La poesia di
Umberto Bellintani (Gorgo di San Benedetto Po 1914 - San Benedetto Po 1999) rappresenta
qualcosa di anomalo nel panorama novecentesco italiano. Non soltanto per il
fatto che pubblicò la sua prima raccolta quando era quasi quarantenne, ma anche
e soprattutto perché ben pochi, come lui seppero essere contemporaneamente
meditativi e istintivi, teneri e rabbiosi, mistici e terragni; ebbe insomma la
possibilità e la capacità di esprimersi in modi assai dissimili e
contraddittori, pur mantenendo una personale e indiscutibile coerenza. Qualcuno
lo definì poeta contadino, qualcun altro disse che i suoi versi erano naïve, ma la realtà dice che Bellintani
è stato un grandissimo poeta e che la sua poesia non è classificabile in alcun
modo. Altra anomalia fu il suo ritiro dalla scena poetica e letteraria, dal 1963 al 1998; ciò avvenne malgrado i molti elogi e riconoscimenti
che, nel decennio in cui pubblicò dei libri, aveva ricevuto con pieno merito.
Personalmente rimasi impressionato favorevolmente dal suo modo di scrivere versi, già dalla prima poesia che lessi quasi
per caso. Riconobbi immediatamente un talento straordinario e una spontaneità
che difficilmente è riscontrabile nella poesia di oggi e di ieri.
Forse un viso tra mille uscì nel 1953, presso l'editore
Vallecchi in Firenze. Recentemente la raccolta è stata ripubblicata da
Passigli, ed è quindi possibile leggerla senza troppi problemi di reperibilità.
Si sostanzia in 72 poesie divise in 7 sezioni. Pur non essendo ritenuta la
migliore opera poetica di Bellintani, è, a mio parere, la più intensa e quella
in cui il poeta lombardo dà più spazio ai ricordi dell'infanzia e della
gioventù. Molti sono anche i versi che meditano sulla morte, così come non
mancano certamente le poesie religiose. Gli altri argomenti qui trattati,
sempre presenti nei libri del poeta lombardo, sono l'amore e la natura.
Difficile dire quali siano le migliori poesie di questo volume, ma, comunque,
ho voluto estrarne due "perle" che riporto di seguito.
POESIA D'AMORE
Che mai ti
conosca, amore. Sempre
tu sia l'ignota,
il sogno
cui sempre aneli
il cuore che
mira. Riva
bella tu sei,
dolce d'arcani -
e arcana resti
questa riva che
sfiora
il marinaio;
ma non celarti
tu
non celarti, apri
i tuoi sentieri
verso i colli dell'interno
ond'io cammini ed
ogni fiore
ogni frutto
accarezzi;
ma nell'arcano,
nell'arcano,
amore,
resti il tuo
fondo cui m'avvio
in questo nuovo
mattino.
STELE NEL DESERTO
Per anni orrendi,
disperato, nel deserto
ho tanto grido
gettato, tanto pianto,
che mai potrebbe
la parola, dolce madre,
di quel dolore
palesare più d'un giorno.
So del tuo volto
arato dalle lacrime;
e tu sapevi di
me, del mio gioire
in riva all'acque
più verdi delle erbe,
allor che al
sommo spaccato della canna
la prigioniera
salamandra si torceva.
Ora nessuno saprà
di quali dune
la sabbia rode la
carne che m'hai dato.
Ma questa quiete
mi riposa come in seno
posavo allora la
mia guancia e tu cantavi
al tuo bambino.
Non piangere;
ma nel sorridere,
se puoi, afferma il credo
del mio ritorno.
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