Come ho già detto
in un post che ho pubblicato appena ieri in un altro blog, ribadisco l'estrema
importanza del presepe nella festa del Natale; esso, simboleggia in modo
incomparabile la nascita di Gesù, ed è il solo oggetto - o meglio, il solo
compendio di oggetti - che possa rappresentare la festa cristiana più famosa
del mondo. Qui ho scelto dieci poesie di autori italiani, cercandole tra quelle
meno note, presenti nei volumi di versi e nelle riviste del secolo passato; molte di esse sono sconosciute e quasi introvabili. Mi sembrava giusto e
opportuno fissare l'attenzione solo e soltanto sul presepe e quindi sul
versante religioso del Natale (che è anche l'unico versante plausibile), in
tempi in cui la celebrazione è divenuta qualcosa che non ha nulla a che vedere
con l'evento della Natività di Gesù, né c'è alcuna speranza che possa mutare.
Buona lettura e buon Natale.
IL PRESEPIO DI
GRECCIO
di Graziella
Ajmone (1912-1993)
Salgono i frati,
vien dalla vallata
la buona gente
nella notte fonda.
Fiaccole e lumi
segnano i sentieri
e l'aria è immota
sotto lo stellato.
Culla la valle
suono di campane.
Lieve è il
cammino; vanno i passeggeri
recando ognuno un
cuore di bambino
colmo d'attesa; van
come i pastori
verso il Presepio
e intorno è tanta pace.
Ecco la grotta,
ecco sospesa,
brilla la stella!
Gli occhi desiosi
guardan la
greppia, il bue e l'asinello,
guardan l'Altare;
poi ciascuno sogna
il sogno di
Francesco poverello.
Ma il Santo vede:
vede il Dio Bambino
piccolo e bianco
nella mangiatoia.
Si china; ascolta
il tenero vagito,
gli fa cuna
d'amore tra le braccia
sopra il suo saio
povero e sdrucito
e il cuor divino
batte sul suo cuore.
Angeli scendon
lungo vie di stelle;
un cielo
d'indicibile splendore
s'incurva sul
presepe; a tratti sale
un dondolio
lontano di campane.
Vive ciascuno il
sogno di Natale.
(da
"Mattutino", Arti Grafiche E. Calamandrei & C., Milano 1940)
IL MIO PRESEPE
di Giovanni Boffa
(1922-2002)
Il mio presepe lo
vorrei non vasto:
pochi pastori
nella grotta accanto
alla Coppia
Mirabile e i Magi
confusi tra la
gente che s'affretta.
Su sfondo
immateriale ampio librarsi
di luce nello
spazio dilatato
al Vagito di pace
che la Terra
tutta celeste in
un'abbraccio avvolge.
(da
"Poesie", Arti Grafiche C. Mori, Firenze 1985)
PRESEPIO
RADIOFONICO
di Paolo Buzzi
(1874-1956)
4 gennaio
La pace è con
noi.
La mia casa è
tranquilla. Le mie donne orano
con la mistica
luce del Presepio in volto.
L'hai tu, un
Presepio? Con dei piccoli astri
che bucano
l'azzurro fondo alto del cielo?
E l'aroma dei
lauri
che t'esalta le
tempie come nella Poesia?
Ed il piccolo
mondo dei pastori
che offre alla
Capanna le pecorelle e i cuori?
L'hai? Questo io
chiedo
a un bimbo del
secolo elettrico,
più somigliante
un diavolo che un angelo.
Né, risposta
m'importa.
Con la fronte
alla scena di Sogno ed alle imagini,
apro il rubinetto
della radio:
e bevo una
melodia orientale di Saint Säens.
(da "Poesie
scelte", Ceschina, Milano 1961)
25 DICEMBRE
di Marcello
Camilucci (1910-2000)
Al presepe, ogni
anno, manca il personaggio.
Lo sanno tutti i
presenti, anche la stella...
