Claudio Damiani è
un poeta italiano che, volendolo inserire in un secolo, può benissimo rientrare
fra le ultime generazioni del Novecento. Io lo conobbi grazie ad una ottima e
preziosa antologia di cui ho già parlato in un altro post: Nuovi poeti italiani contemporanei (a cura di Roberto Galaverni,
Guaraldi, Rimini 1996). Le poche poesie selezionate dal curatore, mi colpirono
per l'estrema semplicità e la disarmante bellezza che sapevano trasmettere al
lettore; tanto più a me che, parlando di poesia, ho sempre preferito i versi in
cui non comparissero troppi artifici e inutili sperimentazioni. Ciò che
eccelle, nella poesia di Damiani, come spiega magistralmente Roberto Galaverni
nella sua presentazione nella detta antologia, è l'assenza totale di componenti
intellettuali, a favore di una spontaneità palpabile e di una semplicità
estrema. Damiani ama descrivere la bellezza della natura che lo circonda,
l'amore, gli affetti familiari, gli animali e i migliori ricordi di un passato
personale più o meno recente; nel contempo, sebbene in modo saltuario, non
esita a confessare i suoi timori, le sue sensazioni negative, che, però,
risultano attenuate, quasi addolcite da parole e pensieri privi di qualsivoglia
crudezza. Ho notato che più di qualcuno ha provato ad avvicinare la poesia di
Damiani a quella dei grandi del passato, paragonandolo, seppure parzialmente, a
Petrarca, ai poeti dell'Arcadia, a Pascoli ed a Saba; in verità, a me sembra
che il poeta pugliese non debba niente a nessuno di costoro, e che i suoi versi
posseggano un'originalità indiscutibile e quindi siano imparagonabili. Devo
infine precisare che io conosco bene soltanto una parte dell'opera poetica di
Damiani: quella che va dalla prima raccolta: Fraturno (1987) a Eroi
(2000). Per quanto riguarda Il resto, mi è successo di leggere qualcosa che
comunque conferma in pieno l'ottima impressione avuta fin da quando lessi le
prime poesie. Chiudo riportando una splendida lirica tratta dalla raccolta La miniera, del 1997, che è anche il
primo libro di Damiani che acquistai.
Che bello che
questo tempo
è come tutti gli
altri tempi,
che io scrivo
poesie
come sempre sono
state scritte,
che questa gatta
davanti a me si sta lavando
e scorre il suo
tempo,
nonostante sia
sola, quasi sempre sola nella casa,
pure fa tutte le
cose e non dimentica niente
- ora si è
sdraiata ad esempio e si guarda intorno -
e scorre il suo
tempo.
Che bello che
questo tempo, come ogni tempo, finirà,
che bello che non
siamo eterni,
che non siamo
diversi
da nessun altro
che è vissuto e che è morto,
che è entrato
nella morte calmo
come su un
sentiero che prima sembrava difficile, erto
e poi, invece,
era piano.
(da "La
miniera", Fazi, Roma 1997, p. 73)
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