Son solo: ho la testa
confusa di tetri
pensieri. Mi desta
quel murmure ai
vetri.
Che brontoli, o
bombo?
che nuove mi porti?
E cadono l’ore
giú giù, con un lento
gocciare. Nel cuore
lontane risento
parole di morti...
Che brontoli, o
bombo?
che avviene nel
mondo?
Silenzio infinito.
Ma insiste profondo,
solingo smarrito,
quel lugubre rombo.
Questa è una poesia
di Giovanni Pascoli (1855-1912) che si trova nella raccolta più importante del
poeta emiliano: Myricae.
Nell'edizione definitiva è inserita quale ottava poesia della sezione Dall'alba al tramonto. Comparve già
nella quarta edizione della raccolta citata, edita dalla Tipografia Giusti di
Livorno nel 1897.
Non è certamente tra
le più conosciute liriche del Pascoli, ma è tra le mie predilette.
Il nunzio del titolo è
un bombo, ovvero un insetto appartenente all'ordine degli imenotteri coperto da
una peluria folta, che è facile individuare nelle stagioni più calde in molti luoghi
di campagna. Ebbene, mentre il poeta si trova in casa immerso nei suoi tetri
pensieri, avverte, dai vetri di una finestra, un rumore simile ad un fruscio.
Accortosi che si tratta del ronzio di un bombo; vedendolo cozzare ripetutamente
contro il vetro quasi a voler entrare nella casa per comunicargli qualcosa
d'importante, Pascoli fa una domanda all'animale come se potesse rispondergli,
come se in esso si sia reincarnata qualche anima defunta che voglia riferire
delle novità importanti. Intanto, però, le ore passano tediosamente, e in quel
mentre al poeta tornano nella mente parole di persone morte, forse rievocate dal rumore insistente emesso dall'insetto. Ma è inutile domandare, è inutile anche
ricordare: non c'è alcuna risposta al mistero che avvolge la vita umana.
Intanto il lugubre rombo dell'imenottero che prova insistentemente, ma senza successo, ad entrare in casa, continua a tormentare la mente del
poeta...
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