Quel vuoto non
sai proprio come colmarlo
e allora,
umiliato, dopo aver atteso il freddo,
all'ultimo
rintocco della mezzanotte, ti stendi
su la paglia, fra
l'asino e il bue, quieto.
(da
"Calendario perpetuo del poeta", Giardini Editori e Stampatori in
Pisa, 1990)
PRESEPE
di Francesco
Carchedi (1909-1987)
Voglio fare un
presepe.
Qui c'è la
montagna
coperta di neve
e sopra il colle
c'è il mio paese,
c'è la mia mamma
che non ha sonno.
Sotto c'è il mare
che mai non
dorme.
Nella pianura c'è
la città.
1941
(da "Sono
sotto le stelle", Edizioni di «Dialoghi», Roma 1963)
NATALE
di Giuseppe
Casalinuovo (1885-1942)
Ancora (ed ogni
anno sempre implacabile,
sempre di più
come ogni cosa tenera,
anch'esso la
ruota del tempo,
o mio cor che
ricordi, consuma),
ancora il Natale
le care a Virgilio
nelle giornate di
Dicembre gelide,
discese dai
candidi monti,
cornamuse soavi
ci apporta.
A coppie i
velluti pastori musici,
per le vie
strette che d'aranci odorano,
da uno a un altro
abituro,
come chi ha
fretta d'andare, vanno;
e presso ai
rifatti di creta piccoli
rudi presépi che
ancor Cristo attendono,
ripetono sempre
la stessa
invariabile loro
melòde.
Oh come nel cuore
dolci ritornano
cose già vanite
nella memoria,
e oh come il mio
cuore profondo
con infantile
palpito esulta!
Esulta ed ancora
rivede il rustico
presépe tutto
costrutto di sughero,
e tenera attorno
la Mamma
e i fratelli e le
dolci sorelle.
Pur anco allora
l'istessa suonavano
melòde le
cornamuse, e simili
altri per la vita
presépi
dolcemente, ben
fido, sognavo.
E pur ancor li
risogno, se flebile
lor nenia mistica
ritorna all'anima,
e vedo tornare
sul mondo
la grande stella
di Betlemme.
Pace! sia pace! E
tu, stella, gli uomini,
che l'aspra vita
sempre più dilacera,
con il tuo purissimo
lume
all'amore di
Cristo radduca!
(da
"Giornata breve. Poesie", Laterza, Bari 1981)
PRESEPE
di Idilio
Dell'Era (1904-1988)
Madre, scuriva su
la nostra cena
e per noi non
c'era,
al vecchio trave
sospesa,
che la lucerna
dei poveri,
come un lume di
chiesa.
Filtrava, dal
pavimento,
un tepore di
stalla, in quel tepore
un digrumare
lento
e acciambellato
ai nostri piedi il cane:
candido presepe
delle notti
lontane!
(da "Cielo
di sera", IPL, Milano 1983)
LE LAMPADINE DEL
PRESEPE
di Ugo Fleres
(1857-1939)
O dolce festa di
Natale, cara
più d'ogni altra
al fanciullo,
per il qual pur
s'alternano
meno avare le
feste e men fugaci;
sì che, scorsa
l'età fresca, egli sente,
non più
fanciullo, sente
ancor qualcosa
del primier fulgore
nei dì che un
tempo
schiavi non gli
rendea l'ispida scuola.
Breve fulgor,
come al destarsi dopo
felice sogno;
viene
della sua vanità
presto il pensiero.
O dolce festa di
Natale, quando
più disadorna la
campagna tace,
ed ogni ala ed
ogni anima,
esercitate a
valicar l'océano,
han del nido più
tenero desìo.
Il presepe sorgea
sul canterano,
dond'esulavan per
quei giorni i ninnoli
e i libri della
mamma.
