domenica 28 ottobre 2018

"Fuoco bianco" di Adriano Grande




Nel 1950 vide la luce un bellissimo volumetto poetico di Adriano Grande (Genova 1897 - Roma 1972). S'intitola Fuoco bianco (sottotitolo: 1941-1949) e fu pubblicato dalle Edizioni della Meridiana di Milano. Il suo interno racchiude trenta poesie divise in tre sezioni: Ricordi - Farfalle - Fuoco bianco. La prima sezione, come ben spiega il titolo, mostra un riaffiorare dei migliori ricordi del poeta ligure, appartenenti soprattutto all'infanzia: periodo felice per eccellenza, nella vita di Grande, che lo ricorda con intensità e con dovizia di particolari. Questi cari ricordi sono descritti in modo preciso, e attraversano un po' tutte le stagioni dell'anno; i luoghi sono, tutti o quasi, quelli della terra natale, tratteggiata con evidente ammirazione e stupore. Nella poesia intitolata Incontro, il ricordo è riferito ad una ragazza non ben precisata, compagna di un indimenticabile viaggio in treno, con la quale Grande ebbe modo di creare un rapporto d'intimità quasi magico; eccone alcuni versi:

Non ci conoscevamo, ma fratelli,
partecipi noi soli di lontani
magici eventi eravamo, guardandoci
con l'ombra d'un sorriso d'infantile
segreta intesa. E quando vidi sciogliersi
la catenella d'oro dal tuo collo
e venni ad allacciarla senza dire
parola, non ti parve strano il gesto
né l'uomo: e non pensasti a ringraziarmi.

La seconda sezione vede, al centro dell'attenzione del poeta, la natura nelle sue manifestazioni più semplici e più sbalorditive; Grande si sofferma nella descrizione attenta e meravigliata di paesaggi, ponendo particolare attenzione alle piccole cose (l'erba, le nuvole, i fiori) e agli animali, tra i quali spiccano, come si evince dal titolo della sezione stessa, le farfalle: simbolo di bellezza, di eleganza e di leggerezza. Restano impressi alcuni versi in cui il poeta mostra la personale amarezza e il suo immenso dispiacere, per una guerra che aveva causato infiniti drammi e distruzioni; proprio lui, che alcuni anni prima aveva celebrato in altri versi la grandezza del duce, ora si pentiva e si rammaricava di ciò che il fascismo aveva causato; ecco a conferma questi versi tratti dalla poesia Povertà:

Pensieri lievi, gioie
inaspettate e brevi: me ne appago
adesso che m'è dato
capire com'è inutile ogni guerra.
Vedo che la miseria
assale la mia terra, la mia casa
invade, per le strade
ci assedia [...]

Infine, la terza sezione che è inizialmente dedicata a scene e momenti di guerra, con visioni di fuochi, di velivoli militari e con rumori di esplosioni che sconvolgono la flora e la fauna circostante; il tutto è descritto quasi in contrapposizione alle eterne eppur sorprendenti manifestazioni della natura, siano esse primaverili o estive, che sembrano volersi porre al di fuori di qualsiasi crudeltà e ignominia, come unica testimonianza della presenza di Dio, anche se intorno il mondo sembra impazzito e l'umanità abbia soltanto voglia di autodistruggersi. Nella meravigliosa poesia intitolata Palombelle, un frate, estasiato dalla fioritura primaverile, chiede a Dio perché nel mondo esista tanto dolore e, nello stesso tempo, tanta disarmante bellezza:

Perché tanta bellezza,
Signore, ci hai donato
che dura così poco? Perché altrove
il manto della terra è insanguinato?

Poi, nelle poesie che portano le date posteriori alla fine della guerra, ritornano i temi cari al poeta: paesaggi stupendi, eventi stagionali e malinconie dovute al tempo che passa. L'ultima lirica, semplicemente grandiosa, è una sorta di testamento poetico, rivolto ad uno sconosciuto lettore, in cui si dà risalto alla cosa più preziosa della vita di un poeta: le parole scritte; solo esse rimarranno, quando il corpo sarà divenuto polvere, a rappresentare l'anima di un uomo che dedicò la sua esistenza alla scrittura. Chiudo questo post riportandola di seguito.


SU UNA TOMBA

Fui vivo, o tu che leggi. Ecco che torno
ad esistere un po' nel tuo pensiero
per queste mie parole che s'insinuano
dentro di te, che forse ad alta voce
vai pronunciando. Di me s'è perduto
quel che non conta: il corpo perituro,
le mutevoli brame e molte vane
angoscie, molto inutile dolore.

Ho conosciuto anch'io l'aria dei giorni
festosi: al sole ho scaldato le membra
e tra le coltri, lungamente ho atteso
la fine degli inverni, delle guerre,
delle miserie umane. Adesso resta
di me questo rametto di parole
che oscilla un poco a fior della tua voce
come se la mia tomba respirasse.

Così tu apprendi ch'io mi regalai
al fuggitivo suono delle verdi
fronde d'aprile. Ascolta: a me la vita
non seppe dire verità più alta:
ed ora so che fa durare il mondo.
Fui vivo, amico. Se m'hai ben compreso
tu pure, un giorno, in un ramo leggero
simile a questo, stormire potrai.

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