Mi sembra opportuno
iniziare parlando dell'inquietante e affascinante serie dei mari descritta da
Palazzeschi nella sezione Marine
della raccolta Poemi; le quattro
poesie, dai connotati fortemente simbolici, parlano di acque all'apparenza
colorate - e ogni colore ha un significato preciso - quasi tutte popolate da
esseri umani o animali (fa eccezione il Mar
grigio); anche le forme di questi mari misteriosi, soltanto in due casi ben
delineate, hanno uno specifico significato che il lettore può tentar di
scoprire, ma che l'autore dei versi non chiarisce. Passando alle altre poesie,
non sono pochi i versi che pongono il mare quale emblema di morte o di
sciagura; per esempio Oxilia, guardando il mare da una spiaggia durante una
giornata ventosa, si lascia andare a una serie di immagini tetre, sinistre e
presaghe di morte: Ciuffi di paglia,
foglie morte, alighe verdi, / si cullano nel vasto ondeggiamento bieco. /
[...] Canta il male il suo carme bianco
alle nubi ignave, / sibila, striscia, snodasi l'onda e addita il cammino. / /
Canta il male anche in me. Sotto lo squallido cielo / il mio stendardo fluttua
nella fatale via. Baccelli, addirittura, immagina la morte del mare: Dal freddo cristallo de l'onde / Nel limpido
lume di gelo, / Che sta senza raggi nel cielo, / Il vivido Genio del mare, /
Che giovane eterno fu detto, / Spirò come un'anima umana. / Or sola nei liquidi
abissi / La Morte è sovrana. Ma anche Giribaldi e Valeri descrivono le
acque marine in modo negativo: durante la notte, sentono entrambi scaturire
dalle onde un pianto misterioso, e il primo dei due, successivamente si trova
davanti una scena terrificante: [...] Ma
queste lùgubri fanfare / su ne' boschi di olivi? E un grido ed una / minaccia!
E il mar di latte! Non v'è alcuna / pietà. Su l'acque navigano bare.
Similmente, il Pascoli, guardando il mare in una serena giornata estiva,
dapprima scorge la rasserenante forma di un tempio bianco, poi, quest'ultimo
scompare, e al suo posto ecco apparire due barche nere, somiglianti a due bare:
Due barche stanno immobilmente nere, /
due barche in panna in mezzo all’infinito. / / E le due barche sembrano due
bare / smarrite in mezzo all’infinito mare. Anche Gigli, tratteggiando un
paesaggio marino immobile e rattratto, osserva un barca nera che si allontana
fino a scomparire. Sempre in un ambito negativo, s'inseriscono i versi del
Graf, che immagina la propria anima come un
mare / Vasto, profondo, senza suon, senz’ira; / Si stende il flutto quanto
l’occhio gira, / Né terra alcuna all’orizzonte appare. E l'abisso di questo
mare interiore nasconde un "perduto mondo" fatto di Città sommerse, inabissate prore, / Inutili
tesor buttati al fondo, / Tutta una infinità di cose morte. Anche Foà parla
di un Mare interiore che ogni essere
umano possiede: un fremente mare / senza
pace, con neri / abissi turbinosi.
Sull'altro versante,
poeti come Anile e Varaldo, pongono in risalto la bellezza del mare guardato
con estasiati occhi, durante una notte estiva e serena, con le stelle che si
riflettono sulla sua superficie, creando un'immagine incantata, fuori del
mondo: Dagli abissi del cielo a quei del mare / un'immensa armonia sale e
discende, / un'armonia di note luminose. / / Nell'alta notte appena uno
sciamare / dolcissimo di sogni l'aria fende; / ed attonite ascoltano le cose (Anile). Passando al giorno, e prendendo in
esame i versi di Giovanni Cena, in un'atmosfera e in un clima ultraterreno, si
assiste ad una miracolosa apparizione: Vagano
lungo i lucidi lavacri / grandi e misteriosi esseri alati: / vaporan l'acque
nebulosi veli. / / Levansi da la terra simulacri / diafani pei cieli
immacolati, / feminei visi su viventi steli. Paesaggi marini incantati sono
decritti anche dal D'Annunzio e dalla Giaconi. Nel sonetto intitolato Tentazione, di Francesco Cazzamini
Mussi, il mare, anche con il determinante contributo di esseri mitologici che
lo popolano, diviene una sorta di calamita che attrae il povero poeta e lo
trascina nelle profondità più recondite, dove troverà il sonno eterno. Infine,
Luigi Gualdo, nella prima delle due poesie che portano il titolo di Marina, inizia parlando di una
ingannevole e sinistra calma che regna nelle acque marine da lui osservate con
estremo sospetto; infatti, questa piattezza è in realtà presaga di ben altri
eventi, visto che in breve tempo sul mare si scatena una tempesta così
terribile da sembrare una vera e propria battaglia.
