Riporto di
seguito l'incipit del bellissimo romanzo Conversazione
in Sicilia, di Elio Vittorini (Siracusa 1908 - Milano 1966). Il libro da cui ho tratto questo frammento fu
pubblicato per la prima volta quando in Italia imperversava una dittatura. La
storia raccontata dallo scrittore siciliano può essere sintetizzata in un
viaggio che fa il protagonista verso la terra natale, in cui incontra una serie
di personaggi simbolici e reali, coi quali dialoga e discute; giunto in
Sicilia, trova la madre che si è separata dal marito, e con lei soggiorna per
un periodo, seguendola nei suoi spostamenti per lavoro e ragionandovi su vari
argomenti, fino al momento della partenza, preceduta da un'altra serie
d'incontri e di eventi enigmatici.
In questo
frammento, viene messo in primo piano lo stato d'animo del protagonista, che sta
vivendo all'interno di un paese dove si è installata da tempo una dittatura per
lui insopportabile; col passare degli anni, la sua ribellione verso la tirannia
presente si è mutata in totale non-speranza, che ha trasformato i suoi comportamenti
sociali, portandolo ad un mutismo forzato, dovuto alla impossibilità di
dichiarare le proprie opinioni, evidentemente non gradite al potere. La sua
vita si è ridotta così in una triste serie di azioni quotidiane,
automatiche, e alla rinuncia di qualsiasi slancio vitale, a favore di un'apatia
obbligatoria, per chi, come lui, amava sentirsi libero di proclamare
pubblicamente le sue idee, sebbene minoritarie e avverse ai più.
Mi pare opportuno
rileggere questo brano letterario, poiché ho la sensazione di essere in un periodo
che anticipi nuove dittature; questo sovranismo, così anacronistico, basato su
un egoismo senza confini e su un razzismo che non ha precedenti, spietato e
dietro al quale si nasconde il più sinistro nazionalismo (causa dell'ultima
sanguinosa guerra che ha coinvolto l'Europa intera) sta dilagando, e non so
sinceramente dove ci porterà. Naturalmente spero di avere una sensazione
sbagliata, e che le mie elucubrazioni siano dettate, una volta di più, soltanto da un pessimismo spiccato.
Io ero,
quell'inverno, in preda ad astratti furori. Non dirò quali, non di questo mi
son messo a raccontare. Ma bisogna dica ch'erano astratti, non eroici, non
vivi; furori, in qualche modo, per il genere umano perduto. Da molto tempo
questo, ed ero col capo chino. Vedevo manifesti di giornali squillanti e
chinavo il capo; vedevo amici, per un'ora, due ore, e stavo con loro senza dire
una parola, chinavo il capo; e avevo una ragazza o moglie che mi aspettava ma
neanche con lei dicevo una parola, anche con lei chinavo il capo. Pioveva
intanto e passavano i giorni, i mesi, e io avevo le scarpe rotte, l'acqua che
mi entrava nelle scarpe, e non vi era più altro che questo: pioggia, massacri
sui manifesti dei giornali, e acqua nelle mie scarpe rotte, muti amici, la vita
in me come un sordo sogno, e non speranza, quiete.
Questo era il
terribile: la quiete nella non speranza. Credere il genere umano perduto e non
aver febbre di fare qualcosa in contrario, voglia di perdermi, ad esempio, con
lui. Ero agitato da astratti furori, non nel sangue, ed ero quieto, non avevo
voglia di nulla.
(da
"Conversazione in Sicilia" di Elio Vittorini, Rizzoli, Milano 1994)
Nessun commento:
Posta un commento