficoltà che si accumulano lungo il percorso dell'esistenza, non fanno altro
che abbattere a poco a poco le fondamenta di quella casa che in realtà è il
poeta stesso, invecchiato, disilluso e indebolito; esso si accorge della
propria decadenza e intravede la prossima fine, ovvero la morte, con un
realismo scabro, senza margini di speranza o d'illusione.
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