Urlavano i leoni
nella notte,
gonfiavano nel
buio, dardeggiavano
l'ugola in fiamme
al fanciullo atterrito.
Di sotto al
vecchio armadio, d'improvviso
si stendeva la
zampa imperiosa,
si stirava,
graffiava l'impiantito.
Venne un giorno,
scomparvero i leoni.
Non c'erano
alla stazione di
Sovilla, sotto
le nuvole
ronzanti, s'anche uscivano
dal gioco
scomparendo
nel grano verde e
i compagni, se presso
volavano i
rametti al doppio colpo
lassù,
dell'arboreo cecchino.
Non c'erano
Non c'erano
più tardi,
nella città
divampante, nei laghi
di fosforo, a
filo
della pistola,
nella gabbia cieca
del prigioniero.
Oggi che l'ombre
della sera
s'infoltano, qualcosa
nel buio si
rimuove, silenziosi
dall'infanzia
ritornano i leoni?
Ah, ch'io più non
ne tremi, ch'io con fermo
cuore m'avvii,
ridiscenda
sulla soglia, a
incontrarli.
Si parla di
leoni, ovvero dei famigerati felini africani, che qui divengono simbolo di
inaudita violenza, di ferocia e di terrore. Il poeta ricorda che, nella sua
ormai lontana infanzia, rimaneva atterrito - urlando a squarciagola - al
pensiero o forse all'incubo della presenza di leoni nella sua stanza, o meglio
nei pressi della sua stanza (precisamente dietro l'armadio), che si provavano a
far cadere quell'ultimo ostacolo rimasto tra loro e il povero bambino per,
presumibilmente, divorarlo. Poi, dice Solmi, con l'andare degli anni,
quell'orribile visione scomparve, e non si presentò più malgrado le
terrificanti e sconvolgenti vicende che coinvolsero in prima persona il poeta
italiano, e che furono le due guerre mondiali (nella seconda Solmi fu
imprigionato per un periodo al San Vittore di Milano e rischiò seriamente di
essere giustiziato). Ma alla soglia della vecchiaia, ecco che qualcosa di loro
sembra stia per ricomparire all'uomo ormai avvezzo a qualunque tipo di
situazione estrema. Però ora, il poeta cerca di non lasciarsi andare alla paura
cieca, ma, nel caso in cui li dovesse incontrare, si ripromette di rimanere
calmo e di accoglierli senza timore. Chiaro, negli ultimi versi, l'auto
proponimento di Solmi ad affrontare l'arrivo di una sempre più probabile morte
senza crearsi troppi problemi e, soprattutto, senza averne alcun terrore.
Mi sembra giusto
ricordare che, un altro poeta laziale: Giorgio Vigolo, nella raccolta Linea della vita (Mondadori, Milano
1948), aveva pubblicato una poesia dallo stesso titolo in cui i felini venivano
a rappresentare una sorta di energia - più mentale che fisica - repressa
all'interno del corpo del poeta. Memorabile è poi il ricorrente sogno dei leoni
sulla spiaggia, del pescatore, protagonista del celeberrimo romanzo di Ernest
Hemingway: Il vecchio e il mare, dove
però i felini sono descritti in atteggiamenti rilassati e pacifici.
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