Poesie sull'argomento
Antonino Anile:
"Notte sul mare" in "I Sonetti dell'Anima" (1907).
Alfredo Baccelli:
"La morte del mare" in "Poesie" (1929).
Enrico Cavacchioli:
"Sonetti del mare" in "Le ranocchie turchine" (1909).
Francesco Cazzamini
Mussi: "Tentazione" in "I Canti dell'adolescenza
(1904-1907)" (1908).
Giovanni Cena:
"Paesaggio" in "In umbra" (1899).
Ettore Cozzani:
"Congedo" in "Poemetti notturni" (1920).
Girolamo Comi:
"Cantico del Mare" in "Cantico dell'Argilla e del Sangue"
(1933).
Gabriele D'Annunzio:
"Romanza" in "L'Isotteo. La Chimera" (1890).
Arturo Foa: "Il
mare interiore" in "Le vie dell'anima" (1912).
Luisa Giaconi:
"Le visioni del mare" in «Il Marzocco», gennaio 1897.
Giulio Gianelli:
"Notturno marino" in «Il Momento», dicembre 1910.
Giacomo Gigli:
"Calma tragica" in "Maggiolata" (1904).
Cosimo Giorgieri
Contri: "Sul mare" in "La donna del velo" (1905).
Alessandro Giribaldi:
"Notturno" in "I Canti del Prigioniero" (1940).
Arturo Graf:
"Marina" in "Medusa" (1990).
Luigi Gualdo:
"Marina" (2 poesie) in "Le Nostalgie" (1883).
Tito Marrone:
"Nostalgia del mare" in "Liriche" (1904).
Pietro Mastri:
"Vele sospese" in "La Meridiana" (1920).
Nino Oxilia: "S'increspano l'acque del mare..."
in "Canti brevi" (1909).
Aldo Palazzeschi:
"Mar Rosso", "Mar Giallo", "Mar Bianco" e "Mar
Grigio" in "Poemi" (1909).
Giovanni Pascoli:
"Mare" e "Dalla spiaggia" in "Myricae" (1900).
Giacinto Ricci
Signorini: "Sulla spiaggia di Rimini" in "Poesie e prose"
(1903).
Guido Ruberti:
"Marina" in "Le fiaccole" (1905).
Fausto Salvatori,
"Serenata" in "In ombra d'amore" (1929).
Emanuele Sella:
"Discors antiphona" in "L'Ospite della Sera" (1922).
Alberto Tarchiani:
"Alle fonti di un perenne desiderio" in "Piccolo libro
inutile" (1906).
Domenico Tumiati,
"Portovenere" in "Liriche" (1937)
Diego Valeri:
"Mare notturno" in "Ariele" (1924).
Alessandro Varaldo:
"E sempre queto si distende il mare"
in "Marine liguri" (1898).
Remigio Zena:
"La barca" in "Le Pellegrine" (1894).
Testi
MARE NOTTURNO
di Diego Valeri
Sotto un sinistro
albor di luna scema,
flutti senza
splendore e senza canto
vengono a soffocar
dentro la rena
uno smanioso bisogno
di pianto.
Come nel sogno: è un
pianto senza posa
che tenta - onda che
viene, onda che va -
la riviera d'oblio
silenziosa;
e il cuore che lo
piange non lo sa.
(da
"Ariele")
E SEMPRE QUETO SI DISTENDE IL MARE
di Alessandro Varlado
E sempre queto si
distende il mare
ne la serena
splendida nottata.
Sembra che il grande
amor plenilunare
spieghi gl'incanti
d'un'età fatata.
Non una nube
minacciosa appare
a l'orizzonte e su la
gran spianata
non una vela. Si
distende il mare
tranquillo ne la
splendida nottata.
E la goletta sta
silenziosa
nel supremo silenzio
e s'addormenta
sognando forse le
marine lotte.
Né pure la canzone
misteriosa
del marinaio vola
lenta lenta
verso la patria ne la
queta notte.
(da "Marine
liguri")
Georges Lacombe, "La mer jaune" (da questa pagina web) |
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