Le lampade, i lumi, i
fanali e simili, così come la luce in generale, sono spesso collegati ad un
discorso mistico. Per molti poeti ogni fonte di luminosità rappresenta, in
qualche modo, l'ultraterreno (lo rappresentano le luci poste vicino
alle tombe, alle immagini dei santi e, negli edifici religiosi, dovunque esse siano). Non mancano però le eccezioni; Buzzi, per esempio, guardando i
lampioni posti su un viale alberato, di notte, si accorge di come essi
rappresentino bene quell'idea futuristica che egli ha abbracciato di recente
con entusiasmo. Corazzini invece, parla di un fanale posto all'esterno di un
postribolo e lo fa divenire simbolo di sofferenza e di castità. Lo stesso
discorso, seppure in modi e accentuazioni meno coinvolgenti, vale per la poesia
Il lampione di Govoni. Nella poesia Il cembalo e la lampada, di Pietro
Mastri, entrambi gli oggetti del titolo rappresentano la carità. Del tutto
scherzosi sono poi i versi de La lanterna
di Aldo Palazzeschi. In altri casi ancora le fonti di luce svolgono compiti
prettamente utili oppure simboleggiano l'anima del poeta. Minore rilevanza ha
invece la funzione che svolgeva la famosa "Lampada di Diogene",
ovvero quella di illuminare chi va alla ricerca di qualcosa o di qualcuno. Vi
sono infine dei componimenti del tutto indecifrabili.
Poesie sull'argomento
Fausto M. Bongioanni:
"Lampada verde" in "Venti poesie" (1924).
Umberto Bottone:
"Lumi d'argento" e "Le lampade votive" in "Lumi
d'argento" (1906).
Paolo Buzzi:
"Primi lampioni" in "Versi liberi" (1913).
Enrico Cavacchioli:
"La lampada" in "L'Incubo Velato" (1906).
Francesco Cazzamini
Mussi: "Fanale" in "Le allee solitarie" (1920).
Girolamo Comi: "Or
mi bagno nei lumi tuoi sicuri" in "Lampadario" (1912).
Sergio Corazzini:
"Il fanale" in "Le aureole" (1905).
Giovanni Croce:
"La lampada" in "L'anima di Torino" (1911).
Diego Garoglio:
"Il faro" e "I fanali" in "Sul bel fiume d'Arno"
(1912).
Corrado Govoni:
"Cereo pasquale" in "Le Fiale" (1903).
Corrado Govoni:
"Il lampione" in "Armonia in grigio et in silenzio" (1903).
Corrado Govoni
"La lampada di Psiche" e "I fanali" in "Gli
aborti" (1907).
Pietro Mastri:
"Il cembalo e la lampada" in "La Meridiana" (1920).
Marino Moretti:
"Teda" in "Poesie di tutti i giorni" (1911).
Ettore Moschino:
"La veglia" in "I Lauri" (1908).
Aldo Palazzeschi:
"La lanterna" in "Poemi" (1909).
Francesco ed Emilio
Scaglione: "A la mia lampada" in "Limen" (1910).
Emanuele Sella:
"Trittico della luce siderale" in "Monteluce" (1909).
Emanuele Sella:
"L'Empirea Sfera" in "L'Eterno Convito" (1918).
Mario Venditti,
"Le due luci" in "Il cuore al trapezio" (1921).
Testi
LUMI D'ARGENTO
di Umberto Bottone
I.
Piccoli fari miei,
lumi d'argento
a notte lacrimosi per
la via,
pallidi e vani come
il sentimento
del mio cuore, che
mai fate? La mia
Musa non suona più La
tiorba lene
dopo la squilla de
l'Avemaria.
La Fata è tiste;
piange un bene, un bene
che le spirò nel cor
languidamente
ne le vostre serate
più serene.
Lucciole belle, siete
sonnolente,
vi manca il cuore,
ahimè! Non lo vedete
che il cuor vi manca
e siete quasi spente?
Oh, come siete
tristi, oh, come siete
stanche! Mie
vdgabonde lucciolelle,
voi mi fate pietà,
voi mi farete
morire certo con le
prime stelle.
II.
Il cielo è bruno e la
mia fata dorme
ancora. Dite, ma non
si potrebbe
scuotere un poco le
sue bianche forme?
È molto tempo che la
tiorba s'ebbe
l'ultimo bacio da sue
mani pure:
oh, come lieta, faci,
ella sarebbe
d'un pianto triste,
lungo, de le cure
consuete; ravvolgerla
in un velo
nero, più nero de le
sepolture!
Il cuor mi trema come
l,asfodelo
ammonitore; o mie
dolci sorelle,
stanche come le suore
del Carmelo!...
Se siete buone come
siete belle,
se volete ogni notte
spasimare,
o innamorate de le
prime stelle,
andate la mia fata a
risvegliare!...
(da "Lumi
d'argento", 1906)
A LA MIA LAMPADA
di Francesco ed
Emilio Scaglione
Io studio e tu
piccola lampa affretti
a me il sonno, a te
morte avida e piana;
stanca pur
d'illuminar la vana
opra un estremo
anelito mi getti.
E invano aizzo
l'anima che china
agonizzando tra le
mani sporte:
"Maledetto chi
vuol fermar la morte
a chi muore, e la
strada a chi cammina"
Avea chiuso nel sogno
ultimo il mio
pensier di morte. Io
vedea lieto ancora
in mezzo a l'ombre
sorgere un'aurora
segnatami dal bianco
de l'oblio.
Cedevo all'onda del
pensier... perdona
lampa, stelo pur vivo
ne la morte;
oh! quanta in te, ne
le tue braccia corte
virtù, che poco vuole
e tutto dona.
Io resto: tu
ritornerai domani,
ilare e rossa a
cinguettar su' vetri,
io ti domanderò come
s'impetri
pace a la tomba con
le sporte mani!
(da
"Limen", 1910)
Georges de La Tour, "The Magdalen with the Smoking Flame" |
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