Ed ecco il primo mese autunnale: il caro Ottobre. A me che vivo a Roma, Ottobre può offrire delle giornate splendide, soleggiate, che ricordano un po' la primavera: sono le cosiddette "ottobrate romane". Ma questo mese somiglia a marzo: può regalare bel tempo o pioggia, o già qualche giorno rigido. Nelle poesie che seguono si parla di tutto questo; e c'è chi ti ama e chi ti odia, chi vede in te il tramontare definitivo dell'estate, chi ti loda e ti decanta, chi medita su di te, carissimo Ottobre, mese a me amico.
IMPROVVISA, LA FANTASIA...
IMPROVVISA, LA FANTASIA...
di Riccardo Bacchelli
(1891-1985)
Improvvisa, la
fantasia m'ha condotto per le strade
rettilinee del
Bolognese, bordate di rami
freddolosi, toccati
dall'ottobre , con prospettive
di persiane verdi
allineate sulle facciate.
Il Reno si stacca dai
monti con incantevoli
indugi e prende spazio in pianura, alberi
e frutteti si
spogliano con incredibile bellezza,
riposano al sole le
terre. È il tempo
adesso che le cantine
odorano di fermentazione,
e il contadino esce
senz'arnesi a guardare
forse se qualche
fosso non scola. Le terre,
gli uomini, il paese
fortunato nelle adiacenze
del fiume, godono
questo sole breve.
Gli uccelli son di
passo.
(Da "Memorie del
tempo presente", Milano 1953)
LA NOTTE D'OTTOBRE
di Attilio Bertolucci
(1911-2000)
Mi ha svegliato il
tuo canto solitario,
triste amica
dell'ottobre, innocente civetta.
Era la notte,
brulicante di sogni
come api.
Ronzavano
agitando le chiome di
fuoco
e le bionde barbe,
ma i loro occhi erano
rossi e tristi.
Tu cantavi,
malinconica
come una prigioniera
orientale
sotto il cielo
azzurro...
Io ascoltavo battere
il mio cuore.
(Da "Fuochi in
novembre", Minardi, Parma 1934)
OTTOBRE
di Vincenzo
Cardarelli (1887-1959)
Un tempo, era
d'estate,
era a quel fuoco, a
quegli ardori,
che si svegliava la
mia fantasia.
Inclino adesso
all'autunno
dal colore che inebbria,
amo la stanca
stagione
che ha già
vendemmiato.
Niente più mi
somiglia,
nulla più mi consola,
di quest'aria che
odora
di mosto e di vino,
di questo vecchio
sole ottobrino
che splende sulla
vigne saccheggiate.
Sole d'autunno
inatteso,
che splendi come in
un di là,
con tenera perdizione
e vagabonda felicità,
tu ci trovi fiaccati,
vòlti al peggio e la
morte nell'anima.
Ecco perché ci piaci,
vago sole superstite
che non sai dirci
addio,
sole che rivediamo,
col tuo giungere ogni
mattina
come un nuovo
miracolo,
tanto più bello
quanto più t'inoltri
e sei lì per spirare.
E di queste
incredibili giornate
vai componendo la tua
stagione
ch'è tutta una
dolcissima agonia.
(Da "Il sole a
picco", L'Italiano, Bologna 1929)
D'OTTOBRE
di Bartolo Cattafi
(1922-1979)
Nei punti meditati
sui gradini dove
il pensiero si ferma
e non riposa
perduta la stagione
(lucecalore forza
di fuochi fantasiosi)
mentre il mondo
ingiallito prova
foglia per foglia a
perdersi.
(Da "L'allodola
ottobrina", Mondadori, Milano 1979)
PAREVI UN CHE
SEDESSE...
di Francesco Chiesa
(1871-1973)
Parevi un che
sedesse, ieri, ravvolto
d'un mantel bigio,
sotto un'acqua fina
che fluiva in
silenzio. Stamattina
non piove più; ti
batte il sole in volto,
fratello ottobre; e
tu balzi disciolto
d'ogni mal, scuoti
via quel po' di brina
dal mantel ch'era
d'oro, e oro la spina
che, per trartela, il
piede in mano hai tolto.
E vai, sommerso in un
dorato oblio,
la terra e il ciel
nelle pupille ignare
rispecchiando,
frutteti, uve... Parevi
ieri l'ombra tua
morta. Oggi ti levi
radioso, signor delle
tue chiare
giornate ultime:
ottobre, fratel mio.
(Da "L'artefice
malcontento", Mondadori, Milano 1950)
TRISTEZZA D'UNA SERA
D'OTTOBRE
di Guelfo Civinini
(1873-1954)
Son rientrato or ora.
Per la via
di casa s'accendevano
i fanali
tremuli fuochi di
malinconia.
Ha piovuto per tutta
la giornata.
Son già le prime
acque autunnali.
Poi l'aria a vespro
s'è rasserenata.
