martedì 29 gennaio 2019

I leoni


Urlavano i leoni nella notte,
gonfiavano nel buio, dardeggiavano
l'ugola in fiamme al fanciullo atterrito.
Di sotto al vecchio armadio, d'improvviso
si stendeva la zampa imperiosa,
si stirava, graffiava l'impiantito.

Venne un giorno, scomparvero i leoni.
Non c'erano
alla stazione di Sovilla, sotto
le nuvole ronzanti, s'anche uscivano
dal gioco scomparendo
nel grano verde e i compagni, se presso
volavano i rametti al doppio colpo
lassù, dell'arboreo cecchino. 
                                         Non c'erano
più tardi,
nella città divampante, nei laghi
di fosforo, a filo
della pistola, nella gabbia cieca
del prigioniero.

                      Oggi che l'ombre
della sera s'infoltano, qualcosa
nel buio si rimuove, silenziosi
dall'infanzia ritornano i leoni?
Ah, ch'io più non ne tremi, ch'io con fermo
cuore m'avvii, ridiscenda
sulla soglia, a incontrarli.





 Questa bellissima poesia di Sergio Solmi (Rieti 1899 - Milano 1981) si trova nel Volume I (Poesie, meditazioni e ricordi), tomo primo (Poesie e versioni poetiche) delle Opere dello scrittore laziale che la casa editrice Adelphi di Milano pubblicò nel 1983. La si può leggere alla pagina 71, all'interno della sezione Dal balcone. Venne pubblicata per la prima volta in Poesie complete: altro libro edito da Adelphi nel 1974, che è anche il primo in cui sono presenti tutte le poesie che Solmi aveva pubblicato entro quel preciso anno. In calce alla lirica è riportata la data del 1957.
Si parla di leoni, ovvero dei famigerati felini africani, che qui divengono simbolo di inaudita violenza, di ferocia e di terrore. Il poeta ricorda che, nella sua ormai lontana infanzia, rimaneva atterrito - urlando a squarciagola - al pensiero o forse all'incubo della presenza di leoni nella sua stanza, o meglio nei pressi della sua stanza (precisamente dietro l'armadio), che si provavano a far cadere quell'ultimo ostacolo rimasto tra loro e il povero bambino per, presumibilmente, divorarlo. Poi, dice Solmi, con l'andare degli anni, quell'orribile visione scomparve, e non si presentò più malgrado le terrificanti e sconvolgenti vicende che coinvolsero in prima persona il poeta italiano, e che furono le due guerre mondiali (nella seconda Solmi fu imprigionato per un periodo al San Vittore di Milano e rischiò seriamente di essere giustiziato). Ma alla soglia della vecchiaia, ecco che qualcosa di loro sembra stia per ricomparire all'uomo ormai avvezzo a qualunque tipo di situazione estrema. Però ora, il poeta cerca di non lasciarsi andare alla paura cieca, ma, nel caso in cui li dovesse incontrare, si ripromette di rimanere calmo e di accoglierli senza timore. Chiaro, negli ultimi versi, l'auto proponimento di Solmi ad affrontare l'arrivo di una sempre più probabile morte senza crearsi troppi problemi e, soprattutto, senza averne alcun terrore.
Mi sembra giusto ricordare che, un altro poeta laziale: Giorgio Vigolo, nella raccolta Linea della vita (Mondadori, Milano 1948), aveva pubblicato una poesia dallo stesso titolo in cui i felini venivano a rappresentare una sorta di energia - più mentale che fisica - repressa all'interno del corpo del poeta. Memorabile è poi il ricorrente sogno dei leoni sulla spiaggia, del pescatore, protagonista del celeberrimo romanzo di Ernest Hemingway: Il vecchio e il mare, dove però i felini sono descritti in atteggiamenti rilassati e pacifici.  

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