Nel mezzo era la
grotta; intorno intorno
laghi di carta,
zolle vere, e rupi
di sughero, e,
per tutto, un popolino
variopinto,
immobile, - i pastori.
Fin ch'era
giorno, a noi
soli piaceva quel
presepe, a noi
che sulle panche
della scuola in esso
tenevamo il
pensiero; e sull'ardesia
nera ove il
pedagogo
allineava un
bianco
esercito di
numeri stizzosi,
noi vedevam la
grotta, il Bambinello,
i pastori
adoranti,
come sul
diaframma
d'una lanterna
magica
dal nostro
intento desiderio accesa.
E i gastighi
piovevano; ma noi,
gonfi gli occhi
ed il cuor, li soffrivamo
silenti, e quasi
godevam, pensando
di soffrirli per
lui, Gesù Bambino.
Sì, nel giorno,
alla troppa
luce il presepe a
noi
soli piaceva;
altri ridea passando.
Ma di sera
l'incanto
vinceva tutti,
anche i più vecchi. Allora
brillava in giro
in giro una ghirlanda
di lucernette;
allora
quel cantuccio
sembrava un paradiso,
mentre,
nell'ombra genuflessi, noi
udivamo arrivar
lo zampognaro,
e al monotono suo
ritmo nasale
intonavam la
prece,
commossi, ignari
e d'esultanza pieni.
Passaron gli
anni. Or come
ogni anno mi
estingueva una lucerna,
ogni anno un poco
meno
di splendore e di
gioja
circonfondea
l'oggetto
del culto insieme
e del trastullo, ogni anno!
Ahi tutte ad una
ad una
spente le care
lucciole,
spente le care
stelle, ad uno ad uno
chiuse quegli
occhi il sonno dell'oblio;
e alla fine il
presepe
accatastato,
polveroso giacque
non so più dove.
Eppure no... no, forse
una di tante
lampadine resta,
e la bambina mia
già l'ha trovata
in mezzo
alle cose
perdute, ond'ella suole
attinger per un
attimo
di studioso
giuoco. E forse ancora
rivedrò sulla
mensola
la grotta e il
Bambinello,
e intorno i canti
che da lungo tempo
taciono in fondo
al cuore
risoneranno, ed
io, come la mamma
tanti, tanti anni
or sono,
dirigerò quelle
preghiere, e forse...
O dolce festa di
Natal, ritorna!
(da «La Riviera
Ligure», gennaio 1905)
PRESEPIO ROMANO
di Renzo Laurano
(1905-1985)
Tìtiro e Malibèo
pastori, entrambi
morati al
nerofumo, tra di loro
sotto il ciel di
una palma
attendono il
Signore
della Egloga
Quarta.
I ruscelletti
di stagnola dei
Padri Cappuccini
recano un fresco
al cuore
dei mandriani orientali.
E i ragazzetti
nei presepi son
buoni a tutto fare.
(Quando ero mozzo
d'altari
non la cedevo a
un gatto.
Ma un contegno
esemplare).
Nella stalluccia
virgiliana calma
cresce, affata
l'attesa di un bambino
predetto. Anche
lo sanno i ragazzetti...
E i ragazzetti
queste cose sanno
bene, ma ai
ruscelletti han da abbadare.
(da "L'opera
in versi", Vallecchi, Firenze 1989)
PRESEPE
di Domenico Rea
(1921-1994)
Aria di zolfo e
fumo sparso
per una culla
Simbolo
del genere umano.
Avevo le mani
imbrattate di
creta
di forme antiche
palpitanti nella
modestia
di un universo
docile
alla favola e
alla frode.
Presepe, farsa
settecentesca
del mito del Buon
Selvaggio,
che moriva di
fame,
saltando come un
clown -
i piedi al freddo
le mani sulle
castagne.
In vere stalle
andava
mia madre
levatrice
di natali plebei
e il pianto del
bambino
era presagio ai
vinti.
(da "Nubi", s. e., Napoli 1984)
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