Ma in questa
trasparenza d'ametiste
il cielo è come
un'anima ch'è stanca
di piangere, ed
ancora è tanto triste.
Nessun passava, per
la via remota:
incombeva una gran
nuvola bianca
sovra le case,
tragica ed immota,
un pianger di campane
era nell'aria,
dai platani cadean le
prime foglie;
tremava qualche
stella solitaria;
ed un accoramento
indefinito
era in quell'ora
satura di doglie
che mi tenea come un
fanciul smarrito:
un fiorir vago di
memorie spente,
di rimpianto per ogni
ben perduto
cui passai forse
accanto indifferente:
volti di donne
intravedute appena,
anime apparse in
gesto di saluto
per qualche
solitudine serena,
fantasmi erranti che
più non ravviso
chiusi nei veli della
lontananza,
ombre di pianto, luci
di sorriso
rievocanti all'anima
in tremore
un fulgor biondo,
un'aria di romanza,
un mattin d'oro, una
veranda in fiore.
Dogliosa nostalgia,
la più dogliosa:
quella di ciò che
trascurammo, e ov'era
forse la nostra dolce
sorte ascosa.
Forse... Triste
parola, triste quale
fra le rame dei
platani stasera
questo languor di
cielo autunnale:
triste e pur buona,
che pur s'addolora
ne illude ancor di
qualche tenerezza
di cui viviamo, in
cui crediamo ancora,
di cui può ancora
l'anima sognare,
l'anima ch'ebbe a
tedio ogni certezza
e il sogno solo può
ancor consolare.
Ma questa sera, oh,
nulla la consola:
così triste è la casa
all'imbrunire
quando si è soli, e
pur l'anima è sola.
Le cose amate, le
cose più care
son come morte e più
nulla san dire
in questa scialba
angoscia che traspare
di tra i ricami delle
tende bianche
nell'agonia
dell'ultimo chiarore
fra voci di campane
umili e stanche.
Tristezze d'un
crepuscolo! Nell'ombra
una pendola batte: un
vecchio cuore
triste, che una
mortal stanchezza ingombra.
«Addio» mormora
l'anima dolente.
Perché, non sa. Vede
svolare a frotte
fra rade stelle
fantasime lente
nubi di sogni,
vanienti forme
perdute incontro
all'imminente notte
verso il mistero
immobile ed enorme,
e un bisogno d'addii,
forse di pianto,
la stringe.
Qualcheduno è per partire?
Non sa. Forse è
partito già, da tanto,
da tanto tempo.
«Addio» mormora ancora
e piange stanca, e
sentesi morire.
Di che, non sa.
Malinconia l'accora.
(Da "I sentieri
e le nuvole", Treves, Milano 1911)
UN MITE OTTOBRE
di Gian Carlo Conti
(1928-1983)
Pigri voli d'addio
sulla casa fanno
le ultime ali
dell'anno.
Quale dolce stagione
è mai la nostra:
stare con le braccia
nude senza tremare.
(Da "Il profumo
dei tigli", Feltrinelli, Milano 1960)
OTTOBRE DENTRO UN
NUVOLO DECLIVE
di Arturo Onofri
(1885-1928)
Ottobre dentro un
nuvolo declive
sui castagneti,
mèdita assonanze
fra l'oro morto delle
foglie estive
e l'aria azzurra,
pregna di distanze.
Ma un rullio d'ali
stringe e circoscrive
l'ultime quasi
esanimi fragranze
di terra, e irradia
nelle zolle attive
l'armonia di più
sveglie concordanze.
Un sussulto, che
sembra esalar fuori
dal profondo dei
suoli agita a tratti
le morte foglie in
brividi sonori.
Ma le respinge in
basso, dalle zone
alte, qual pullulio
d'angoli esatti,
che l'inverno dei
cieli in terra pone.
(Da "Vincere il
drago!", Ribet, Torino 1928)
OTTOBRE
di Antonia Pozzi
(1912-1938)
È crollo di morta
stagione
quest'acqua notturna
sui ciotoli.
Lànguono
fuochi di carbonai
sulla montagna
e gela
nella fontana un
fioco lume.
L'alba vedrà
l'ultima mandria
divallare
coi cani, coi
cavalli,
in poca polvere
dietro un dosso
scomporsi.
Pasturo, 30 settembre
1935
(Da
"Parole", Garzanti, Milano 1998)
TRAMONTO D'OTTOBRE
di Francesco
Scaglione (1891-1946) ed Emilio Scaglione (?-?)
Non più lunghi
crepuscoli: difformi
d'ombre i monti e di
luci, in queste sere
rapidamente perdon le
severe
aridità de le lor
cime enormi.
Non più indugi:
l'estate è seppellita;
pace a l'anima sua!
Questa è la vita.
Che bella sera! Una
campana squilla,
ad occidente Venere
sfavilla.
(Da
"Limen", Giannotta, Catania 1910)
Santiago Rusiñol, "Paseo de los plátanos" (da https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=12082935) |
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